I dati degli epidemiologi sulle zone inquinate (Sin). "In 15 anni 3328 decessi di neonati e 91 gravidanze finite male". Le situazioni più critiche a Mantova, Taranto e Massa Carrara. Il ministero dell'Ambiente ha speso mezzo milione in consulenze e studi. Ma le bonifiche restano al palo
di Stefania Divertito
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Quando sullo schermo è apparsa la diapositiva con i due cerchi rossi la sala si è azzittita. Neanche il brusio a bassa voce o il vibrare dei telefonini. Eppure la sala non è affatto impreparata. Ma i numeri evidenziati con i cerchi rossi hanno bisogno di alcuni secondi prima di essere digeriti.
Roma, aula magna della facoltà di matematica della Sapienza, congresso dell’associazione italiana di epidemiologia. Assise per tecnici, dove, tra gli altri, si intravedono i padri dell’epidemiologia italiana. «Un milione di bambini vive nei Sin», dice Roberta Pirastu, commentando la sua relazione illustrata dalla diapositiva con i tre cerchi rossi.
I Sin sono i Siti di interesse nazionale, i luoghi più inquinati d’Italia, i buchi neri del Paese, che rappresentano il 3% di tutto il territorio. Complessi industriali, petrolchimici, discariche, acciaierie: anche quando le attività produttive hanno chiuso i battenti, o sono oramai residuali, la loro eredità permane nelle falde acquifere e nei terreni. E lascia traccia nella salute dei residenti. O dei piccoli residenti. Come sta dicendo appunto la ricercatrice, che negli anni è diventata l’anima del progetto Sentieri, lo studio del governo commissionato all’Istituto superiore di Sanità e al Cnr per fotografare la salute dei residenti di 44 dei 57 Sin.
LA MAPPA DELL'INQUINAMENTO INDUSTRIALE
Infografica interattiva realizzata da Davide Mancino per Datajournalism.it
RIFERIMENTI
P. Comba et. al., Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica ; Epidemiologia & Prevenzione 2012;
R. Pirastu et. al., SENTIERI – Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti al rischio da inquinamento: risultati ; Epidemiologia & Prevenzione 2011;
I dati epidemiologici e geografici utilizzati sono disponibili qui .
Ufficialmente, i dati di Sentieri sono fermi al 2002. Da un anno il ministero della Salute ha annunciato gli aggiornamenti, ma non ve n’è traccia ufficialmente. “Stiamo ancora elaborando i dati”, è la risposta di prassi. Però, gli epidemiologi questi dati li hanno già. E ne parlano nei congressi per addetti ai lavori. «Abbiamo riscontrato che questo milione di bambini ha il 5% in più di possibilità di morire rispetto ai coetanei che vivono in altre aree del paese».
Primo cerchio rosso: in 15 anni, dal 1995 al 2009, i bambini da 0 a 1 anno che sono deceduti nei Sin sono 3328. Sono 128 in più dei casi attesi: circa nove all’anno per 15 anni. Solo nel primo anno di vita.
Secondo cerchio rosso: origine perinatale. Sono 91 gravidanze finite male, bambini morti prima di nascere, feti abortiti. Casi in eccesso: se ne attendevano 1812, sono stati osservati 1903. Non si parla di tumori, anzi quelli sono anche inferiori ai casi attesi, ma di tutte le altre cause di mortalità. È un avviso alla politica: sviante concentrarsi soltanto sui dati oncologici.
Nelle pubblicazioni di settore, spulciando tra i documenti a disposizione dei congressisti, ecco i buchi neri più buchi neri d’Italia: Mantova, innanzitutto. La città del polo petrolchimico, e del Festival della Letteratura, ha 13 casi in più di neonati morti, rispetto a quelli attesi, e ben 49 tra i bambini fino a 14 anni.
Taranto, ovviamente: ne ha 31 fino a un anno (è il record in Italia) e 18 nell’altra fascia. Segue il Sin di Massa Carrara, che comprende gli impianti della Syndial (Eni), della Solvay, l’ex Farmoplant e l’ex Ferroleghe, ma anche zone non contaminate e alcuni tratti di mare a ridosso della costa. Ci sono 12 neonati morti in più rispetto al resto d’Italia, 15 tra i bambini fino a 14 anni. «Bisogna agire, e presto – dice Roberta Pirastu – perché parliamo di terre contaminate e di numeri che possono solo crescere, se non si fa qualcosa».
