PIÙ COMPLICATO
PROVARE I REATI; SULLA PRESCRIZIONE CAMBIA POCO, ALTRO CHE MAI PIÙ ETERNIT
“A B U S I VA M E N T E ”
L’avverbio della discordia
non piace nemmeno
alla Suprema Corte:
“Non era necessario”.
E forse viola una sentenza
della Consulta del 2004
di Marco Palombi
D
opo molti magistrati
esperti del tema
e un pezzo per
quanto minoritario
del mondo ambientalista, adesso
anche la Cassazione esprime
alcune perplessità in merito alla
legge sugli ecoreati, quella che
ha recentemente introdotto le
fattispecie di “inquinamento
ambientale” e “disastro ambientale”
nel codice penale.
La relazione sulla legge, stesa
come sempre accade per le novità
di rilievo dall’Ufficio del
Massimario della Suprema
Corte, è peraltro simpatetica: in
molti punti la nuova legge viene
promossa e si sottolinea pure
come un intervento legislativo
sul tema fosse “atteso da tempo”.
Le critiche, però, laddove
arrivano, non sono di poco conto
e mettono in dubbio gli effetti
immaginati dai promotori.
Definizioni poco chiare, reati
più difficili da dimostrare
Il primo rilievo della Cassazione
riguarda la formulazione vaga
di quando intervengono i
reati di inquinamento e disastro
ambientale: in particolare l’in -
ciso sulla “compromissione” o
il “deterioramento” di “porzio -
ni estese o significative del suolo
o del sottosuolo”:“È indubbio -
scrive l’Ufficio del Massimario -
che categorie così (in)definite
possano provocare incertezze
in sede processuale e, soprattutto,
dilatare eccessivamente lo
spazio di discrezionalità del
giudicante”. Se tutto va bene, è
la conclusione, ci penserà negli
anni la giurisprudenza a mettere
le cose a posto.
Più profonda, pur nel linguaggio
della Suprema Corte, la negatività
sottolineata quanto al
fatto che la legge vuole punire
chi “cagiona” inquinamento o
disastro a un ecosistema: essendo
i nuovi reati, tecnicamente
parlando, “di evento”, la formula
presuppone “la necessità -
d’ora in avanti - della prova di
un diretto ed indiscusso rapporto
eziologico, sia pure in termini
di concausa, fra la condotta
e l’evento di inquinamento,
sicché non potranno non essere
prese in considerazione ed attentamente
valutate le situazioni
molto frequenti di preesistente
compromissione delle
matrici ambientali”. Risultato:
“La costruzione normativa del la fattispecie di inquinamento
(e di disastro) in forma di reato
di evento passa, sul piano processuale
e probatorio, attraverso
sentieri meno agevoli rispetto
a quelli praticabili” nel passato.
L’onere della prova, insomma,
per l’accusa sarà più
pesante.
Pure il contestato avverbio
“abusivamente” (chiunque cagiona
abusivamente un disastro)
inserito nella legge non è piaciuto
molto alla Cassazione: bisognerà
vedere, soprattutto, “se
la formulazione rispetta gli in segnamenti dalla Corte Costituzionale
in tema di ‘determi -
natezza’ della incriminazione
penale”. Magari è tutto a posto,
ma “è lecito comunque dubitare
della concreta necessità dell’in -
serimento della clausola”, che
poi sarebbe l’avverbio.
Casi Eternit? Resterebbero
comunque impuniti
Lo aveva già fatto notare il procuratore
aggiunto di Torino,
Raffaele Guariniello: il processo
Eternit, quello sull’inquina -
mento da amianto in Piemonte,
anche con questa nuova legge
finirebbe in prescrizione. La
previsione trova conferma
nell’analisi della Cassazione. I
sostenitori delle norme sottolineano
il raddoppio dei termini
della prescrizione, che per il disastro
arriva dunque a 40 anni.
Solo per quello doloso, però,
cioè realizzato nella piena consapevolezza
dal colpevole. Una
cosa molto difficile da dimostrare,
adesso anche di più
quanto “per la presenza, nella
nuova legge, di corrispondenti e
‘confinanti’figure colpose di inquinamento
e di disastro ambientale,
che potrebbero fungere
da catalizzatore nell’inqua -
dramento (in particolare, sub
specie di colpa con previsione)
della maggior parte dei casi pratici”.
Insomma, dice l’Ufficio
del Massimario, alla fine verrà
usato quasi sempre il disastro
colposo, in cui la pena di
vent’anni può essere scontata
fino a due terzi (e la prescrizione
con lei). Fine dei “processi Eternit”
visto che la Cassazione ha
stabilito - ricorda la relazione
della Suprema Corte - che il reato
ambientale finisce nel momento
in cui finisce l’atto che lo
causa (e la nuova legge di questo
non si occupa). Esempio: quando
la fabbrica chiude comincia a
correre la prescrizione, ma gli
effetti del reato a volte ci mettono
molti anni a manifestarsi.
Risultato: gli inquinatori devono
solo tirarla per le lunghe. Facile,
come scrive anche la Cassazione,
con questa legge. il fatto quotidiano 4 giugno 2015
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