martedì 11 giugno 2013

A tutto biogas Report Rai 3 la politica scellerata

Di Michele Buono e Piero Riccardi
MILENA GABANELLI  ­ STUDIO  Nella scorsa puntata abbiamo visto come l'Italia svende il suo marchio acquistando dall’estero materie prime che lavora qui e poi le vende made in Italy e questo mette in crisi allevatori e  produttori perché  sono costretti a produrre  sempre meno qualità, ma  sono minacciati anche  dalle bio­energie perchè se ogni settore va per conto suo e s’inseguono solo gli incentivi alla
fine la ricaduta la paghiamo tutti. Michele Buono e Piero Riccardi
ALESSANDRO FILIPPINI  ­ ALLEVATORE  Oggi il mais  anche  qua  intorno,  una  realtà  locale  molto piccola  viene  utilizzato spesso  e  volentieri per  essere  immesso in impianti che  producono biomassa,  ad esempio noi qua  abbiamo cento ettari di terreno che sono stati destinati a biomassa. Quindi quei cento ettari li
invece  di finire  sulla  zootecnia  o sull'umana  andranno a  finire  a  marcire, tra  virgolette, poi produrranno effettivamente energia  ma  marciranno all'interno di un impianto che  produce  biogas,  allora ci stiamo chiedendo se anche qui, quella  lì è l'agricoltura o è la  nostra
l'agricoltura?
PIERO RICCARDI  – FUORI CAMPO
Quell'agricoltura  lì con cui se  la  prende  il giovane  allevatore  si chiama  Cat,  che  sta per  Cooperativa Agroenergetica Territoriale con sede nel vicino comune di Correggio in provincia di Reggio Emilia. La cooperativa  nasce dal giorno alla notte, quando l'Europa decide di tagliare la  produzione di barbabietola  da zucchero,  decisione  che cade come  una  condanna da queste  parti dove  di barbabietola  se  ne  produceva  molta. E’  allora  che  qualcuno suggerisce  che  si poteva  fare biogas ed energia elettrica.
GABRIELE SANTI  ­ PRESIDENTE COOPERATIVA CAT  Valutando la possibilità di fare energia da fonti rinnovabili, abbiamo capito che poteva essere
importantissimo l'uso dei sottoprodotti, perché  noi oltre che  fare bietole, coltiviamo vite, coltiviamo pere,  coltiviamo pomodoro da industria  e abbiamo una  massa enorme  di sottoprodotti, siam partiti da lì.  MASSIMO ZAGHI  ­ AD COOPERATIVA CAT  La  cosa  interessante  del nostro progetto è  che  ci siamo fatti dare 4  milioni e  mezzo dalle  banche con 100mila euro di capitale sociale e i nostri agricoltori non hanno ipotecato nulla. Il segreto di questa cosa è che una banca ha creduto nel progetto, è diventata socio sovventore  con noi e ha partecipato al progetto. Questo è un concetto di sviluppo importante: la banca che  crede e partecipa al rischio.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Banche che partecipano al rischio, sottoprodotti che vengono riutilizzati, il progetto funziona. Dunque, si prendono i liquami degli allevamenti e si mettono dentro questi enormi silos, ci si mischiano degli scarti agricoli come  i graspi delle  uve e  le potature  delle  pere, i batteri digeriscono il miscuglio e fanno il gas, il gas finisce dentro questi motori che a loro volta fanno
l'energia elettrica. Ma quando ci mostrano lo schema dell'impianto i conti non tornano. I famosi sottoprodotti si riducono a 200 tonnellate di graspi d' uva  riducono a 200 tonnellate di graspi d' uva  contro 8600 tonnellate di mais,  6  mila  e  200  di triticale che sarebbe grano e mille e 100 di sorgo. Mais e grano, ma non si dovevano usare i sottoprodotti?
MASSIMO ZAGHI  – AD COOPERATIVA CAT  Ogni prodotto che noi inseriamo ha una resa energetica completamente diversa, e in base alla  resa energetica...
PIERO RICCARDI   Per esempio?
