martedì 24 dicembre 2013
Ilva, dissequestro e le ragioni dei Pm CASSAZIONE Il provvedimento dei giudici è sbagliato:
Il fatto quotidiano 24 dicembre 2013
sostanzialmente si
subordina il diritto alla
salute alle necessità
della produzione
ridi
Bruno Tinti
La Cassazione ha
annullato qualche
giorno fa il sequestro
Ilva. E’ una
pessima notizia per tanti motivi.
Si trattava di un sequestro
preventivo; garantiva
che il profitto dei reati commessi
dai Riva fosse confiscato
in caso di sentenza di condanna.
I presupposti del sequestro
erano dunque importanti:
secondo il giudice i
reati sussistevano e i Riva ne
erano colpevoli; diversamente
non avrebbe disposto il sequestro.
Il provvedimento
era anche assai prudente:
non si sequestravano i beni
di Ilva che, aveva detto il giudice,
dovevano servire al ripristino
della sicurezza degli
impianti; ma quelli dei Riva e
dunque di Riva Fire holding,
proprietaria di Ilva. Si trattava
di una bella somma: più
di 8 miliardi, di cui 2 già concretamente
sequestrati.
Adesso dovranno essere restituiti.
DA VOCI RACCOLTE in Cassazione
i motivi dell’annulla -
mento sarebbero tre: il giudice
avrebbe individuato beni
da sequestrare senza la richiesta
del Pm; alcuni dei reati
contestati ai Riva non erano
previsti dalla legge come
presupposto del sequestro; il
risparmio su spese per la sicurezza
non poteva essere
considerato profitto illecito.
Si tratta di voci e dunque occorrerà
attendere la sentenza.
Allo stato, però, mi sembra si
tratti di motivazioni sbagliate.
Se il Pm aveva omesso di indicare
alcuni beni su cui eseguire
il sequestro, l’annulla -
mento avrebbe dovuto riguardare
solo questa parte
del provvedimento; per quelli
indicati il sequestro doveva
essere mantenuto.
Nessun rilievo dovrebbe avere
la circostanza che alcuni
dei reati contestati ai Riva
non prevedevano il sequestro
preventivo; ne bastava uno
per legittimarlo.
Ma, soprattutto, è discutibile
la tesi per cui il profitto conseguente
a una consapevole
omissione dolosa non costituisce
provento di reato. Esistono
reati commissivi e
omissivi. Commissivo è un
reato di falso in bilancio; redigo
consapevolmente un bilancio
falso che mi assicura
un certo profitto. Questo
profitto è illecito e può essere
sequestrato preventivamente.
Ometto di spendere soldi
per l’adozione di misure di
sicurezza che la legge considera
obbligatorie; tanto che,
se non adottate, commetto il
reato di cui all’art. 437 codice
penale. Ovviamente conseguo
un profitto, consistente
nei soldi risparmiati. Secondo
la Cassazione – pare –
questo profitto non può essere
considerato illecito e
non può quindi autorizzare
un sequestro preventivo.
Non sembra molto convincente.
Ma la ragione per cui la
sentenza in questione mi
sembra assai preoccupante è
che si inserisce in una corrente
di pensiero, già propria
della Corte Costituzionale
(sentenza 85/2013) che, sostanzialmente,
subordina il
diritto alla salute alle necessità
della produzione e del lavoro.
La Corte Costituzionale
lo ha detto chiaramente:
“Non esiste una gerarchia tra
i diritti fondamentali, i quali
piuttosto vanno bilanciati, in
sede politica, secondo un criterio
di ragionevolezza. Il bilanciamento
realizzato con il
decreto salva Ilva è ragionevole,
trattandosi di assicurare
una tutela concomitante del
diritto al lavoro e dell'iniziativa
economica”. E ora la
Corte di Cassazione nega che
il ricavato delle condotte illecite
volte a ottimizzare i
proventi dell’ “iniziativa economica”
a danno della salute
dei lavoratori e della cittadinanza
costituisca profitto del
reato.
LA TESI, VA DETTO con
chiarezza, è inaccettabile. Ilva,
se produce, ammazza.
Forse, una volta messa in sicurezza,
non ammazzerà più;
ma, fino ad allora è irragionevole
consentirle di produrre.
E – sia chiaro – far funzionare
i macchinari per
metterli in sicurezza non ha
nulla a che fare con la produzione.
Per dirne una, le
aree di stoccaggio dei materiali
non avrebbero ragione
di esistere e una delle più gravi
fonti di inquinamento sarebbe
eliminata. Per mettere
l’azienda in sicurezza servono
soldi. Lo Stato non ne ha;
e, d’altronde, è irragionevole
che sia lo Stato a caricarsi di
un compito che spetta all’im -
prenditore. I Riva hanno più
volte dimostrato che le risorse
illecite accantonate con il
ricavato dell’omissione dolosa
di procedure di sicurezza
intendono tenersele ben
strette.
In questo quadro sembra evidente
che le ragioni del diritto
siano state piegate a
quelle dell’economia. Non è
cosa buona. Non in sé. E non
come precedente.
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