Vauro
e i figli di Chernobyl,
“troppo
tristi” per la Rai
di
Anna
Maria Pasetti
Un
Vauro da reportage. Dove la
satira
non c’entra proprio nulla.
Considerando
che quanto vedremo
da lui
realizzato stasera nell’a mbito
del
programma Confessione
Repor
ter
(su Italia 1,
seconda serata),
va a
toccare una ferita ancora aperta,
per
non dire infetta: quella dei
“figli
di Chernobyl”.
Il
reportage da un quarto d’ora che
il
vignettista toscano ha dato gratuitamente
alla
trasmissione in onda
sul
canale Mediaset – dopo che
Rai 3
gliel’ha rifiutato perché “è un
argomento
troppo triste” – è stato
realizzato
lo scorso giugno insieme
alla
Ong Sole
Terre, che si
(pre)occupa
di
tumori dei bambini nel
mondo.
“È un’associazione serissima
e di
cui andare orgogliosi come
lo
siamo di Emergency, perché è rispettosa
delle
persone e dei luoghi
in cui
interviene”, spiega Senesi, rimasto
una
decina di giorni presso la
zona
rossa e nel quartiere di Chernobyl
dove
Sole
Terre ha edificato
la
sua
“casa-famiglia” per tutti coloro
che,
“poverissimi, non possono
permettersi
un tetto sopra un letto
quando
devono portare i figli a fare
le
chemioterapie e la cui unica alternativa
sarebbe
dormire nelle stazioni
ferroviarie”.
LA
TESTIMONIANZA di Vauro
mette
in luce più di una denuncia.
“Le
conseguenze per la popolazione
dei
fatti di Chernobyl sono ancora
tangibili
nel
presente,
basti
pensare
che il
governo
ucraino
lo
scorso anno ha decurtato 35
milioni
di euro dai fondi per la cura
dei
bambini malati per dirottarli alla
costruzione
delle strutture per gli
Europei
di calcio. Togliendo fondi
anche
a quelle 800 mila anime che
hanno
lavorato per ‘ripulire’ la zona
radioattiva”.
Certo,
siamo nell’ambito del dramma,
ma è
noto che laddove ci siano
dei
ragazzi l’atmosfera fugge dal tragico.
“E
infatti – continua Senesi –
tenevo
ad evidenziare nel reportage
quanto
l’universo dell’infanzia sia
ostinato
nella sua gioia di vivere.
Ci
siamo divertiti molto insieme, disegnando
e
giocando”. Dunque da
novello
autore di reportage, “l’ul -
timo
dei Comunisti”, come amam
definirlo
Michele Santoro, c’ha preso
gusto,
tanto che se questo documento
per
ora è un unicum, “vor -
rei
poterne fare altri”. Anche per
mostrare
che un reporter – o chi fa
giornalismo
– non è da fuggire “a
prescindere”
come si ostinano oggi
a fare
alcuni membri della “neo politica”
italiana.
AI
QUALI Vauro risponde
per le rime:
“quello
è un atteggiamento presuntuoso,
vecchio
come la politica
più
vetusta, e assolutamente anti rivoluzionario”.
“Forse
nel giornalismo non c’è più
quel
senso di avventura di una volta
– molti
sono proni all’obbedienza
della
banalità – ma per fortuna esistono
ancora
delle mirabili eccezioni
che
vorremmo diventassero la
norma,
ovvero quei giornalisti che
raccontano
le cose dopo averle vissute.
Trasformando
la propria professione
in
un’avventura di vita”.
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