domenica 25 gennaio 2015

Ilva, Renzi inizia male: cinquemila operai in cassa integrazione L’AZIENDA È IN CRISI DI LIQUIDITÀ E POTREBBE DECIDERE DI LASCIARE A CASA METÀ DELL’ORGANICO.

CONTINUA LA PROTESTA DELL’INDOTTO
REAZIONI
Sindacati spiazzati:
la Uil chiede di integrare
il reddito dei lavoratori,
mentre l’Usb dichiara
lo sciopero. Scontro
tra la Fim-Cisl e la Fiom
L’Ilva dell’era Renzi rischia
di essere una
trappola. Secondo le
voci fatte circolare ieri
molto insistentemente dai sindacati
dell’azienda di Taranto, si sta
preparando la cassa integrazione
per 5.000 lavoratori. Si tratta di una
cifra record, anzi una “cifra-choc”
come la definisce il quotidiano pugliese
la Gazzetta del Mezzogiorno.
CINQUEMILA DIPENDENTI corri -
spondono a circa il 50 per cento
dell’intera forza-lavoro nello stabilimento
di Taranto e potrebbero
essere collocati in cassa integrazione
a rotazione.
Si tratta del numero massimo che
l’azienda avrebbe già indicato alle
organizzazioni sindacali e che sarà
oggetto di trattativa al ministero
dello Sviluppo economico a partire
da martedì prossimo.
La cassa integrazione spazzerebbe
via la prospettiva dei contratti di
solidarietà che per due anni avevano
interessato un numero massimo
di 3.553 lavoratori. Stiamo
parlando della fase in cui l’azienda
era sottoposta all’amministrazione
straordinaria ma sempre nelle mani
della proprietà privata dei Riva,
nonostante i guai giudiziari della
famiglia.
Ora l’Ilva entra in amministrazione
controllata con un decreto ad hoc
da parte del governo che lo ha presentato
come strumento risolutivo.
Non solo, il governo ha emanato
anche un secondo decreto in cui
viene istituita una nuova struttura
pubblica dedicata al risanamento
delle fabbriche in crisi.
Eppure, la prima conseguenza della
nuova fase è una soluzione che rischia
di essere esplosiva per la città.
Da lunedì scorso, infatti, si susseguono
le manifestazioni dei lavoratori
dell’indotto che hanno organizzato
cortei e blocchi stradali per
protestare contro la situazione in
cui sono state gettate le loro aziende.
Secondo Confindustria, infatti,
sono circa 600 i milioni di crediti
arretrati e non pagati. L’impatto sui
dipendenti è stato micidiale.
LA REAZIONE DELLA UILM , il primo
sindacato in azienda, non è dirompente:
Crediamo che le istituzioni,
a tutti i livelli, debbano impegnarsi
a trovare strumenti di sostegno
di integrazione al reddito, a
prescindere dal tipo di ammortizzatore
sociale che verrà adottato” ,
hanno dichiarato il segretario di
Taranto Antonio Talò e le Rappresentanze
sindacali unitarie (Rsu)
riferendosi alla trattativa che inizierà
al Ministero dello Sviluppo
economico.
Più netta la protesta dell’Unione
sindacale di base (Usb), terzo sindacato
in azienda, che ha proclamato
lo sciopero ad oltranza dei
lavoratori dell’Ilva a partire dalle 7
di mercoledì prossimo con presidio
permanente davanti a tutte le portinerie.
L'iniziativa, spiegano, viene
assunta “vista la gravissima situazione
dell’indotto Ilva e vista l’as -
senza di risposte concrete ai problemi
di migliaia di lavoratori e delle
loro famiglie” e “a sostegno della
protesta degli stessi”.
Resta in piedi anche l’occupazione simbolica dell’aula consiliare del
Municipio dopo che lo stesso sindaco
di Taranto Ippazio Stefàno,
che nei giorni scorsi ha scritto due
lettere a Renzi accennando anche a
''possibili problemi di ordine pubblico”,
ha consegnato agli operai le
chiavi della sala in cui si celebrano
le sedute del Consiglio comunale.
Sempre sul piano sindacale, invece,
si assiste a uno scontro tra Fiom e
Fim-Cisl. I metalmeccanici della
Cgil, infatti, hanno chiesto la conferma
dei contratti di solidarietà
ma la Fim Cisl fa rilevare che proprio
la Fiom un anno fa si rifiutò di
firmare la proroga dello stesso contratto
e che la sua presa di posizione
in questo momento è da considerare
solo un appello di facciata a
scapito dei lavoratori”.
La Cgil di Taranto, invece, propone
di “ricorrere al fondo Fintecna (150
milioni), anche attraverso l’antici -
pazione dal fondo strategico, per
pagare i crediti delle imprese
dell’indotto”.
La situazione è dunque ancora
drammatica e il risanamento, se
fatto in questo modo, rischia di essere
pagato solo dai lavoratori e dai
soldi pubblici della cassa integrazione.
s. can.

DOMENICA 25 GENNAIO 2015 il Fatto Quotidiano


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