MASSIMO ZAGHI AD COOPERATIVA CAT Be' il mais fa circa 200, 210 metri cubi di biogas per tonnellata, il triticale ne fa 170, il sorgo ne
fa 140, se faccio i graspi che le abbiamo detto prima siamo tra i 40 e i 50, ogni prodotto ha un
suo valore qui dentro.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Chiaro: il mais rende e i graspi no.  MASSIMO ZAGHI  – AD COOPERATIVA CAT  I soci si sono vincolati perché alla banca il progetto va presentato e deve essere finanziato, alla  banca ci siamo presentati con trecento ettari di conferimento all'impianto, quindi la banca ha  avuto da parte nostra l'unica garanzia di alimentare l'impianto.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Iniziamo a capirci qualcosa, dunque l'impianto, calcolando 300 giorni di lavoro effettivo, ingoia  un ettaro al giorno tra mais e grano, che fa 18mila tonnellate all'anno di cereali.  Per  produrre un Kilowat di elettricità da biogas  ci vogliono,  solo di costi,  22  centesimi, ma
l'energia  sul mercato elettrico ne  costa  finita  7  di centesimi. E allora  dov'è  il business?  La  risposta è in questo disegno di legge del 20/2/2009 che equipara gli impianti di biogas a fonti di energia rinnovabile, come il solare e l'eolico, e compensa questa produzione di energia con
una tariffa incentivata di 28 centesimi a Kilowat, quattro volte di più di quella di mercato.
PIERO RICCARDI   Ma secondo voi senza gli incentivi sull'energia...
MASSIMO ZAGHI  – AD COOPERATIVA CAT
lo sapete perfettamente che non è comparabile, non è comparabile
DIRETTORE FUORI CAMPO
Fuori ripresa le volevo dire che, il nostro progetto, ci siamo costituiti nel 2007 e abbiamo avuto
l'impianto funzionante nel 2010 perché nel passaggio dai 22 centesimi ai 28 l'istituto di credito
ci ha detto no, se arrivano i 28 andiamo se rimangono i 22 ci pensiamo.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Altro  che  partecipazione  al rischio,  le  banche  si son fatte  due  conti:  22  centesimi costa  un Kilowat di elettricità se si usa il mais che  energeticamente rende di più, per via degli amidi che  contiene, se si usassero i graspi la  resa  energetica  sarebbe ridicola  e non basterebbero neppure i 28 centesimi degli incentivi statali.  È per questo che le  banche sono entrate  nell'affare ad una sola condizione: che i soci vincolassero trecento ettari per produrre mais, per
i 15 anni che sono la durata degli incentivi. Se questi sono rischi d'impresa! Alberto di Fazio è un esperto del picco del petrolio, quel calcolo che ci dice che abbiamo già  consumato più della metà del petrolio disponibile del pianeta e che d'ora in poi la produzione è  destinata a scendere. Gli chiediamo: ha senso sostituire il petrolio usando cereali?
ALBERTO DI  FAZIO ­ ASTROFISICO INAF ­ CNR  Il risultato è questo,  che se tutto il territorio arabile disponibile del pianeta, quindi non
coltivando più, e tutto il territorio arabile e non solo quello arato, quindi escludendo laghi, fiumi deserti, montagne ecc, fosse  dedicato alla produzione  di colture  adatte  a costruire  biocarburanti, mais, a vari tipi di avene, tutto quello che si può utilizzare, si riuscirebbe con gli
idrocarburi sintetici così costruiti, si riuscirebbe a alimentare il 25%, solo un quarto, del parco motori a  combustione interna presenti nel mondo. Qui sta il chiaro assurdo, non può essere
intanto questa  è  una  questione  diciamo grossolana, non si può risolvere  questo in questa  maniera, perché morendo di fame, perché...
PIERO RICCARDI   Perché non ci sarebbe più cibo e cereali...
ALBERTO DI  FAZIO ­ ASTROFISICO INAF CNR
il calcolo è fatto senza coltivare per mangiare
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  E questo è un calcolo estremo, ma la resa?
ALBERTO DI  FAZIO ­ ASTROFISICO INAF ­ CNR  E'  un problema  quello dei carburanti,  pensi solo al  problema  dei carburanti,  senza  vedere  quello che succede per l'agricoltura per la salute per il clima, per la desertificazione, non te ne
frega  niente, solo a  quello,  allora  per  risolvere  solo quello già  è  una  cosa  assurda,  ma  paradossalmente  manco quello fai,  che  se  tu vuoi aggiungere del carburante  sintetico utilizzando la bioagricoltura e togliendo terreno al territorio arabile, ma soprattutto utilizzando petrolio per i fertilizzanti e  rendere più efficace  e  permettere  questa vasto,  noi parliamo di migliaia di kilometri quadrati, centinaia di migliaia di kilometri quadrati in brasile, per esempio,  per fare questo ci vogliono quantità  di fertilizzanti impressionanti, è la scala di quello di cui parliamo che sfascia il tutto.
