La
ricostruzione
del
consigliere
diplomatico
di
quattro titolari
del
dicastero,
da
Rufolo a Spini
di
Giuseppe
Cassini
Essendo
stato consigliere diplomatico di quattro ministri
dell’Ambiente
(Ruffolo, Ripa di Meana, Rutelli
e
Spini), ho dovuto accumulare nel tempo una purtroppo
voluminosa
“cartella clinica”. La apro a caso ed estraggo
un
breve passaggio di un memorandum che il ministro
d’allora
mi chiese di scrivere: “I programmi di risposta ai
cambi
climatici in atto hanno il loro massimo punto di
riferimento
nell’IPCC, gruppo intergovernativo composto
di
centinaia di scienziati e patrocinato dall’Onu, che
tenemmo
a battesimo nel 1988 a Ginevra dove lavoravo
allora
(ricordo ancora le fatiche per ottenere i primi modesti
fondi
da Roma). La partecipazione
dell’Italia
è ora
menomata
da un episodio di
lottizzazione
imposta da
Corrado
Clini in nome della
sua
affinità partitica. Vennero
accreditati
all’IPCC due
climatologi
contraddistinti
dalla
dedizione al Psi piuttosto
che
da chiara fama
scientifica:
erano notoriamente
scettici
sulle conclusioni
raggiunte
dagli oltre
200
scienziati mondiali circa
le
minacce dell’effetto serra
al
clima globale. Mi sono
dunque
trovato a Washington, catapultato ai negoziati
della
Convenzione mondiale sul Clima, sotto la scorta dei
due
‘esperti’, i quali si sono presentati la prima sera nella
mia
camera d’albergo per chiedermi conto della posizione
negoziale
italiana, da loro giudicata ‘allarmistica e incompatibile
con
gli interessi dell’economia italiana’”.
QUESTA
SCENA degna del
Padrino
non era che
uno dei
tanti
episodi di cui è costellata la carriera di Clini. Storiche
le
sue battaglie per ritardare l’introduzione in Italia della
marmitta
catalitica, battaglie combattute per conto della
Fiat
e destinate invece a regalare nuovi mercati alle auto
tedesche.
Memorabile
il suo tradimento nei riguardi dei quattro
ministri
progressisti (Ruffolo, Ripa di Meana, Rutelli e
Spini)
che l’avevano appoggiato malgrè
tout: nel
1994, fiutato
il
vento, il Nostro offrì a Forza Italia un “programma
ambientale”
a uso degli Attila pronti a insediarsi al governo;
e
il 7 giugno 1994 sferrò sul Sole
24 Ore la
pugnalata
finale
ai quattro ministri accusandoli di aver “gestito la
Convenzione
sul Clima solo come patente verde da esibire”.
Nessun
ministro successivo è riuscito a disfarsi di Clini: né
Edo
Ronchi né Willer Bordon né tanto meno Mario Monti,
che
anzi dovette piegarsi ai voleri di chi glielo impose
addirittura
come ministro. Caso unico in Europa di ministro
nominato
all’Ambiente per sabotarlo.
il fatto quotidiano 28 maggio 2014
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