Dal 30 agosto al 3 settembre la capitale magiara ospita la quinta conferenza internazionale dedicata al movimento. Un'occasione per riflettere sulla sostenibilità del nostro stile di vita
di ROSITA RIJTANO http://www.repubblica.it/ambiente/2016/08/26/news/budapest_decrescita-146665077/?ref=HRLV-20A Cargonomia, punto d'incontro tra tre piccole imprese "ecocompatibili" attive a Budapest, è appena arrivata una cassetta di uova fresche. È stata poggiata a fianco delle particolari bici cargo a tre ruote progettate per scorrazzare in città, consegnando frutta e verdura. "Ce l'ha inviata un amico che sta implementando una cooperativa", dice Vincent Liegey, ricercatore francese ora di base in Ungheria, e uno dei coordinatori del progetto. "In cambio domani potremo offrirgli un servizio di trasporto con le nostre bici, oppure aiutarlo a fare delle riparazioni in fattoria. Difficile spiegare che cosa sia esattamente questo posto se non un'esperienza economica alternativa basata non sul profitto né sullo scambio, ma sulla reciprocità".Così, in un anarchico silenzio, all'interno della capitale magiara c'è una città decrescente che, quasi per paradosso, si allarga. Contrasta i messaggi divisivi di Viktor Orbán, attuale primo ministro del paese, ma anche quelli di molti altri leader europei. Perché promuove altri modelli di vita, costruiti sulla collaborazione. Non a caso qui, dal 30 agosto al 3 settembre, si terrà la quinta conferenza internazionale sulla decrescita. L'ultima, a Lipsia, è stata un boom: oltre tremila le persone coinvolte, provenienti da 74 paesi. "Quest'anno sarà particolarmente interessante per due ragioni", prosegue Liegey, che è anche tra gli organizzatori della manifestazione. La prima: "L'Ungheria ha vissuto il violento collasso dell'Unione Sovietica, uno stato centralizzato, implementazione dittatoriale di una buona idea. E dato che anche la decrescita nasce dalla teoria, penso che sia una buona occasione per imparare dagli errori passati e per facilitare il dialogo tra est e ovest. La seconda è che qui non c'è stato lo stesso sviluppo che ha caratterizzato l'Occidente, però ci sono ugualmente molte attività solidali ben funzionanti".
Tutte coinvolte nei due eventi paralleli in programma: in cinquecento parteciperanno alle conferenze pensate più per addetti ai lavori, mentre al festival - con workshop, discussioni aperte, esibizioni artistiche - si aspettano migliaia di curiosi. Pronti ad assaggiare cibo biologico e a imparare trucchetti utili a risparmiare nella vita domestica. L'obiettivo è indurre tutti a porsi delle domande: che cosa sono crescita e sviluppo?; è possibile avere una crescita infinita su un pianeta finito?. Gli stessi quesiti che circa quindici anni fa hanno caratterizzato gli esordi di ciò che Liegey definisce un modo di pensare "interdisciplinare e multidimensionale": "Ci sono tante strade per la decrescita quante persone 'decrescenti'", puntualizza, "infatti, non si tratta un movimento che ti dice cosa fare, bensì ti invita ad abbandonare la logica dell'ottenere sempre di più, a riappropriarti del tempo, come di una stile di vita sostenibile e pieno di significato".
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Un mutamento che, secondo l'attivista, è necessario adesso più che mai. "Oggi stiamo fronteggiando il collasso della società occidentale, fondata sulla convinzione che la crescita permetta di risolvere i conflitti sociali. Un falso mito, perché le risorse fisiche sono limitate. Gli effetti sono sotto i nostri occhi: il cambiamento climatico, la perdita delle biodiversità e via discorrendo. Ma c'è anche un limite culturale. Nonostante il consumismo, non siamo più felici: c'è un alto livello di stress, un alto numero di suicidi, di violenza e sfruttamento". Per modificare il corso corrente basta poco. Qualche esempio: si può lasciare il proprio lavoro in banca e investire in una fattoria, fare la spesa in un negozio di prodotti a chilometro zero o mangiare meno carne. Basta questo a rendere più felici? "A me sì", ribatte Liegey.
A Wekerle estate, nel XIX distretto di Budapest, sono partiti dal cibo buono. Arrivando qui dal centro, sembra di addentrarsi in un villaggio d'altri tempi. Case basse con giardino e biciclette a ogni angolo. "La zona è stata disegnata per accogliere le persone che si sono spostate in città dalla campagna. L'idea era quella teorizzata dall'inglese Ebenezer Howard: un mix proporzionato tra agricoltura, industria e abitazioni", spiega Tracey Wheatley che fa parte di Átalakuló Wekerle, un'associazione di quartiere impegnata a promuovere diverse attività: dall'isolamento delle finestre al compostaggio. "Abbiamo cominciato dal mangiare: perché il pane saporito fatto con grano coltivato senza pesticidi, per dire, è qualcosa che viene capito in fretta da tutti", racconta, "ma, in sostanza, ciò che stiamo facendo è lavorare sulla cooperazione, la tolleranza e l'auto organizzazione. In modo da spingere le persone a guardare fuori dal proprio piccolo mondo, a lavorare insieme e fidarsi degli altri".
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