Analizzando i bilanci dei primi 25 gruppi produttori di energia si scopre che per la prima volta il risultato è negativo per 3,5 miliardi. Pesano svalutazioni degli asset per 100 miliardi negli ultimi 4 anni e il calo della domanda. In dodici mesi la capitalizzazione di Borsa complessiva è calata di 79 miliardi. In leggera ripresa gli investimenti
di LUCA PAGNIVerrà ricordato con l'anno nero dei colossi europei dell'energia. Per la prima volta, i conti dei primi 25 guppi del settore elettrico non tornano e complessivamente hanno denunciato un rosso di 3,5 miliardi. Un risultato negativo dovuto al fatto che 12 società su 25 hanno presentato nel 2015 un bilancio negativo. Un mondo completamente rovesciato rispetto a quattro anni fa, quando nel loro insieme le più grandi utility del Vecchio Continente avevano un attivo per 23 miliardi.Sono i dati più eclatanti che emergono da uno studio ("Barometro finanziario delle società energetiche europee") che ogni anno viene redatto dalla società specializzata francese "Watt's Next Conseil" e che è appena stato pubblicato. Dai numeri emerge, una volta di più, la rivoluzione in atto nel settore, causata dal successo inarrestabile delle rinnovabili nonché dal calo della domanda, in parte legata al rallentamento della produzione industriale in alcuni paesi e dall'altra dall'aumento dell'efficenza energetica. Oltra alle politiche di alcuni governi i quali hanno avviato il processo di uscita dal nucleare (Germania su tutti).
Una sorta di tempesta perfetta che coinvolge un settore dai numeri pur sempre considerevoli: sempre riferito al 2015, genera un giro d'affari per 640 miliardi, 103 miliardi di reddittività e dà lavoro a quasi un milione di persone (per la precisione 919mila). Si tratta di società che hanno contribuito all'economia con investimenti totali per 63 miliardi nel corso degli ultimi dodici mesi e con una capitalizzazione di Borsa che a fine giugno era pari a 264 miliardi (riferite alle 20 società quotate sulle 25 prese in considerazione), in calo di 79 miliardi rispetto all'anno precedente e con dividendi distribuiti per 17 miliardi.
Ma nell'ultimo anno, molte aziende hanno accelerato la loro transizione verso un nuovo modello di business, chiudendo alcuni conti con il passato, il che si è tradotto inevitabilmente in una serie di svalutazioni che ha inciso notevolmente sui conti. Negli ultimi quattro anni, sono stati così svalutati o ceduti asset per 100 miliardi: emblematico il caso della principale utility tedesca, il gruppo privato E.On che ha dato vita a una "bad company" in cui far confluire le società in perdita o da mettere in vendita. La maggiori svalutazione degli attivi sono state della francese Engie (8,7 miliardi), seguita da E.on (8,5 miliardi), dalla svedese Vattenfall (3,8 miliardi), dall'altra francese Edf (3,5 miliardi) e dalla britannica Centrica (3,2 milairdi)
Conseguentemente, E.On guida la classifica delle società - come si legge nel report di Watt's Next Conseil - che hanno registrato le maggiori perdite nel corso del 2015, con un rosso per 7 miliardi, seguita da Engie (4,6 miliardi) e Vattenfall (,1,7). Non sono bastati, all'altro estremo della classifica, i risultati positivi per la finlandese Fortum (4,13 miliardi di utili), la spagnola Iberdrola (2,4 miliardi) ed Enel (2,2 miliardi).
Non per nulla, tutte le utility hanno imboccato la strada che porta a investire sempre di più nelle rinnovabili, nelle reti intelligenti (sempre più connesse al settore trasporto) e nell'efficenza energetica. Una transizione, per certi versi, ancora contraddittoria: in attesa di andare verso un futuro energetico dominato da gas e rinnovabili, come indicano gli esperti, si usa ancora molto carbone.
Ma le utility che per prime hanno imboccato questa nuova strada possono contare su un elemento positivo: la crisi ha costretto i capi azienda a ridurre l'indebitamento per mettere in sicurezza i bilanci, salvaguardare i dividendi (spesso si tratta di società a controllo statale) e recuperare risorse
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