sabato 1 marzo 2014
Storia di Ignazio Cutrò l'imprenditore che ha sconfitto la mafia
L’IMPRENDITORE
Cutrò i mafiosi li chiama
pubblicamente “quattro
pezzi di merda”. È uno
che ha lo strano vizio
di dare a ogni cosa
il suo vero nome
di Benny Calasanzio
Borsellino
In culo alla mafia”. Ignazio
Cutrò (...) mi disse proprio
così: “In culo alla mafia”. Voleva
che scrivessi con lui la sua
storia, un libro che raccontasse
la vita di un imprenditore
che vince contro la mafia e
contro la burocrazia statale e
parastatale. “L’unica cosa che
desidero – mi disse – è che il
titolo sia questo: ‘In culo alla
mafia’”.
Un titolo volgare (...) penserà
qualcuno. Ma Ignazio non va
per il sottile (...) non è un intellettuale,
non è uno stilnovista
né un letterato, è un imprenditore
a cui piace fare ancora
l’operaio, è uno che si
sporca le mani, che lavora insieme
e più dei suoi dipendenti
nei cantieri, che esce di casa
quando non c’è ancora il sole e
torna quando il sole non c’è
più. (...) Per lui l’importante è
farsi capire (...) “In culo alla
mafia” è il suo motto, la frase
che piazza alla fine dei suoi
interventi pubblici, scatenando
l’entusiasmo dei presenti,
magari narcotizzati dal precedente
relatore. I mafiosi li
chiama “quattro pezzi di merda”,
incurante che i suoi colleghi
al tavolo
siano prefetti,
graduati dell’Arma
o ministri
della
Repubblica.
(...) L’impresa
più grande
non è stata
stendere queste pagine, tra incontri
in località segrete e carabinieri,
ma convincere
Ignazio che titolare il nostro
libro così sarebbe stata una
scelta editoriale azzardata; gli
ho spiegato che il testo sarebbe
dovuto arrivare nelle scuole,
avrebbe viaggiato tra i ragazzi
per educare i giovani alla
legalità e alla lotta contro la
mafia. Quel titolo, insomma,
non ci avrebbe fatto entrare
nei luoghi in cui noi volevamo
andare. E allora, borbottando
e imprecando contro il mio
“politicamente corretto”, ha
accettato. Ma ne sarà infastidito
a vita.
Ignazio è uno che ha lo strano
vizio di chiamare ogni cosa
con il suo nome. È un soldato,
è in guerra ed è il comandante
di un piccolo esercito di quattro
persone: Giuseppina, la
moglie, una donna riservata
dagli occhi furbi che tiene insieme
la famiglia e che per stare
accanto a Ignazio ha rinunciato
a molti parenti e amici di
vecchia data; Giuseppe e Veronica
Aurora, i loro ragazzi,
che hanno sofferto tantissimo
per i fatti che racconteremo
ma che ora sono felici di essere
i figli di un uomo coraggioso e
che danno forza al padre nei
momenti (non pochi) di sconforto.
E POI CI SONO le sentinelle, gli
otto carabinieri della caserma
di Bivona, provincia di Agrigento,
che a rotazione tutelano
la “nostra” famiglia in ogni
istante della giornata. Anche
loro, per la maggior parte giovani
di altre regioni, sono orgogliosi
di scortare i Cutrò (...)
Ogni giorno, che piova o che ci
sia il sole, l’esercito Cutrò è sul
campo di battaglia a combattere
per riprendere possesso
della vita e del lavoro che la
mafia, in particolare la cosca
mafiosa dei Panepinto, voleva
sottrarre loro (...) Mi sono subito
appassionato alla storia di
Ignazio Cutrò perché mi è apparsa
come qualcosa di limpido
e cristallino, di puro. Cutrò
non era uno delle centinaia
di imprenditori, qualcuno dei
quali oggi assurto al rango di
intangibile eroe anti-racket,
che dopo anni di pizzo, messi
con le spalle al muro dalle forze
dell’ordine, denunciavano
le vessazioni per evitare magari
l’incriminazione per favoreggiamento,
falsa testimonianza
o la semplice figuraccia
sui media. No. Cutrò, quando
ci incontrammo, me lo disse
guardandomi negli occhi, prima
di ogni cosa: “Fratè, io non
ho mai pagato un euro, non mi
è mai passato nella mente”.
Non me ne vogliano i quasi
cento altri testimoni di giustizia
italiani, ma questa storia è
speciale.
(...) Ho assistito a tutto il calvario
iniziato con le prime intimidazioni,
seguite da puntuali
e circostanziate denunce
e dall’inevitabile e vigliacco
isolamento. Poi, pian piano, la
risalita. Ho visto Ignazio piangere
di disperazione e, anche
in quei momenti, rivendicare
con rabbia la sua scelta. E ci
sono ora, ora che siamo qui,
nel giardino della mia casa a
Verona, a scrivere questa introduzione
e a raccontare una
vittoria, una di quelle storie
che si dovrebbero raccontare
ai bambini prima di andare a
dormire, in cui lo Stato e i suoi
cittadini onesti vincono sui
cattivi. Già, perché Cutrò non
avrà un cavallo e un mantello
ma è il personaggio positivo
della nostra storia che, dopo
aver denunciato e fatto condannare
gli sciacalli che lo volevano
in ginocchio, è tornato
a fare quello che faceva prima:
l’imprenditore, anche se con
difficoltà e in una situazione
economica ben nota. Il fatto quotidiano 1 marzo 2014
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