Sono
90 i Comuni del Lazio dove l’acqua non è potabile a
causa
dell’arsenico, un elemento naturale presente nel sottosuolo
per
l’origine vulcanica dei terreni, ma che è dannoso per
la
salute dell’uomo se concentrato in quantità eccessive. L’area
più
colpita è quella a nord della Capitale: secondo Legambiente,
solo a
Viterbo oltre 82 mila persone sono esposte al rischio.
Anche
a sud, tra Latina e l’area pontina, i Comuni sono alle prese
con
ordinanze che vietano il consumo dell’acqua, con onerosissimi
costi
per il servizio autobotti, e l’inevitabile contorno
di
denunce e polemiche. Da febbraio il
guaio
è arrivato anche a Roma, con il
divieto
emanato dal sindaco Ignazio Marino
di
utilizzare l’acqua per uso alimentare,
igiene
personale e ogni altro utilizzo
in
diverse strade dei Municipi XIV e XV
(Primavalle,
Labaro e Giustiniana). I comitati
dei
cittadini protestano ricordando
che da
anni hanno segnalato infezioni
intestinali
e problemi alla pelle. Semplice
la
sintesi fornita dall’Autorità per l’Energia,
che
stima per il Lazio una popolazione
di 300
mila persone tuttora a rischio
nonostante
le promesse di soluzioni lampo e un piano
regionale
allestito dopo i primi allarmi lanciati dall’Unione Europea
nel
2004: “I 9 anni di deroghe, scaduti il 31 dicembre 2012,
non
sono stati sufficienti a rientrare pienamente nei parametri
di
conformità”.
Chiara Paolin il fatto quotidiano 27 marzo 2014
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