Doc. XXIII
N. 32
COMMISSIONE PARLAMENTARE DI INCHIESTA SULLE ATTIVITÀ ILLECITE CONNESSE AL CICLO DEI RIFIUTI
E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI
E SU ILLECITI AMBIENTALI AD ESSE CORRELATI
(Relatrici: Sen. Paola Nugnes, Sen. Laura Puppato)
Approvata dalla Commissione nella seduta del 20 dicembre 2017
_______________
Comunicata alle Presidenze il 20 dicembre 2017
ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 7 gennaio 2014, n. 1
La questione degli illeciti ambientali nel Basso Lazio
7.2
Presenze
della criminalità ambientale
Prima di esaminare il tema relativo
alla presenza di rifiuti pericolosi sversati illegalmente negli anni passati –
che, come visto, è considerato da sempre un tema socialmente sensibile per la
popolazione dell’area – è bene disegnare un quadro relativo alla presenza della
criminalità organizzata nell’area.
Si tratta sostanzialmente di
elementi riconducibili al clan dei Casalesi, organizzazione, come è noto,
particolarmente attiva nel campo del business ambientale, soprattutto tra la
fine degli anni ‘80 (la seconda metà del 1988) e gli anni ‘90.
Come già ricordato in sede di
audizione della società Ind.Eco il clan disponeva (attraverso alcuni soggetti
che verranno compiutamente analizzati) di proprietà importanti proprio a
ridosso della discarica. Elemento, questo, che riveste una certa importanza per
comprendere appieno il contesto di Borgo Montello.
Le prime notizie sulla presenza di esponenti e di investimenti
riconducibili al clan dei Casalesi provengono da alcuni atti di indagine
scaturiti dal processo “Spartacus”. Nell'ambito di questa inchiesta il 13 marzo
del 1996 la polizia giudiziaria di Latina
interrogò l'allora collaboratore di giustizia Carmine Schiavone “in
relazione all'indagine in corso su diversi fenomeni criminosi riguardanti la
provincia di Latina”[1]. Il verbale venne poi utilizzato in alcuni procedimenti penali della DDA
di Roma (processo “Anni '90” e processo “Damasco”).
Lo Schiavone specificava di riferire notizie “circa le attività criminali
condotte in provincia di Latina dal gruppo di appartenenza” ovvero il clan dei
Casalesi; tali notizie erano “frutto di conoscenze dirette e di incontri con i
soggetti di cui parlo”.
Secondo il collaboratore giustizia – le cui informazioni sono poi state
confermate in sede processuale - “il clan dei Casalesi da moltissimi anni ha
avviato, nella provincia di Latina, un'opera di infiltrazione e di investimento
degli illeciti introiti comunque ricavati”. A capo dell'organizzazione in terra
pontina vi era Antonio Salzillo, alias
“Capocchione”, nipote di Ernesto ed Antonio Bardellino. Fino al 1988 la
famiglia Bardellino era alleata con la famiglia Schiavone, formando un unico
gruppo cresciuto in maniera esponenziale negli anni '80 dopo lo scontro con i cutoliani.
Salzillo, capo zona di Latina, “ha subito trovato come attività di copertura la
cointeressenza occulta nella società dei fratelli Diana, che avevano la
concessionaria di veicoli industriali Scania, con sede in Latina” a borgo San
Michele. I due fratelli Costantino e Armando Diana[2] sin dalla data del loro trasferimento a Latina erano, secondo Schiavone,
“espressione diretta del gruppo dei casalesi in terra pontina”.
L'impresa dei fratelli Diana – spiega Schiavone – aveva partecipato fin
dagli anni '80 ad importanti lavori pubblici, come la realizzazione della terza
corsia dell'autostrada[3]. Salzillo controllava direttamente la società riscuotendo una percentuale
del 10 per cento sulle commesse, versata nelle casse del clan.
L'area controllata da Antonio Salzillo (almeno fino al 1988, anno
dell'omicidio di Antonio Bardellino e del prevalere ai vertici
dell'organizzazione della famiglia Schiavone, diretta da Francesco “Sandokan”
Schiavone) era compresa tra Sabaudia e Roma. Includeva, quindi, la città di
Latina e l'intera area nord della provincia. Spiega Schiavone: “Salzillo
ricordo che gestiva un gruppo di circa trenta persone che venivano regolarmente
stipendiate da me come cassiere del clan. Ogni mese io attribuivo circa cento
milioni delle casse del clan al Salzillo perché potesse pagare i suoi uomini.