Questo qualcosa sono le bonifiche, non basterebbero tre finanziarie per pulire l’Italia eppure, se non consideriamo i risultati, non c’è settore più dinamico di questo. Tra il 2008 e il 2011 sono stati spesi 426 milioni di euro, affidati alla Sogesid, società in house del ministero dell’Ambiente, nata proprio per le bonifiche. Quasi mezzo milione speso per consulenze, studi, monitoraggi. Bonifiche, neanche a parlarne. Anche se sulla carta sono minuziosamente pianificate. Come quella del litorale domitio in Campania, in gran parte compreso oggi nella Terra dei Fuochi, oppure dell’area Pitelli de La Spezia, o ancora la darsena del porto di Taranto.
I numeri emergono in alcune recenti interrogazioni parlamentari a firma del deputato Pd Alessandro Bratti: nel 2012 la Sogesid produce consulenze esterne per 4,3 milioni di euro. Più di 200 contratti verso tecnici e specializzati a vario titolo. In tutto il curriculum della società conta 1500 contratti di consulenza per 35 milioni di euro. In alcuni casi è la magistratura a fare chiarezza: come a Bagnoli. L’area dell’ex Italsider aveva inquinamento da idrocarburi policiclici aromatici a macchia di leopardo. Ma dopo i lavori del 2006 e del 2008 l’inquinamento era stato reso omogeneo. Nel cda di Sogesid ci sono Luigi Pelaggi, oggi indagato per Taranto, e Gianfranco Mascazzini, finito in varie inchieste giudiziarie, da Napoli a Udine. Entrambi sono alti dirigenti del ministero dell’Ambiente.
Ci ha provato l’ex ministro dell’Ambiente Clini ad arginare la Sogesid e a immaginare un diverso modo di fare le bonifiche. Con il modello Marghera. In sostanza, una joint venture tra pubblico e privato. A fronte di un interesse dei privati, partirà la bonifica su quello specifico fazzoletto di territorio dove, successivamente, dovrà essere insediata l’attività produttiva. E i soldi? Per Marghera ci sono tre miliardi di fondi pubblici (tra ministero, regione, enti locali). Poco più di due miliardi dai privati. Clini voleva diffondere il modello per tutti i Sin e, in nome della spending review, dismettere la Sogesid.
Ma Clini ora è tornato alla direzione generale del ministero. Al suo posto c’è Andrea Orlando, che ad agosto ha ribadito questa priorità. Nel frattempo però la Sogesid è sempre in prima linea, e le bonifiche al palo
http://espresso.repubblica.it/inchieste/2013/11/19/news/inquinamento-1.141526Roma, aula magna della facoltà di matematica della Sapienza, congresso dell’associazione italiana di epidemiologia. Assise per tecnici, dove, tra gli altri, si intravedono i padri dell’epidemiologia italiana. «Un milione di bambini vive nei Sin», dice Roberta Pirastu, commentando la sua relazione illustrata dalla diapositiva con i tre cerchi rossi.
I Sin sono i Siti di interesse nazionale, i luoghi più inquinati d’Italia, i buchi neri del Paese, che rappresentano il 3% di tutto il territorio. Complessi industriali, petrolchimici, discariche, acciaierie: anche quando le attività produttive hanno chiuso i battenti, o sono oramai residuali, la loro eredità permane nelle falde acquifere e nei terreni. E lascia traccia nella salute dei residenti. O dei piccoli residenti. Come sta dicendo appunto la ricercatrice, che negli anni è diventata l’anima del progetto Sentieri, lo studio del governo commissionato all’Istituto superiore di Sanità e al Cnr per fotografare la salute dei residenti di 44 dei 57 Sin.
LA MAPPA DELL'INQUINAMENTO INDUSTRIALE
Infografica interattiva realizzata da Davide Mancino per Datajournalism.it
RIFERIMENTI
P. Comba et. al., Ambiente e salute a Taranto: evidenze disponibili e indicazioni di sanità pubblica ; Epidemiologia & Prevenzione 2012;
R. Pirastu et. al., SENTIERI – Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti al rischio da inquinamento: risultati ; Epidemiologia & Prevenzione 2011;
I dati epidemiologici e geografici utilizzati sono disponibili qui .
Ufficialmente, i dati di Sentieri sono fermi al 2002. Da un anno il ministero della Salute ha annunciato gli aggiornamenti, ma non ve n’è traccia ufficialmente. “Stiamo ancora elaborando i dati”, è la risposta di prassi. Però, gli epidemiologi questi dati li hanno già. E ne parlano nei congressi per addetti ai lavori. «Abbiamo riscontrato che questo milione di bambini ha il 5% in più di possibilità di morire rispetto ai coetanei che vivono in altre aree del paese».
