Enea il mistero delle bare di uranio scomparse Vincenzo Mulè Terra 7 agosto 2011
Dietro i misteri dell’Itrec di Rotondella
Fu un giornalista, Nic Outterside, il primo che parlò dell’ombra della malavita organizzata nel presunto “affaire” del traffico di plutonio dall’Itrec. Outterside pubblicò sul più importante quotidiano scozzese, The Scotsman, una denuncia relativa alla scomparsa dal centro rotondellese di 27 elementi di combustibile potenzialmente utilizzabile ai fini militari.
«Elementi che potrebbero essere finiti - scrisse il giornalista – nelle mani della mafia italiana». Le sue fonti? «Interne all’Enea». Ente che in ogni occasione ufficiale ha sempre negato che dalle barre del ciclo uranio-torio riprocessate a Rotondella potesse prodursi plutonio.
Non solo giornalisti, ma anche pentiti e tecnici che hanno raccontato più o meno la stessa storia ai magistrati, nel corso degli anni hanno cercato di capire l’effettiva attività del centro lucano.
Da Nicola Maria Pace a Giuseppe Galante e Felicia Genovese, sino a Francesco Basentini: tanti indizi, molte incongruenze ma poi nulla di fatto. L’ultima archiviazione a parte di Basentini è del 2010. C’è una certezza, però: alla risaia di Rotondella giacciono 2,7 tonnellate di rifiuti radioattivi ad alta attività, secondo Pace «giacenti in strutture ingegneristiche di contenimento, che già vent’anni fa avevano mostrato i segni dell’usura ed erano già scaduti, secondo il gergo tecnico utilizzato in sede di analisi di rischio, e che, essendo stati corrosi e avendo manifestato cedimenti strutturali, avevano dato luogo a tre rilevanti incidenti nucleari». In un’intervista, rilasciata alla Gazzetta del Mezzogiorno, Pace rincara la dose: «In Italia abbiamo una produzione di rifiuti che obiettivamente può essere smaltita con le normali strutture esistenti solo nella misura del 30 per cento. Fisiologicamente la rimanente parte viene avviata a mercati paralleli, tra cui quello illegale. È già una condizione di grave rischio, tra l’altro da tempo rilevata a livello di ministeri, è un dato di partenza su cui interviene la criminalità capace di gestire questo mercato nero dei rifiuti. Al piccolo cabotaggio provvede la piccola manovalanza e alle situazioni più complesse quella organizzata, da qui le ecomafie, le cui centrali possono agire su scala internazionale, appoggiate anche da entità di livello superiore. I territori delle nostre realtà scarsamente presidiati e della cui fragilità abbiamo già detto, finiscono per diventare terreno fertile per vari tipi di illegalità.
Non ultime quelle mascherate dall’offerta di posti di lavoro. Un copione che si ripete attraverso strutture che altrove sarebbero state rifiutate perché realizzate in violazione a tutte le norme in materia di gestione dei rifiuti ». Secondo un rapporto della Cia «desecretato» del 2004, proprio da Rotondella sarebbe uscito parte del combustibile del nucleare iracheno grazie, pare, alla Techint. La stessa società che nell’estate del 1980 rimase vittima di una serie di strani attentati.
La stessa che oggi si occupa di mettere in sicurezza Rotondella.
Il centro, secondo quanto raccontato al pm Neri dall’ingegnere Carlo Giglio, che dal 1975 ha svolto attività di vigilanza per la radioprotezione dei laboratori presso gli impianti nucleari in esercizio di proprietà dell’Eni, dell’Enel e Enea, divenne una sorta di vetrina per l’Iraq e i Paesi arabi di tecnologia e materiale nucleare.
Il traffico, però, viene intercettato dai servizi israeliani e osteggiato dagli americani che, secondo gli atti dell’inchiesta «rappresentano allo stesso Colombo che l’attività svolta dall’Enea e quindi dal governo italiano non era più tollerabile(...). L’America accusò espressamente il governo italiano di fornire all’Iraq gli strumenti necessari per l’armamento nucleare.
Pressione che determinò la visita del presidente Carter presso gli impianti dell’Enea, proprio una settimana prima dell’abbattimento dell’aereo dell’Itavia Bologna Palermo (strage di Ustica)».
Circostanza che porta gli investigatori a ritenere che «la successione
temporale degli eventi sopra descritti nell’attività clandestina dell’Enea in favore dell’Iraq dimostrerebbe come la vera causale dell’abbattimento dell’aereo di linea italiano su Ustica vada ricercata in un possibile trasporto clandestino verso Palermo da Bologna di combustibile nucleare ». Il magistrato Felicia Genovesi, in una audizione in commissione ecomafie del 21 ottobre 2009, rilevò nel corso delle indagini sul centro Enea «la presenza di plutonio; mentre l’attività autorizzata in quel sito era relativa a lavorazioni di torio e uranio naturale». Ascoltato ancora dalla commissione ecomafie, Pace apre nuovi scenari: «In quel periodo indagavo sui cosiddetti Siroi, che erano cavità scavate nella roccia risalenti al IV secolo a.C. usate come silos per contenere cereali, quando l’area dell’attuale Trisaia di Rotondella costituiva l’antico porto sul fiume Sinni. Da un manuale dell’Enea, i Siroi risultavano impiegati per il deposito di scorie radioattive».
In Italia, secondo il magistrato, l’unico studioso di tali siti era il professor Quilici. «Quando comprese che l’obiettivo dell’indagine non era legato all’archeologia, fu preso dal panico e cominciò ad accampare varie questioni, producendo una consulenza non vera». Ma una mappa dei siroi degli antici greci c’era, e l’aveva delineata un cultore di storia lucana, il professore romeno Dinu Adamesteanu, morto nel 2004, il quale aveva condotto studi archeologici in Basilicata: «Chiesi allora al professore se poteva rintracciare i Siroi, ma costui non poteva aiutarmi. Disse infatti che era stato pubblicato un testo, oramai introvabile, contenente le mappe dei Siroi, che aveva posseduto in passato, custodito presso la sua abitazione, ma che gli era stato in seguito trafugato».
Raccontò che un giorno aveva ricevuto una strana visita da parte di iracheni, che gli fecero molte domande. Una volta usciti gli iracheni dalla sua casa, era sparito anche il libro sui Siroi.
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