Considerando che lo stipendio dei “soldati” o di coloro che comunque venivano
utilizzati per le attività del gruppo era di tre milioni di lire al mese, posso
dirvi che i ragazzi del Salzillo erano circa trenta”.
L'area a sud di Sabaudia, compresa tra Terracina e Formia/Gaeta, era
controllata da Gennaro De Angelis, che gestiva un florido commercio di
automobili. Uomo di fiducia del clan a Formia era il proprietario della
discoteca SevenUp (poi distrutta da un incendio, probabilmente doloso) era Aldo
Ferrucci. Altra figura sicuramente strategica per il clan a Formia era Ernesto
Bardellino, fratello di Antonio, ex sindaco di San Cipriano d'Aversa.
Schiavone aveva già riferito negli interrogatori resi davanti all'autorità
giudiziaria di Napoli sugli investimenti realizzati dal clan in provincia di
Latina. Nell'interrogatorio del marzo 1996 fornisce ulteriori dettagli,
concentrando l'attenzione sull'area di Borgo Montello (comune di Latina).
Altre informazioni sono desumibili dallo stenografico dell'audizione di
Carmine Schiavone in Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti
nella XIII legislatura, del 7 ottobre 1997:
“Per quanto riguarda i rifiuti noi già arrivavamo fino alla zona di Latina;
Borgo San Michele e le zone vicine erano già di influenza bardelliniana, perché
avevano società che vendevano nella zona di Latina insieme ai Diana”. Lo
Schiavone aggiunge poi un dettaglio molto importante: “Dopo la guerra del 1988
contro i Bardellino, arrivammo noi [ovvero la famiglia Schiavone]. Io e mio
cugino avevamo comprato un'azienda, che mi sono fatto sequestrare perché era
'sporca', proprio nella zona di Latina”[4].
Rispetto a questo investimento lo Schiavone aveva riferito nel 1996: “Come
ho già avuto modo di riferire nella mia collaborazione a Napoli, proprio a
Latina il mio gruppo ha realizzato un investimento di notevole entità in
un'azienda agricola a Borgo Montello, ora non so se sottoposta a sequestro,
costata alle casse del clan circa tre miliardi, comprensivi dei lavori fatti
nei vigneti e nelle altre colture”[5].
Ancora: “L'azienda agricola acquistata qui a Borgo Montello, di cui ho già
parlato, era intestata a mio cugino Antonio Schiavone fu Giovanni, persona
incensurata ed alla quale mi rivolsi io per chiedere di intestarsi il bene che
comunque consideravo mio e di mio cugino Sandokan” [6].
Dunque dopo il 1988 – anno dell'omicidio di Antonio Bardellino e
dell'ascesa del gruppo Schiavone ai vertici del clan – lo stesso Carmine
Schiavone, in qualità di cassiere del gruppo, decide di investire la
considerevole cifra di tre miliardi di lire nell'area di Borgo Montello, dove,
fin dal 1972, funzionava una discarica per rifiuti solidi urbani.
Rispetto a questo investimento esiste un riscontro documentale diretto
relativo all'acquisto della proprietà e alla confisca di una parte delle terre
acquistate dalla famiglia Schiavone. Il 6 ottobre 1989 il notaio Raffaella
Mandato di Latina registra presso la conservatoria dei registri immobiliari di
Latina la nota di trascrizione dell'atto di vendita a favore di Antonio
Schiavone[7], di un fondo rustico sito in località Borgo Montello, via del Pero, di
diciassette ettari[8]. Una seconda proprietà intestata a Nicola Schiavone, sita nel comune di
Cisterna di Latina, località Piano Rosso, via della Curva Snc (poco distante da
Borgo Montello) è stata definitivamente confiscata il 7 febbraio 2002.
La collocazione geografica dei diciassette ettari acquistati nel 1989 da
Antonio Schiavone – su mandato dell'allora cassiere del clan, secondo le
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone – è particolare.
La proprietà è infatti sita a fianco dell'area occupata, fin dal 1972,
dalla discarica di Borgo Montello.
