giovedì 27 marzo 2014

Brescia, latte materno compromes so e tumori a seno e fegato, il rischio dell'acqua dal rubinetto senza controlli


Il problema di Brescia sono il cromo e i solventi organoalogenati,
sostanze altamente tossiche che risultano presenti nell’acqua potabile.
Che ci fa quella roba nel rubinetto? La falda che serve Brescia
ha subìto per decenni l’inquinamento dell’area industriale Caffaro,
a pochi passi dalla città. Le analisi dell’Asl, nel tempo, hanno dato
risultati più o meno allarmanti. Lo scorso gennaio due cittadini
hanno deciso di far analizzare a proprie spese alcuni campioni: il
primo prelievo, fatto in periferia, ha riscontrato una concentrazione
di 26,6 microgrammi di cromo per litro d’acqua, dato più di
due volte superiore rispetto a quello rilevato dalle analisi
Asl tre mesi prima. Il secondo test, in pieno centro,
ha scovato tracce di cromo esavalente per valori poco
più bassi ma comunque seri (circa 11,6 microgrammi
ogni litro). L’Asl, solo venti giorni prima, non aveva
riscontrato tracce della sostanza e l’acqua delle fontane
pubbliche risultava incontaminata. Da notare che la
California nel 2013 ha adottato un limite di 10 microgrammi
al litro, mentre quello in vigore in Europa
(50 microgrammi per il cromo totale) risale al 1958. Il
gestore dell’acquedotto, A2a, garantisce che tutto è
sotto controllo: nel miscelare l’acqua potabile è stata
aumentata la dose proveniente dalla fonte (pulita) di
Mompiano, e si sta tentando l’abbattimento del cromo versando
solfato ferroso nei pozzi sperimentali. Le dosi entrate nel circolo
vitale però stanno dove stanno: per esempio nel latte materno, o
nelle percentuali anomale di tumori al seno e al fegato. L’area inquinata
è di due milioni di metri quadri, secondo le stime.

il fatto quotidiano 27 marzo 2014 di Chiara Paolin

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