Primo cerchio rosso: in 15 anni, dal 1995 al 2009, i bambini da 0 a 1 anno che sono deceduti nei Sin sono 3328. Sono 128 in più dei casi attesi: circa nove all’anno per 15 anni. Solo nel primo anno di vita.
Secondo cerchio rosso: origine perinatale. Sono 91 gravidanze finite male, bambini morti prima di nascere, feti abortiti. Casi in eccesso: se ne attendevano 1812, sono stati osservati 1903. Non si parla di tumori, anzi quelli sono anche inferiori ai casi attesi, ma di tutte le altre cause di mortalità. È un avviso alla politica: sviante concentrarsi soltanto sui dati oncologici.
Nelle pubblicazioni di settore, spulciando tra i documenti a disposizione dei congressisti, ecco i buchi neri più buchi neri d’Italia: Mantova, innanzitutto. La città del polo petrolchimico, e del Festival della Letteratura, ha 13 casi in più di neonati morti, rispetto a quelli attesi, e ben 49 tra i bambini fino a 14 anni.
Taranto, ovviamente: ne ha 31 fino a un anno (è il record in Italia) e 18 nell’altra fascia. Segue il Sin di Massa Carrara, che comprende gli impianti della Syndial (Eni), della Solvay, l’ex Farmoplant e l’ex Ferroleghe, ma anche zone non contaminate e alcuni tratti di mare a ridosso della costa. Ci sono 12 neonati morti in più rispetto al resto d’Italia, 15 tra i bambini fino a 14 anni. «Bisogna agire, e presto – dice Roberta Pirastu – perché parliamo di terre contaminate e di numeri che possono solo crescere, se non si fa qualcosa».
Questo qualcosa sono le bonifiche, non basterebbero tre finanziarie per pulire l’Italia eppure, se non consideriamo i risultati, non c’è settore più dinamico di questo. Tra il 2008 e il 2011 sono stati spesi 426 milioni di euro, affidati alla Sogesid, società in house del ministero dell’Ambiente, nata proprio per le bonifiche. Quasi mezzo milione speso per consulenze, studi, monitoraggi. Bonifiche, neanche a parlarne. Anche se sulla carta sono minuziosamente pianificate. Come quella del litorale domitio in Campania, in gran parte compreso oggi nella Terra dei Fuochi, oppure dell’area Pitelli de La Spezia, o ancora la darsena del porto di Taranto.
I numeri emergono in alcune recenti interrogazioni parlamentari a firma del deputato Pd Alessandro Bratti: nel 2012 la Sogesid produce consulenze esterne per 4,3 milioni di euro. Più di 200 contratti verso tecnici e specializzati a vario titolo. In tutto il curriculum della società conta 1500 contratti di consulenza per 35 milioni di euro. In alcuni casi è la magistratura a fare chiarezza: come a Bagnoli. L’area dell’ex Italsider aveva inquinamento da idrocarburi policiclici aromatici a macchia di leopardo. Ma dopo i lavori del 2006 e del 2008 l’inquinamento era stato reso omogeneo. Nel cda di Sogesid ci sono Luigi Pelaggi, oggi indagato per Taranto, e Gianfranco Mascazzini, finito in varie inchieste giudiziarie, da Napoli a Udine. Entrambi sono alti dirigenti del ministero dell’Ambiente.
Ci ha provato l’ex ministro dell’Ambiente Clini ad arginare la Sogesid e a immaginare un diverso modo di fare le bonifiche. Con il modello Marghera. In sostanza, una joint venture tra pubblico e privato. A fronte di un interesse dei privati, partirà la bonifica su quello specifico fazzoletto di territorio dove, successivamente, dovrà essere insediata l’attività produttiva. E i soldi? Per Marghera ci sono tre miliardi di fondi pubblici (tra ministero, regione, enti locali). Poco più di due miliardi dai privati. Clini voleva diffondere il modello per tutti i Sin e, in nome della spending review, dismettere la Sogesid.
Ma Clini ora è tornato alla direzione generale del ministero. Al suo posto c’è Andrea Orlando, che ad agosto ha ribadito questa priorità. Nel frattempo però la Sogesid è sempre in prima linea, e le bonifiche al palo
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