PIERO RICCARDI   Usiamo petrolio per risparmiare petrolio...
ALBERTO DI  FAZIO ­ ASTROFISICO INAF ­ CNR  Ma ne usiamo di più...
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Ne usiamo di più, ovvero spendiamo più energia di quanta ne  ricaviamo. Vediamo di aiutarci con questo studio americano: per coltivare  un ettaro a mais  consumo tra lavoro,  macchine, combustibili, fertilizzanti ecc 8 milioni e 200 mila calorie, per ottenere 13 tonnellate di silo mais  che equivalgono a 9 milioni e 800mila calorie. Dunque il paradosso è questo: che per ottenere  9  milioni di calorie ne consumo 8, spendo 4 milioni di euro per costruire una centrale e 1  milione di euro solo di costi di esercizio all’anno.  Cremona  è  la provincia italiana  che  detiene il record  delle  centrali a  biogas  con il 50%  del totale italiano. 123 centrali tra quelle in funzione, in costruzione e autorizzate, un quarto della  superficie agricola dell'intera provincia di Cremona ingoiato dai digestori delle centrali a biogas.  Prima  conseguenza: il valore  dei terreni agricoli che fino a ieri gli allevatori ci dicono che li affittavano a 600 euro/ettaro.
SIMONE SOLFANELLI  – DIRETTORE COLDIRETTI  CREMONA  Attualmente abbiamo registrato punte di 1200, 1500, 1800 euro a ettaro.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Quindi il doppio o il triplo.
SIMONE SOLFANELLI  – DIRETTORE COLDIRETTI  CREMONA  Questo mercato fondiario che è andato a prezzi irraggiungibili per chi continua, invece che a
fare biogas, continua a fare diciamo così le produzioni tradizionali. Cremona, voglio dire il 10%  del latte nazionale, qui stiamo parlando del grana padano, quindi di un prodotto di assoluta  eccellenza, stiamo parlando di allevamenti suinicoli, qui ci sono 1 milione di capi di suini che  sono in provincia di Cremona. Il business sfrenato questo si devasta un sistema agricolo locale, un sistema fondiario locale.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Un business sfrenato devasta un sistema agricolo locale. Ma d'altra parte, con i prezzi spesso sottocosto in cui si dibatte l'agricoltura oggi, il business in una centrale a biogas è evidente. Una centrale da 1 megawatt che funziona 330 giorni l'anno produce 8 milioni di Kilowatt/ora  che moltiplicato i 28 centesimi della tariffa incentivata fanno più di 2 milioni di euro: tolti i costi,  ci si mette in tasca 500mila euro, garantite dallo stato, per legge.Torniamo in Emilia Romagna. Questa è la sede  dell'assessorato  all'agricoltura della Regione. Fresco di presentazione c'è un grande Piano per le agroenergie. 9 milioni di euro per le fonti rinnovabili, un “piano ambizioso” lo definisce l'assessore Rabboni: 500 megawatt totali di cui 100 da produrre con centrali a biogas.
PIERO RICCARDI
Ci sono gli allevatori della zona che dicevano: ma come si fa a fare di una centrale a biogas che  consuma mais.
TIBERIO RABBONI   ­ ASSESSORE AGRICOLTURA EMILIA ROMAGNA  E’ quello che sta succedendo perché come dire non c’è stata un’azione d’indirizzo, insomma...
PIERO RICCARDI   Questo qui per esempio è il Cat, no? Allora loro dicono … No ma noi usiamo gli scarti…bene ,  poi i graspi sono 200 tonnellate il mais 8mila e 6, il triticale 6mila e due e il sorgo mille e cento,  cioè questi funzionano perché ci metti il mais.
TIBERIO RABBONI   ­ ASSESSORE AGRICOLTURA EMILIA ROMAGNA  E certo…
PIERO RICCARDI   non è che funzionano perché ci metti 200 tonnellate di graspi…

TIBERIO RABBONI   ­ ASSESSORE AGRICOLTURA EMILIA ROMAGNA  Ho capito….ma ….non lo contesto mica (…) bisogna trovare la risposta nell’evoluzione, perché  oggi la risposta non c’è. Se noi decidessimo che discriminiamo gli agricoltori che ci chiedono di essere finanziati per un impianto a biogas perché usano il mais, il giorno dopo quell’agricoltore  ci fa  ricorso e  in tutte  le  sedi noi siamo perdenti,  perché  è  una  discriminazione  che  non
possiamo introdurre
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Non posso discriminare chi usa mais per produrre biogas, ci dice l’assessore. Ma almeno, forse,  gli si potrebbero non dare  ulteriori incentivi pubblici! Reggio Emilia, entriamo in un mangimificio,  e  proviamo a chiedere a  loro cosa  ne pensano,  visto che il mais  è  uno dei componenti fondamentali per il mangime zootecnico.