La scelta della zona sembrerebbe non essere casuale. Dichiarava nel 1996
Schiavone: “Mi diceva Salzillo, ai tempi in cui faceva ancora parte del nostro
gruppo, che lui operava con la discarica di Borgo Montello. Da tale struttura
lui prendeva una percentuale sui rifiuti smaltiti lecitamente ed in tale
struttura lui faceva occultare bidoni di rifiuti tossico o nocivi per ognuno
dei quali mi diceva di prendere 500 mila lire”[9]. L'indicazione del prezzo stabilito per il presunto smaltimento illecito
di rifiuti pericolosi era in linea con “il mercato” gestito dai casalesi anche
nella zona del casertano, come lo stesso Schiavone ha ricostruito in
Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti: “Pagavano 500 mila lire a fusto,
perché per distruggerli dovevano avere una attrezzatura speciale, per cui ci
volevano 2 milioni e mezzo. Allora lui [si riferisce a Chianese e alla DiFraBi]
incassava per la ditta i 2 milioni e mezzo (o i due milioni) ed il clan
incassava 500 mila lire a fusto”[10].
Dunque lo schema utilizzato fino al 1988 era quello classico e tristemente noto
dell'area dell'agro aversano, con un accordo tra imprese, intermediari e clan
dei casalesi. Un sistema che coinvolgeva anche la provincia di Latina, come lo
stesso Schiavone ha spiegato.
L'inizio degli affari dei casalesi nel campo dello smaltimento illegale di
rifiuti pericolosi ha una data precisa.
Così ricostruisce i fatti Schiavone davanti alla Commissione:
“Questo avveniva dal 1988 a salire. Già prima, però, la gestivano i
Bardellino […] Presidente: […] Mi è sembrato di capire che l'attività di smaltimento
illegale dei rifiuti fosse posta in essere, per conto del clan dei Bardellino,
in epoca antecedente al 1988 in tutta la provincia di Latina. E' così?
Schiavone: Sì. Quando noi abbiamo fatto gli scavi... da noi gli scavi per
la superstrada sono iniziati nel 1987, nel periodo giugno-luglio. Man mano che
finivano gli scavi, questi ultimi venivano sistematicamente riempiti”[11].
L'investimento del clan nell'area nord della provincia di Latina, dunque, è
stato considerevole, sia nell'era della gestione Bardellino, sia
successivamente con il clan Schiavone. Oltre alla cifra di tre miliardi di lire
– indicata dall'ex collaboratore di giustizia Schiavone come investimento nei
terreni e nelle opere nell'area di Borgo
Montello – il cartello dei Casalesi avrebbe mantenuto una struttura militare
notevole, con un costo di circa 100 milioni di lire al mese, pari a 1,2
miliardi di lire all'anno. Questo sarebbe avvenuto almeno per quattro anni (dal
1988, anno della morte di Antonio Bardellino, al 1992, anno dell'uscita di
Schiavone dal clan), con una cifra ipotetica di quasi cinque miliardi di “costo
di gestione”.
Secondo gli esiti di alcune indagini della direzione distrettuale antimafia
(“Anni '90”) il clan dei Casalesi avrebbe tentato di entrare nella piazza del
comune di Latina anche nella gestione del traffico di stupefacenti e delle
estorsioni, scontrandosi con il clan sinti dei Di Silvio e Ciarelli, divenuti,
poi, predominanti. La situazione degli ultimi anni vede una mappa dove il
cartello dell'agro aversano mantiene una forte influenza sul sud pontino
(sostanzialmente fino a Terracina), dopo aver lasciato la piazza del capoluogo
ai sinti[12] (cfr. audizione del Questore di Latina Giuseppe De
Matteis in commissione antimafia, XVII legislatura, 18 maggio 2016).
Nel 2008 gli investimenti della famiglia Schiavone nell'area di Borgo
Montello vengono dismessi, con la vendita dell'area di diciassette ettari nella
via adiacente la discarica a favore della società Indeco. Negli anni precedenti
l'altro immobile adibito a fattoria nel comune di Cisterna di Latina (zona
Piano Rosso) era stato, come già detto, confiscato. Dunque il periodo di
riferimento oggetto dell'approfondimento è di due decenni, dal 1989 al 2008.
