martedì 27 gennaio 2015
in Italia Quando la persecuzione si trasformò in genocidio Dal libro “La nostra Shoah Italiani, sterminio, memoria” di Carlo Greppi
di Carlo Greppi
V
ietato l'ingresso agli
ebrei e ai cani. Decine e
decine di cartelli di questo
tipo sono oramai nell’i mmaginario
comune, oggi che
sappiamo che anche in Italia
la legislazione e la cultura
antisemita che dilagarono
nel volgere di un’estate – ma
con radici, anche di stampo
cattolico, ancorate in tempi
recenti e lontani – avrebbero
avuto conseguenze tremende.
Prevedibili, all’inizio:
dopo le leggi razziali del
1938 migliaia tra i perseguitati
incominciarono a fuoriuscire
anche dall'Italia fascista.
A partire dagli “ebrei
stranieri”: quando si intravedevano
solo gli oscuri presagi
dello sterminio, nel
cuore degli anni Trenta, per
oltre diecimila persone “di
razza ebraica” dell'Europa
centro-orientale l’Italia fascista
era stata una terra di
rifugio. Precario, oggi lo
sappiamo. Circa novemila
di loro furono colpiti dal decreto
di espulsione del 7 settembre
del 1938, che inaugurò
una vicenda grottesca
di rettifiche, retate, proroghe
e pressioni psicologiche
che nel giro di sei mesi riuscì
comunque a cacciarne o a
indurne alla fuga oltre la
metà, sebbene molti paesi
non li volessero più. L'Europa
centro-orientale era
sempre più pericolosa, e nonostante
le continue partenze
non si arrestò il flusso in
ingresso.
Dall’estate del 1939 fu consentito
agli “ebrei stranieri”
solo il transito per l'imbarco,
per la fuga via mare.
Quando buona parte del nostro
territorio venne occupato,
gli uomini e le donne
ritenuti “di razza ebraica”
(italiani o stranieri) che in
cinque anni avevano perso,
per la maggior parte, ogni
certezza sociale, economica,
umana, si trovarono a dover
fronteggiare un cambiamento
radicale: quella che –
secondo la periodizzazione
di Michele Sarfatti – prima
della guerra in casa era stata
solo una persecuzione “dei
diritti” (1936-1943) diventò
una persecuzione “delle vite”
tra il 1943 e il 1945.
Per gli uomini e le donne
della nascente Repubblica
sociale italiana e i loro collaboratori
e per gli italiani
che collaborarono con i nazisti
nelle due “zone di operazione”
le prede rimaste intrappolate
sul territorio di
loro competenza «di religione
o identità ebraica» erano
non meno di trentatremila.
Quanti di loro si salvarono?
... Noi, nati in tempo di pace,
abbiamo avuto più fortuna
di loro ma – come ci ricorda
il Max Aue de Le benevole –
non siamo migliori. Se non
ci rendiamo conto che il
“male potenziale” è presente
in ciascuno e che è la responsabilità
individuale a
renderci attori della storia,
ogni comodo mito e anti-mito
troverà terreno fertile
su cui crescere. il fatto quotidiano 27 gennaio 2015
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