domenica 1 dicembre 2013

Terra dei fuochi e rifiuti, il maresciallo della Finanza: “I miei capi tacevano sui veleni”

il fatto quotidiano 1 dicembre 2013 GIUSEPPE CARIONE La testimonianza davanti al Gip: “Eravamo lì appostati, i camion scaricavano, la denuncia non scattò e io fui trasferito” CARMINE SCHIAVONE Vent’anni fa le dichiarazioni del pentito indicavano con precisione i luoghi degli sversamenti: nessuno ha agito di Enrico Caria Lo Stato? “Noi vivevamo con lo Stato. Se qualcuno nello Stato ci faceva ostruzionismo, ne trovavamo un altro disposto a favorirci...”. Parole di Carmine Schiavone. Parole, tra le tante che compongono la testimonianza resa dal boss casalese che rivelò, a conti fatti, di almeno 120 tir al giorno di materiali tossici, fanghi radioattivi e fusti nucleari interrati tra Napoli, Caserta e Latina. Parole vere? False? Di certo tenute segrete per 15 anni. Per ciò che riguarda i veleni sversati però, anche a distanza di cinque lustri, il riscontro è presto fatto. Basta scavare. Dietro al campo di calcio di Casal di Principe per esempio: i rifiuti tossici infatti erano ancora lì, proprio come indicato da Schiavone. MA SE LA MATEMATICA non è un opinione, e il pentito non viene smentito, parliamo di circa 3.600 tir al mese carichi di monnezza tossica (e di conseguenza migliaia di escavatori e camion in azione per il movimento terra): possibile che in vent’anni non si sia vista una volante passare lì un vigile urbano insospettito, un assessore dubbioso, una guardia forestale allibita, un vigile del fuoco schifato? Niente. Lo Stato non c’era e se c’era aveva gli occhi foderati di prosciutto. I riscontri? A lanciare accuse gravissime non è oggi un pentito di camorra, ma un sottufficiale della Guardia di Finanza nell’am - bito dell’inchiesta “Terra Madre”. Una testimonianza che apre scenari inquietanti: le Fiamme Gialle non avrebbero bloccato un grosso traffico di fanghi radioattivi nelle campagne dell’Aversano di cui erano perfettamente a conoscenza. La mette così il maresciallo ora in pensione Giuseppe Carione, e stavolta per conoscere le sue dichiarazioni choc depositate al Gip di Santa Maria Capua Vetere il 4 luglio scorso non abbiamo dovuto aspettare 15 anni, solo quattro mesi. I fatti, come raccontati dal maresciallo, sarebbero questi: nell’aprile del 2002 Carione viene contattato da Gaetano Vassallo, padrino dell’affaire monnezza agli ordini del boss casalese Francesco Bidognetti. “Il Vassallo”, sempre a detta di Carione, “era un abituale frequentatore della caserma”, eppure la cosa non suscitava scandalo. Anzi, un giorno il Vassallo lo avvicina e gli rivela di questi copiosi sversamenti a opera dei fratelli Roma (titolari della Sister a Villa Literno e Rfg a Trentola Ducenta). In pratica suoi concorrenti. Il maresciallo informa subito un suo superiore e detto fatto, il terzetto (Carione, il suo superiore e Vassallo) salta su un’auto civetta per appostarsi, non visto, nei pressi del fondo agricolo incriminato. A quel punto la scena che si svolge ha del paradossale: siamo in pieno pomeriggio, vari tir scaricano enormi cassoni colmi di fanghi e liquami grigioverdi con un grosso escavatore che provvede a interrarli, e mentre gli uomini al soldo dei clan operano alla luce del sole, i due militari e lo spione se ne stanno nascosti, accovacciati dietro a un montarozzo a guardarli impotenti. Ma quando interveniamo? Freme Carione. Dopo, magari dopo, lo frena l’uffi - ciale. Ora meglio restare nascosti e seguire il camion che in effetti torna vuoto alla fabbrica dei fratelli Roma. Bene. Interveniamo adesso? Scalpita Carione con la mano già sul calcio della pistola. No, no! Magari domani, stabilisce il superiore. Ma il giorno dopo non se ne fa nulla e da allora al maresciallo non arriva più alcuna notizia. Né gli risulta venisse informata l’Autorità Giudiziaria. Come nulla fosse accaduto. Anzi, una cosa accade: “da quel momento” dichiara, “sono stato escluso da qualunque indagine del genere”. Non solo, il mese successivo lo zelante sottufficiale viene trasferito nell’isola d’Ischia. Ma lui non ci dorme la notte e dal suo confino invia due belle relazioni di servizio: una al Comandante Provinciale della Guardia di Finanza l’altra a quello Regionale. SE QUEI CAMION della morte furono infine fermati lo si deve ai Carabinieri, che solo tre anni dopo arrestarono i fratelli Roma. Quando ormai terreni e falde acquifere della zona erano irrimediabilmente avvelenati. Sia come sia, l’ac - cusa del maresciallo Carione potrebbe essere il primo squarcio in un velo di Maja che in questa fetentissima storia delle scorie interrate può nascondere connivenze inconfessabili e responsabilità quindi non solo dell’Antistato. Ma, come insinuava Carmine Schiavone, dello Stato.

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