Il
decreto Salva Ilva, che
autorizza l’Ilva a produrre e commercializzare i prodotti, viola 17 articoli della
Costituzione e si pone “in stridente contrasto con il principio costituzionale della separazione tra i poteri dello Stato”. Il gip di Taranto
Patrizia Todisco, nell’ordinanza con la quale ha sollevato questione di legittimità costituzionale della legge, ha rilevato che con la
legge 231 del 24 dicembre scorso, “si ha una “sospensione” ingiustificata dell’operatività della legge solo per alcune imprese e non per altre. Tutto ciò sulla base di criteri eccessivamente generici”. Inoltre “per un periodo di 36 mesi in sostanza l’impresa ha la possibilità di inquinare anche se, per avventura, è possibile stabilire molto prima di tale termine che la stessa non si adeguerà alle
prescrizioni stabilite dall’Aia“.
Todisco ha sospeso il giudizio, confermando di fatto il sequestro di un milione e 700mila tonnellate di merci Ilva, in merito alle istanze di “sequestro preventivo delle aree e degli impianti dello stabilimento Ilva di Taranto” e di “sequestro preventivo del prodotto finito e/o semilavorato dell’attività del medesimo stabilimento siderurgico” e
ha deciso l’invio degli atti alla Corte Costituzionale “per la risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale” degli articoli 1 e 3 della legge 231 del 24 dicembre scorso “per contrasto con gli articoli 2, 3, 9, 24, 25, 27, 32, 41, 101, 102, 103, 104, 107, 111, 112, 113 e 117 della Costituzione”.
Nello specifico, “quanto al sequestro disposto con provvedimento del 22 novembre scorso del prodotto finito e/o semilavorato dell’attività derivante dai processi produttivi degli impianti dell’Ilva già sottoposti a squestro – si legge ancora nell’ordinanza – si rileva che la previsione ex lege della commercializzazione di detti prodotti svuota di qualunque contenuto ed efficacia il provvedimento cautelare”. “Effetto essenziale” del sequestro, scrive il gip, “è proprio l’indisponibilità giuridica dellares. E’ evidente che la consentita commercializzazione dei beni, pur nel formale mantenimento del vincolo, vale a frustrare alla radice le finalità del sequestro e, in particolare i diritti che lo Stato potrebbe esercitare sugli stessi all’esito del processo, quali beni – dice ancora il gip – suscettibili di confisca”.
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