Andrea Palladino
INTERVISTA. Per Alberto Lucarelli, membro del gruppo estensore dei quesiti di giugno, la manovra del governo non rispetta la volontà popolare. «Serve la mobilitazione, subito».
lberto Lucarelli, ordinario di diritto pubblico alla Federico II e assessore ai Beni comuni della giunta de Magistris, scorre tra le mani il lungo testo del decreto legge firmato da Tremonti. Non riesce a togliere lo sguardo da quell’intreccio di norme che di fatto azzera il voto del 12 e 13 giugno.
Lei è tra gli estensori dei due quesiti sull’acqua, che hanno ottenuto un consenso storico. È stato rispettato il voto?
«Con questo decreto il governo viola il principio di cui all’articolo 75 della Costituzione, che riguarda la volontà referendaria. Il voto ha avuto come oggetto non soltanto l’acqua, ma in generale i servizi pubblici locali, e il popolo sovrano si è espresso in maniera chiara e netta, rifiutando l’applicazione dei principi di concorrenza nella gestione dei beni comuni».
Qual è l’impatto della manovra?
«In generale questo decreto colpisce al cuore l’intero movimento dei beni comuni e tutta l’esperienza innovativa che anche a Napoli stiamo portando avanti. C’è poi un problema grave di costituzionalità, non solo all’articolo quattro. L’articolo tre, ad esempio, quando annuncia nuove norme da applicare “in attesa della riforma della Costituzione”, sovverte il principio gerarchico delle fonti. In sostanza cambia la Costituzione saltando tutte le procedure: con un semplice decreto legge si colpisce al cuore una norma chiave della Costituzione economica. E questa è la cosa più grave in assoluto».
È possibile una reazione?
«Assolutamente si. Sarà necessario affermare con forza che il popolo sovrano si è espresso su questi temi solo due mesi fa e in un modo inequivocabile. Ventisette milioni di italiani hanno respinto il modello neoliberista che ora il governo sta riproponendo con un decreto. Una cosa inaudita. Sul piano del diritto costituzionale non può essere riproposta la liberalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici locali».
http://www.terranews.it/news/2011/08/%C2%ABun-decreto-legge-che-viola-la-costituzione%C2%BB
Andrea Palladino
PRIVATIZZAZIONI. L’articolo quattro del provvedimento presentato venerdì in Consiglio dei ministri forza i Comuni a cedere i servizi pubblici locali ai privati. Esclusa, per ora, l’acqua.
Soli e disarmati. È questo lo scenario che Tremonti ha disegnato per i Sindaci italiani, rivedendo sostanzialmente le norme che regolano i servizi pubblici locali. Un intervento che si delinea come un attacco frontale al referendum popolare del 12 e 13 giugno, mascherato malamente dalla esclusione formale – e non sostanziale – della gestione dell’acqua, infilato nella manovra economica seguendo i suggerimenti silenziosi delle grandi lobby europee. Con un messaggio chiaro rivolto alle amministrazioni comunali: se non privatizzate i vostri servizi, dovrete rendere conto non solo all’esecutivo, ma soprattutto alle grandi multinazionali. È un pessimo decreto, che nella parte sui servizi serve a far rientrare dalla finestra la legge Fitto-Ronchi e quell’articolo 23 bis abrogato lo scorso giugno. Da subito sono a rischio le gestioni pubbliche dei rifiuti, ad esempio, che potranno cadere nella mani di quelle stesse società responsabili delle tante emergenze italiane.
Occorre partire da una data storica, il 12 gennaio 2011, quando la Consulta accolse due dei tre quesiti sul sistema idrico, presentati dal movimento per l’acqua e accompagnati da 1,4 milioni di firme. La prima norma sottoposta a referendum, che gli elettori hanno poi abrogato, era l’articolo 23 bis della legge Fitto-Ronchi. La Corte Costituzionale – al comma 3 della sentenza che ha ammesso il primo quesito referendario – spiega con chiarezza qual era il tema del voto: «Il quesito numero uno riguarda la disciplina generale delle modalità di affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica». Ovvero, non solo l’acqua, ma quell’insieme di prestazioni quotidiane che i cittadini ricevono nei territori dove vivono e che costituiscono il vero essenziale per la vita. È la gestione dei rifiuti, il servizio di trasporto che ogni giorno ci porta al lavoro o a scuola, oltre all’acqua per bere e per lavarci. Un insieme di valori che gli italiani hanno chiesto, con il voto, di restituire alla sfera dei beni comuni. Quel primo quesito era dunque chiaro ed inequivocabile.
L’intervento legislativo per recepire il voto popolare era nell’aria fin da giugno. I grandi gestori privati dei servizi locali ci speravano e, anzi, hanno subito chiesto – senza dare troppo nell’occhio – una norma “salva affari” da varare in extremis. Ed ecco apparire tra i primi articoli della manovra di ferragosto, data non casuale, «l’adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione Europea». Partiamo dall’ultimo comma, il numero 34, che esclude dall’applicazione del decreto la gestione delle risorse idriche. Si tratta in realtà di una scelta puramente tattica da parte del governo, per evitare la violazione eclatante del voto popolare che avrebbe potuto bloccare la firma di Napolitano. È il segno di una apparente schizofrenia: giuridicamente non ha senso l’esclusione delle risorse idriche, visto che questa parte della manovra annuncia fin dal titolo l’accoglimento del voto di giugno.
Il decreto di Tremonti va in senso opposto al voto referendario già al primo comma dell’articolo quattro, creando una gerarchia nella scelta che i Sindaci dovranno seguire per affidare i servizi. La priorità rimane quella del decreto Ronchi: il «rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi». Porte aperte, anzi, apertissime per i privati. L’unica possibilità per la amministrazioni comunali sarà di dimostrare che la cessione dei servizi alle multinazionali non è «idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità». Scelta che dovrà essere fatta attraverso una delibera, aprendo un possibile contenzioso amministrativo con la grandi società interessate alla gestione dei beni comuni. E su questo punto il governo ci mette, come si dice, il carico da novanta. L’articolo cinque della manovra crea un fondo infrastrutture da mezzo miliardo di euro per i comuni che cederanno le partecipazioni nelle municipalizzate ai privati. Un buon incentivo per privatizzare, in un’epoca di vacche magre.
L’esclusione dell’acqua non è poi così chiara. L’impianto generale della norma apre, come abbiamo visto, un vulnus evidente, ponendosi in aperto contrasto con l’interpretazione del quesito arrivata dalla Consulta. C’è però un passaggio che coinvolge direttamente il sistema idrico integrato, al comma 28: la gestione delle reti «può essere affidata a soggetti privati», afferma il decreto. Rimane in ogni caso il pericolo concreto che in un futuro non lontano vi possa essere l’atto finale della “manovra” del governo, magari semplicemente togliendo quell’ultimo comma. Le carte si scopriranno presto, quando si aprirà il dibattito in Parlamento.
http://www.terranews.it/news/2011/08/la-manovra-di-tremonti-affonda-il-referendum
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento