di Fabio Balocco | 19 luglio 2013
Se andate su Google e digitate l’acronimo “Ose”, lo troverete al decimo posto, anche dopo le immagini “osé”… Segno che oggi questo acronimo non gode di così tanto seguito, ma un domani…chissà? Una volta tanto non voglio essere pessimista.
Ose, dunque, un acronimo, dicevo: sta per “open source ecology”.
Open source penso sia noto a tutti, è quella tecnologia informatica non coperta da copyright che permette a tutti di utilizzarla liberamente, il cui portabandiera è il “guru” Richard Stallman. Linux sicuramente dirà molto a molti di voi. Ma anche la stessa Wikipedia è figlia di cotanta madre.
Open source ecology è appunto l’open source invece applicato alla tecnologia. Tutti noi sappiamo che i prodotti che compriamo sono realizzati da grandi industrie, per lo più lontane da dove il prodotto finito è venduto, che sono coperti da copyright, la cui assistenza è a pagamento, la cui durata (del bene o di suoi componenti) è limitata. Ma su questo ultimo aspetto sarà il caso che mi soffermi in un prossimo post. Con l’Ose cambia il paradigma: attraverso la rete, specialisti di vari campi condividono gratuitamente studi, invenzioni, prodotti, con lo scopo dichiarato di ottenere macchine efficienti e con grande risparmio economico ed ambientale.
Una rivoluzione: oggetti destinati a durare, facili da usare e da riparare, realizzati con materiali riciclabili. Con il duplice effetto: 1) di sentirci noi non più semplici acquirenti di un prodotto alieno, ma veri proprietari ed utilizzatori dello stesso; 2) di recare un bello smacco alle multinazionali. Un primo passo, essenziale, verso la open source economy, nato nell’ambito del movimento della decrescita, e ben diversa da quell’ambigua “green economy” che già conosciamo.
Ci sono già trattori open source, auto open source, macchine per produrre mattoni in terra cruda open source, della serie “mi faccio io la casa”.
Ose per il momento è un movimento di nicchia, ma, appunto, chissà… La gente è sempre più povera, la diffidenza nei confronti del grande capitale sempre più alta. Chissà che tutto questo non contribuisca all’espansione di questa forma che potremmo definire di attualizzazione del comunismo.
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