ILLER LANDINI  ­ DIRETTORE TECNICO MANGIMIFICIO PROGEO  Penso che  bruciare delle derrate  alimentari così nobili come sono i cereali, per produrre un
carburante alternativo alla benzina sia folle.
PIERO RICCARDI   Dicono che è rinnovabile...
ILLER LANDINI  ­ DIRETTORE TECNICO MANGIMIFICIO PROGEO  No per  me  energia  rinnovabile  è  l'energia  solare, eolica, non è  sicuramente  un'energia  rinnovabile quella ottenuta da un mais che possiamo mangiare anche noi direttamente, quindi una derrata alimentare fondamentale per l'uomo.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Entriamo nel laboratorio del mangimificio.
PIERO RICCARDI   Ma  si capisce il mais  che va a finire prodotto per  produrre energia e mais che finisce in un mangime per animali?
FLAVIO MELLI  ­ RESPONSABILE LABORATORIO PROGEO  No,  io posso  produrre  10 tonnellate di mais e  destinare  il mio campo o i miei campi,  5  all'alimentare e 5 all'uso energetico e con il medesimo mais.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Il paradosso è che quello che si usa per bioenergie rende di più, in termini monetari, di quello
che usiamo noi umani come cibo o per alimentare gli animali che alleviamo per nutrirci. Così,  sempre più terreni sono dedicati per produrre energia, a prescindere che sia  mais o altra coltura. Bruxelles. Olivier De Schutter è consulente dell’Onu per il diritto al cibo.  OLIVIER DE SCHUTTER ­ CONSULENTE ONU DIRITTO AL CIBO  Quello che abbiamo rilevato è che se prendiamo l’intero ciclo della produzione di biocarburanti,
in molti casi l’impatto ambientale risulta negativo, e questo è dovuto in larga parte a quello che  noi definiamo “conversione  indiretta  dell’uso della  terra”,  in altre parole la  terra  usata  per  produrre energia non sarà più in grado di produrre cibo, e quindi dovremo cercare altro terreno per la produzione di alimenti….  (…) questo significa essenzialmente che l’Europa dovrà importare di più per poter produrre sul proprio territorio biocarburanti.
PIERO RICCARDI  – FUORI  CAMPO  Dunque se il mais lo vogliamo mettere a fare biocarburanti, avremo bisogno di altra terra per  continuare a  mangiare. Berlino,  Humbolt Universitet.  Il professor Von Witzsche  ha  calcolato
l’estensione di quella terra.
HARALD VON WITZSCHE ­ DOCENTE COMMERCIO AGRICOLO UNIVERSITÀ  HUMBOLT  L'unione europea da grande esportatore di beni alimentari si è ormai trasformata nel maggiore
importatore  mondiale  di alimenti.  Nel nostro studio, tutte  queste importazioni nette  di beni agricoli in Europa, le abbiamo convertite in ettari di superficie  coltivata, cioè nella superficie  necessaria per produrre la quantità di beni agricoli esportati nell’unione europea. Il risultato è  stato che la superficie extra europea che noi utilizziamo corrisponde  all'incirca  all'estensione  della Germania. E quello che ci ha stupito è l'accelerazione del fenomeno nell'ultimo decennio.  Queste superfici sono aumentate del 40%. Oggi, in totale  noi europei usiamo 35 milioni di ettari di superficie  coltivabile  al di fuori del nostro territorio per soddisfare il nostro fabbisogno di cibo, di mangimi, di fibre per i vestiti e di prodotti agricoli utilizzati per produrre bioenergie.
MILENA GABANELLI - STUDIO
Una  politica  scellerata  che da una parte  ha  fatto innalzare il prezzo dei cereali legandolo a  quello del petrolio, di fatto ha trasformato il cibo in una merce, come il ferro o il cemento, e  esattamente  lo stesso prodotto lo puoi mangiare  o bruciare. E che fine  fa la  qualità?  Nelle  prossime puntate vedremo cosa sta diventando l’agricoltura  parlando di arance e di grano.  Adesso c’è chi dice no.
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