CONTINUA LA PROTESTA DELL’INDOTTO
REAZIONI
Sindacati
spiazzati:
la
Uil chiede di integrare
il
reddito dei lavoratori,
mentre
l’Usb dichiara
lo
sciopero. Scontro
tra
la Fim-Cisl e la Fiom
L’Ilva
dell’era Renzi rischia
di
essere una
trappola.
Secondo le
voci
fatte circolare ieri
molto
insistentemente dai sindacati
dell’azienda
di Taranto, si sta
preparando
la cassa integrazione
per
5.000 lavoratori. Si tratta di una
cifra
record, anzi una “cifra-choc”
come
la definisce il quotidiano pugliese
la
Gazzetta
del Mezzogiorno.
CINQUEMILA
DIPENDENTI corri
-
spondono
a circa il 50 per cento
dell’intera
forza-lavoro nello stabilimento
di
Taranto e potrebbero
essere
collocati in cassa integrazione
a
rotazione.
Si
tratta del numero massimo che
l’azienda
avrebbe già indicato alle
organizzazioni
sindacali e che sarà
oggetto
di trattativa al ministero
dello
Sviluppo economico a partire
da
martedì prossimo.
La
cassa integrazione spazzerebbe
via
la prospettiva dei contratti di
solidarietà
che per due anni avevano
interessato
un numero massimo
di
3.553 lavoratori. Stiamo
parlando
della fase in cui l’azienda
era
sottoposta all’amministrazione
straordinaria
ma sempre nelle mani
della
proprietà privata dei Riva,
nonostante
i guai giudiziari della
famiglia.
Ora
l’Ilva entra in amministrazione
controllata
con un decreto ad
hoc
da
parte del governo che lo ha presentato
come
strumento risolutivo.
Non
solo, il governo ha emanato
anche
un secondo decreto in cui
viene
istituita una nuova struttura
pubblica
dedicata al risanamento
delle
fabbriche in crisi.
Eppure,
la prima conseguenza della
nuova
fase è una soluzione che rischia
di
essere esplosiva per la città.
Da
lunedì scorso, infatti, si susseguono
le
manifestazioni dei lavoratori
dell’indotto
che hanno organizzato
cortei
e blocchi stradali per
protestare
contro la situazione in
cui
sono state gettate le loro aziende.
Secondo
Confindustria, infatti,
sono
circa 600 i milioni di crediti
arretrati
e non pagati. L’impatto sui
dipendenti
è stato micidiale.
LA
REAZIONE DELLA UILM ,
il primo
sindacato
in azienda, non è dirompente:
“Crediamo
che le istituzioni,
a
tutti i livelli, debbano impegnarsi
a
trovare strumenti di sostegno
di
integrazione al reddito, a
prescindere
dal tipo di ammortizzatore
sociale
che verrà adottato” ,
hanno
dichiarato il segretario di
Taranto
Antonio Talò e le Rappresentanze
sindacali
unitarie (Rsu)
riferendosi
alla trattativa che inizierà
al
Ministero dello Sviluppo
economico.
Più
netta la protesta dell’Unione
sindacale
di base (Usb), terzo sindacato
in
azienda, che ha proclamato
lo
sciopero ad oltranza dei
lavoratori
dell’Ilva a partire dalle 7
di
mercoledì prossimo con presidio
permanente
davanti a tutte le portinerie.
L'iniziativa,
spiegano, viene
assunta
“vista la gravissima situazione
dell’indotto
Ilva e vista l’as -
senza
di risposte concrete ai problemi
di
migliaia di lavoratori e delle
loro
famiglie” e “a sostegno della
protesta
degli stessi”.
Resta
in piedi anche l’occupazione simbolica dell’aula consiliare del
Municipio
dopo che lo stesso sindaco
di
Taranto Ippazio Stefàno,
che
nei giorni scorsi ha scritto due
lettere
a Renzi accennando anche a
''possibili
problemi di ordine pubblico”,
ha
consegnato agli operai le
chiavi
della sala in cui si celebrano
le
sedute del Consiglio comunale.
Sempre
sul piano sindacale, invece,
si
assiste a uno scontro tra Fiom e
Fim-Cisl.
I metalmeccanici della
Cgil,
infatti, hanno chiesto la conferma
dei
contratti di solidarietà
ma
la Fim Cisl fa rilevare che proprio
la
Fiom un anno fa si rifiutò di
firmare
la proroga dello stesso contratto
e
che la sua presa di posizione
in
questo momento è da considerare
“solo
un appello di facciata a
scapito
dei lavoratori”.
La
Cgil di Taranto, invece, propone
di
“ricorrere al fondo Fintecna (150
milioni),
anche attraverso l’antici -
pazione
dal fondo strategico, per
pagare
i crediti delle imprese
dell’indotto”.
La
situazione è dunque ancora
drammatica
e il risanamento, se
fatto
in questo modo, rischia di essere
pagato
solo dai lavoratori e dai
soldi
pubblici della cassa integrazione.
s.
can.
DOMENICA
25 GENNAIO 2015 il
Fatto Quotidiano
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