sabato 8 marzo 2014
Nerina Dirindin “Sui prezzi Big Pharma fa business” a proposito dell'ennesimo scandalo malasanità
Lei, la senatrice del Pd Nerina Dirindin,
c’è stata al tavolo della commissione
Prezzi e Rimborsi dell’Aifa, il passaggio cruciale
per gli interessi giganteschi delle multinazionali
che sfornano pillole sempre più
preziose: quanto vale per lo Stato italiano il
tal medicinale? È giusto rimborsare 700 euro
una dose di Lucentis quando l’omologo
Avastin ne vale 80? Decide l’Agenzia del farmaco,
e in ballo ci sono montagne di soldi,
oltre alla salute dei cittadini.
Senatrice, com’è stare a quel tavolo?
Scomodo. Bisogna garantire le migliori terapie
ai pazienti ottenendo i costi più contenuti
per lo Stato: equazione difficile.
Specie se i produttori vogliono fare business.
La prepotenza delle multinazionali non conosce
limiti. Vogliono tutto, sempre.
Un esempio?
Un bel giorno una mega
azienda chiede di alzare del
100% il prezzo di un suo
prodotto. Motivo ufficiale
del rincaro: l’aumento del
costo dell’energia elettrica
in Germania, paese dove si
produceva la medicina.
Energia rincarata del
100%?
Mah. Sta di fatto che ci fu
una gran discussione solo
per rinviare la questione.
Insomma l’Aifa funziona sì o no?
Dovrebbe funzionare meglio grazie a una diversa
struttura normativa, che consenta anche
di ampliare la platea dei soggetti attivi.
Cioè?
Oggi solo i produttori possono chiedere all’Aifa
di mettere a rimborso un certo farmaco,
seguendo le proprie logiche di mercato.
Se anche le Regioni avessero la stessa
facoltà, si potrebbe gestire la circolazione dei
medicinali con un bilanciamento diverso
degli interessi.
Non sarebbe più solo Big Pharma a decidere
cosa immettere nel mercato sanitario?
Esatto. E ci fu una sentenza del Tar, in Emilia
Romagna, che invitava lo Stato a legiferare in
questa direzione, per dare alle Regioni – che
spendono milioni di euro in medicine – un
diritto di intervento in materia, sempre sottoposto
all’ok finale dell’Aifa.
Ebbene?
La sentenza è ora all’esame della Corte costituzionale.
Aspettiamo.
C. P.
il fatto quotidiano 8 marzo 2014
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