M
I NAC C E ci sono state contro il
giudice
Nicola Iansiti che ha ricevuto
un
proiettile via posta; e altri
proiettili
furono spediti all’ex questore
Nicolò
D’Angelo; e poi ci sono
state
le auto bruciate in serie al
vicesindaco
di Aprilia, il quale, stremato,
si
è dimesso. Messe tutte
insieme
in ordine e in sequenza
temporale
fanno più paura che a
caldo.
E, in più, rimandano l’imma -
gine
di un territorio che ha una
quantità
di smagliature nella legalità
da
far tremare i polsi. Una volta
che
nel mirino è entrato il Tribunale,
cioè
la massima espressione
dell’amministrazione
della giustizia,
resta
davvero poco altro per
sperare
che si possa tornare indietro
o
andare avanti solo grazie alla
solidarietà,
pur legittima, sentita e
apprezzabile.
A chi nuoce un Tribunale
che
funziona? In realtà a una
molteplicità
di soggetti e alcuni di
questi
«soffrono» più di altri. Non si
tratta
solo delle sentenze inflitte alla
fine
del dibattimento ma anche di
cosa
succede nei dibattimenti. Come
vengono
trattati i testimoni per
esempio,
anche quelli reticenti, improvvisamente
smemorati
se non addirittura
minacciati.
E poi ci sono le
misure
cautelari personali e reali, le
misure
di prevenzione, fronte quest’ultimo
su
cui proprio l’Ufficio di
Latina
ha mostrato grande impegno
negli
ultimi due anni, anche in considerazione
dell’imponente
volume
di
patrimoni accumulati illecitamente
su
tutto il territorio e non solo
dalla
malavita organizzata. La vita
attiva
in piazza Buozzi non è stata
mai
davvero «semplice» o da periferia
dell’impero.
Due processi per
fatti
di mafia sono stati trasferiti a
Roma
per motivi di sicurezza e per
la
stessa ragione uno si è svolto a
porte
chiuse. Era il sintomo di una
malattia
più grave del clima intimidatorio
e
pesante che avvolge alcuni
casi
giudiziari gravi, con il rischio
di
pene pesanti. Se ne sono registrati
anche
altri in processi meno delicati.
Adesso
di fronte al manifesto
minatorio
tutto questo sembra un
«quadro
indiziario» concordante e
inequivoco
sul livello di scontro e
insicurezza
che si stava alzando, sul
termometro
messo al centro della
criminalità
dilagante che già scottava.
La
larga solidarietà espressa ieri
al
giudice Aielli aiuta ad evitare la
classica
frase «non lasciamola sola
».
E può aiutare altresì a rivedere
i
giudizi allegri, facili e sbrigativi,
dati
finora su chi lancia allarmi
contro
la criminalità o su chi parla
di
una città effettivamente sempre un
po’
sola.
Graziella
Di Mambro
IL
QUOTIDIANO - Giovedì 20 Novembre 2014 Latina 3
Nessun commento:
Posta un commento