Il fattore incaricato dalla famiglia Schiavone per curare gli immobili
acquistati nel comune di Latina – Borgo Montello – è Michele Coppola. Quando
nel 1996 Carmine Schiavone depone davanti ai carabinieri di Latina, Coppola è
già conosciuto dalle autorità giudiziarie. Risulta dalle banche dati un primo
arresto eseguito il 5 dicembre 1995, per associazione mafiosa (articolo 416-bis
del codice penale) e porto abusivo d'armi; verrà scarcerato il 4 marzo 1997.
Michele Coppola è stato poi colpito da un fermo per tentata estorsione
aggravata dal metodo mafioso il 26 novembre del 2009, nell'ambito del
procedimento penale 56021/09 r.g.n.r. della DDA di Napoli; il procedimento si è
concluso con una condanna passata in giudicato nel 2015.
Dalle informazioni contenute negli archivi della polizia giudiziaria
Coppola ha detenuto fin dagli anni '80 una importante quantità di armi, anche
automatiche. Circostanza che conferma quanto riferito da testimoni locali, che
hanno parlato di numerose armi detenute e mostrate dal Coppola[13].
Nella sua deposizione del 1996 Carmine Schiavone dichiara:
“L’azienda agricola acquisita qui a Borgo Montello, di cui ho già parlato,
era intestata a mio cugino Antonio Schiavone fu Giovanni, persona incensurata e
alla quale mi rivolsi io per chiedere di intestarsi il bene che comunque
consideravo mio e di mio cugino Sandokan. So che dopo il mio pentimento il
gruppo ha minacciato Antonio Schiavone che fu costretto a cedere la proprietà
alla società dei Coppola, denominata Enogea. Tali Coppola, cognati di Walter
Schiavone, fratello di Sandokan, erano in realtà i fattori. In effetti il
fattore era Michele Coppola, da me e da Sandokan sistemato qui a Latina in
quanto si era sposato e non aveva una casa. Lo piazzammo lì e gli passavamo
anche tre milioni al mese dalla cassa del clan poiché l’azienda non rendeva
ancora. Antonio Coppola, fratello di Michele, era rimasto a Casale, dove aveva
un’impresa e, fino a quando non ho deciso di collaborare, non si occupava
dell’azienda di Latina”.
L’episodio criminale più noto – per il clamore suscitato – avvenuto nella
zona di Borgo Montello è l'omicidio dell'anziano parroco don Cesare Boschin,
avvenuto nella notte tra il 29 e il 30 marzo 1995. Sul caso ha indagato la
procura della Repubblica di Latina, con l'ausilio dei carabinieri (stazione di
Borgo Pogdora e NORM della Compagnia di Latina); una specifica delega venne
affidata alla Questura di Latina, squadra mobile, nel 1996.
Don Cesare Boschin venne ritrovato cadavere verso le ore 9 del 30 marzo 1995
da Franca Rosato, sua assistente. Era sdraiato sul suo letto con le mani legate
da nastro adesivo, un giro di nastro adesivo lento attorno al collo
(probabilmente sceso dalla bocca) e un asciugamano annodato attorno ad un
gamba. In sede di ricognizione del cadavere venne ritrovata la dentiera tra la
gola e l'esofago, facendo ipotizzare la morte per asfissia.
L'allora procuratore della Repubblica di Latina delegò per le indagini il
pubblico ministero Barbara Callari. Il 21 ottobre 1995, dopo alcuni mesi di
indagini il pubblico ministero chiese l'archiviazione; il fascicolo risulta
archiviato dal Gip il 22 dicembre 1995.
Due mesi dopo, il 20 febbraio 1996, viene segnalata al pubblico ministero
l’opportunità di chiedere la riapertura indagini con informativa a firma del
comandante del NORM Carabinieri di Latina. Un’ulteriore informativa della
Squadra mobile di Latina, del 22 febbraio 1996 è inviata alla procura con
analoga richiesta di apertura delle indagini.
Il 1° marzo 1996 il pubblico ministero chiede al Gip la riapertura della
indagini. Il 2 maggio 1996 vengono iscritti nel registro degli indagati un
sacerdote di nazionalità colombiana e un cittadino polacco. L'8 luglio 1996 il
procuratore Francesco Lazzaro assegna il fascicolo al pubblio ministero Pietro
Allotta, che il 2 novembre 1999 chiede l'archiviazione del procedimento,
accolta il 9 gennaio 2001 dal giudice per le indagini preliminari. Nessun
ulteriore elemento a carico dei due indagati era stato acquisito.
Nella prima fase delle indagini (30 marzo 1995 – 21 ottobre 1995) i
Carabinieri seguirono esclusivamente la pista del delitto derivato da un
tentativo di rapina o da contrasti economici (era stata individuata l'ipotesi
di prestiti effettuati dal parroco). Vennero ascoltati a sommarie informazioni diversi
abitanti della zona, alcuni soggetti tossicodipendenti o conosciuti per reati
minori. Non venne iscritto nessuno nel registro degli indagati. Particolarmente
attivo in questa fase era il maresciallo della stazione carabinieri di Borgo
Pogdora, Antonio Menchella.
Nella seconda fase d'indagini (dal febbraio 1996) l'attenzione
investigativa si concentrò su un cittadino polacco senza fissa dimora, che
aveva abbandonato la zona di Latina il 30 marzo 1995, nelle prime ore della
mattina e su un sacerdote colombiano, legato a don Boschin da stretti rapporti,
pare anche di natura economica (avrebbe ricevuto un prestito dall'anziano
parroco), ritenuto inizialmente legato ad una famiglia di narcotrafficanti di
Medellin (ipotesi poi caduta a seguito di specifica ricerca informativa, che
diede risultato negativo). Anche queste due ipotesi si rivelarono inconsistenti
e non supportate da indizi.
Per quanto riguarda il movente è da notare che nulla di valore venne
sottratto al parroco: al polso aveva un orologio, nel portafogli circa 600 mila
lire e altri oggetti (anche preziosi) nella canonica. L'ipotesi, dunque, di un
omicidio come conseguenza di una rapina sembra non avere nessun fondamento
negli elementi oggettivi desumibili dagli atti delle indagini; dai quali non
emergono particolari approfondimenti rispetto ad altre ipotesi investigative.
Rispetto al possibile legame dell’omicidio Boschin con la discarica di
Borgo Montello nel fascicolo sono reperibili pochi elementi. Il principale
riguarda la deposizione di un agricoltore residente nella zona, ex seminarista,
vicino a don Cesare Boschin, Claudio Gatto, che dichiarò agli investigatori:
“Ricordo infatti che una volta, circa sei-sette anni fa, don Cesare, nel
narrarmi di persone dirigenti della discarica che si erano resi disponibili
alla riparazione del tetto della chiesa, probabilmente per accattivarsi la sua
simpatia in considerazione che la discarica non era e non è ben vista dagli
abitanti del luogo e da don Cesare in particolare, questi rispose che ‘con i soldi
miei la chiesa posso rifarla dalla prima pietra’”. Lo stesso Gatto il 29 aprile
1995 dichiara al pubblico ministero:
“ADR:
Confermo quanto dichiarato ai CC; voglio precisare che la figura di don Cesare
- che negli ultimi due anni effettivamente si era ritirato quasi completamente
a vita privata – conservava comunque una grande importanza nel borgo; ciò in
quanto da una parte costituiva la memoria vivente della popolazione del borgo e
dall'altra negli anni passati aveva di fatto partecipato alla vita del luogo;
intendo riferirmi in particolare alle vicende che hanno riguardato la discarica
negli anni passati ed attualmente la realizzazione dell'inceneritore.
ADR: In proposito posso aggiungere che negli anni passati
don Cesare aveva manifestato chiaramente la sua opposizione alla realizzazione
della discarica in ciò sostenendo quel comitato di cittadini che io con altri
del borgo avevamo fondato; in particolare mi riferisco al comitato per la
tutela ambientale del quale io faccio parte così come Solazzi Loreto, Menegatti
Rolando Favoriti Vittorio - attuale presidente della circoscrizione – Gomiero
Valerio, Paolo Bortoletto e svariati altri”[14].
Queste dichiarazioni non vennero, però, approfondite nel corso delle
indagini. E' anche vero che altri abitanti del luogo affermarono la sostanziale
estraneità di don Cesare Boschin alle attività del comitati antidiscarica. In
tempi più recenti Gatto ha ulteriormente rafforzato le sue dichiarazioni in
diversi articoli di stampa.
Gli investigatori esclusero completamente anche la pista della criminalità
organizzata.
Michele Coppola – residente all'epoca dei fatti a Borgo Montello, a ridosso
della discarica - non è stato mai interessato dalle indagini, pur essendo già
all'epoca un soggetto molto conosciuto nella zona ed essendo nota alla polizia
giudiziaria la detenzione di diverse armi da fuoco (fatto registrato, come già
detto, nelle banche dati delle forze di polizia fin dagli anni '80). Anche il
successivo arresto di Coppola nell'ambito dell'inchiesta sul clan dei casalesi
“Spartacus” (avvenuto il 5 dicembre 1995) non spinse gli inquirenti ad
approfondire un eventuale coinvolgimento del clan nell'omicidio. Nulla è
accaduto neanche dopo le dichiarazioni di Carmine Schiavone del marzo 1996,
davanti a quelle stesse forze di polizia delegate alle indagini.
L’inchiesta appare per alcuni aspetti lacunosa. Nel fascicolo non sono
presenti attività tecniche o analisi di tabulati telefonici (ad esempio una
analisi del traffico telefonico di don Cesare Boschin avrebbe potuto fornire
indicazioni importanti) e le indicazioni, anche se parziali, fornite da alcuni
testimoni su una eventuale pista investigativa riconducibile ai traffici
illeciti di rifiuti non venne seguita fino in fondo.
A distanza di oltre due decenni dai fatti appare oggi difficile riuscire a
ricostruire gli eventi. La figura di don Cesare Boschin, in ogni caso, è nel
tempo divenuta una icona della lotta alla criminalità mafiosa. Dunque sarebbe
in ogni caso auspicabile riconsiderare quelle indagini, chiuse dall’autorità
giudiziaria, per tentare di ricostruire almeno il contesto, ascoltando anche i
tanti collaboratori di giustizia che hanno già illustrato fatti relativi al sud
del Lazio.
[1] Regione Carabinieri del Lazio, Comando
provinciale di Latina. Verbale d'interrogatorio di persona imputata in
procedimento eventualmente connesso del 13 marzo 1996, pagina 1.
L'interrogatorio di Schiavone avviene alcuni mesi dopo l'esecuzione della OCC
“Spartacus”, del 5 dicembre 1995, e fu svolto dal t. col. Dei Carabinieri
Vittorio Tommasone, dal commissario della Polizia di Stato Francesco Di Maio,
dall'ispettore superiore Luigi Pescuma e dal maresciallo Alessandro Pagliaro.
[2] Uno dei due fratelli potrebbe
identificarsi con Diana Costantino fu Salvatore Nicola e
di Cirillo Teresa,
nato a S.
Cipriano d'Aversa il 12.6.1931,
residente a Casapesenna,
via Quasimodo n.
4, imprenditore edile,
detto "'O repezzato”, deceduto in
data 17/02/2005, tratto
in arresto per associazione
a delinquere di
stampo mafioso, nell’ambito
dell’operazione denominata “Spartacus 1”
(cfr. ordinanza cautelare N. 36856/01 R.G.N.R Dda di Napoli nei confronti di
Nicola Cosentino).
[3] Da una ricerca sull'archivio
dell'agenzia ANSA risulta che i lavori di realizzazione della terza corsia
dell'autostrada Roma-Napoli sono iniziati a metà degli anni '80, per
concludersi in un periodo precedente il 1990, anno dei Campionati mondiali di
calcio a Roma.
[4] Commissione parlamentare d'inchiesta
sul ciclo dei rifiuti, XIII legislatura, audizione di Carmine Schiavone del 7
ottobre 1997 (documento declassificato, deliberazione ufficio di Presidenza
della Camera numero 50 del 31 ottobre 2013), pagina 18.
[8] Conservatoria dei
registri immobiliari di Latina, nota di trascrizione Reg. Particolo 13475 del
19 ottobre 1989
[10] Commissione parlamentare d'inchiesta
sul ciclo dei rifiuti, XIII legislatura, audizione di Carmine Schiavone del 7
ottobre 1997 (doc. cit.), pagina 15
[11] Commissione parlamentare d'inchiesta
sul ciclo dei rifiuti, XIII legislatura, audizione di Carmine Schiavone del 7
ottobre 1997 (doc. cit.), pagina 19
[12]
Ne ha riferito il Questore di Latina, Giuseppe De Matteis, in audizione davanti
alla Commissione antimafia, il 18 maggio 2016
[14] Verbale di
assunzione di informazioni del 29 aprile 1995, rese davanti al pubblico
ministero Barbara Callari (pagina 212 del fascicolo).
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