mercoledì 10 agosto 2011

energia, più sole meno speculazione

Più sole, meno speculazione


Terna, la societa’ responsabile della trasmissione e del dispacciamento dell'energia sull'intero territorio nazionale, ha diffuso ieri i dati del mese di luglio. I consuntivi elettrici sono da sempre ottimi indicatori dell’andamento economico del Paese e luglio 2011 ha chiuso con un calo del 3,9% della domanda elettrica rispetto a luglio 2010. Depurato dagli effetti del calendario e della temperatura, il calo si riduce a – 1,2%, ma evidenzia una crisi che non passa.
Ma c’è un dato interessante nel prospetto di Terna: l’energia elettrica prodotta dall’acqua in questi sette mesi è calata del 10,3%, ovvero di ben 3,4 miliardi di chilowattora, si sa l’idroelettrico costituisce l’essenza delle FER, ma il bilancio della produzione da rinnovabili rimane in attivo di 203 milioni di chilowattora, senza considerare la quota termoelettrica prodotta con le biomasse. Ed accade grazie al solare fotovoltaico.
Non che geotermia ed eolico siano in ribasso, al contrario crescono, ma il contributo decisivo è costituito dai tre miliardi di chilowattora in più prodotti col solare.
Nel solo mese di luglio il fotovoltaico ha infatti generato 1,3 miliardi di chilowattora (1.360 GWh per la precisione) a fronte dello 0,2 del luglio 2010.
Cala la generazione da fonti fossili, che in Italia si traduce essenzialmente nel gas, che nel mese scorso ha subito una contrazione dei consumi del 10,9% per effetto di un -20% dei consumi termoelettrici insieme a una flessione del 5,4% di quelli industriali.
Dunque a luglio più sole e meno metano.
Qualcuno potra' obiettare che il solare ci costa, vero ma non meno ci costa il metano, visto che in questi anni il leitmotiv è stato che ci occorreva nucleare (e carbone) per ridurre il consumo del gas, materia prima troppo costosa e volatile. Sui costi troppo alti del metano sul mercato italiano si discute da sempre, ma è evidente che il rialzo delle commodity energetiche è in gran parte effetto della speculazione da parte degli operatori del mondo della finanza, che si avvalgono di essi, così come di quelle agricole, per fare scommesse alfine di aumentare i loro guadagni.
Il sole invece non ha un prezzo e non si presta a questo gioco. Gli incentivi per il suo sviluppo vengono divisi in centinaia di migliaia di impianti (710 milioni di euro la spesa totale 2010), tendono alla distribuzione, non alla concentrazione e costituiscono un investimento che ha come trade-off meno inquinamento per tutti.
Certo il solare, come le altre fonti rinnovabili, non è equivalente alle fonti fossili, implicano un cambio di società: da quella della crescita infinita basata sull’illusione di un pianeta dalle risorse senza fine a quella del limite, fondata non sulla fantasia ma sulla concreta realtà di un solo tondo pianeta.
La crisi che non passa, anzi che cresce, è una crisi del modello di società che abbiamo costruito, purtroppo le ricette economiche proposte da governi, istituzioni internazionali, partiti politici ed anche sindacati, continuano a basarsi sulle usuali assunzioni del secolo scorso: nessun cambiamento di sistema viene proposto, si continua a credere che future innovazioni, unitamente a qualche piccolo aggiustamento nelle regole, ci assicureranno presto o tardi la ripresa dell’economia.
C’è un ministro che ancora oggi dice che nel giro di tre mesi risolveremo tutto, aggiungendo che: “è la nostra grande occasione per invertire il vento e vincere le elezioni del 2013” (Il Giornale 10 agosto 2011). E poi qualcuno si stupisce ancora se i fantomatici mercati non si fidano dell’Italia? Un Paese da 17 anni governato da persone con il solo obiettivo di vincere le successive elezioni? Con un orizzonte politico così ridicolo rispetto a problemi globali così seri?
Certo non è tutta colpa di chi ci ha governato, abbiamo un problema ed è un problema globale.
Già dieci anno fa, ai tempi del G8 di Genova e ancor prima nel 1999 (tempi di Seattle) criticavamo che la globalizzazione così come stava accadendo non funzionava. Per noi occidentali significava concentrarci sul consumo, su prodotti che potevamo permetterci solo perché fatti nel Paesi definiti come in via di sviluppo. La produzione si è spostata là e il nostro debito è aumentato, non poteva essere diversamente visto che produciamo sempre meno e consumiamo sempre di più. Ad ogni crisi abbiamo tagliato le spese (sociali) e immesso soldi sul mercato, ma ogni piccola ripresa che ne è sortita ha continuato a procedere sugli stessi binari: recupero dell’export ma aumento ancora maggiore dell’import (nei primi cinque mesi del 2011 lo squilibrio italiano import-export si è ampliato di ben 8 miliardi di euro) e l’aumento della produzione dei Paesi emergenti, sfruttato dagli speculatori, fa aumentare i prezzi della materi prime, energetiche ed agricole, aumentando la nostra spesa.
Semplicemente non è sostenibile questo sistema: usiamo e sprechiamo troppe risorse, aumentiamo le diseguaglianze, consumiamo troppo, lasciamo che siano gli speculatori a giudicare bilanci ed economie. A nulla serve vendere qualche bene di famiglia con le solite privatizzazioni, ciascuno di noi che si è trovato in difficolta’ economiche sa che vendere qualcosa in tali condizioni significa svenderlo e che il sollievo è momentaneo: alla fine ci si ritrova semplicemente più poveri.
Non è il mercato a non aver fiducia, siamo tutti noi ad aver paura del futuro. Abbiamo bisogno di riforme per tornare a credere in noi, a trovare motivi per cui valga le pena impegnarsi.
Serve una politica di redistribuzione del reddito, una fiscalità che recuperi risorse da chi le ha, serve un taglio netto della spesa militare, un grande piano casa per il recupero energetico del patrimonio edilizio, iniziando dalle scuole, servono meno auto e più trasporti collettivi, serve un piano per una green economy per sganciarci dalle fonti fossili. Tutte cose che ad esempio Sbilanciamoci ripete da anni.
Ma attenzione la green economy non è una nuova leva per continuare come prima, per “creare nuove occasioni di crescita“ (definizione OCSE), no significa posti di lavoro, uso più efficiente delle risorse, meno inquinamento, distribuzione del reddito meno diseguale e soprattutto senso del limite.
E’ una riforma etica, forse proprio per questo è difficile, ma è “una bella riforma” perché significa creare un futuro migliore. Come scriveva Benasayag(*), resistere è creare.


Roberto Meregalli
Beati i costruttori di pace

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