domenica 25 giugno 2017
Esercizio, su un suolo posto nelle immediate vicinanze di un’azienda agricola, di una discarica di rifiuti
T.A.R. Lazio - Latina, Sez. I 23 novembre 2016, n. 741 - Taglienti, pres.; Soricelli, est. - Giorgi ed a. (avv.ti Di Lorenzo
e Mozzato) c. Comune di Latina (avv. Di Leginio) ed a.
Ambiente - Impresa agricola - Esercizio, su un suolo posto nelle immediate vicinanze dell’azienda, di una discarica
di rifiuti - Contaminazione di tutta l’area - Risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali - Prescrizione.
(Omissis)
FATTO
I ricorrenti sono proprietari di un appezzamento agricolo in località Borgo Montello-Bainsizza, via Monfalcone strada del
Pero che hanno acquistato nel 1969; su tale suolo hanno avviato un’impresa agricola che, nel corso del tempo, si è dedicata
all’attività vitivinicola, di coltivazione di frutta e ortaggi e, infine, vivaistica.
In data 9/19 dicembre 2009 convenivano innanzi al Tribunale di Latina i soggetti indicati in epigrafe (cioè il comune di
Latina, la provincia di Latina, la regione Lazio e le società Ecoambiente e Ind.Eco) al fine di ottenerne la condanna al
risarcimento dei danni derivanti dall’esercizio – su un suolo posto nelle immediate vicinanze della propria azienda – di
una discarica di rifiuti da parte delle società Ind.Eco e Ecoambiente, lamentando che l’attività svolta nel sito della discarica
ha determinato la contaminazione di tutta l’area con pregiudizio anche della loro integrità psico-fisica; a causa del diffuso
inquinamento prodottosi nel corso degli anni, l’area di loro proprietà ha subito un processo di degrado che ne ha
praticamente annullato il valore; a ciò si aggiunge il danno subito dalla loro attività economica (la cui redditività,
nonostante cospicui investimenti sostenuti, è fortemente diminuita sino al punto che essi non sono stati in grado di onorare
i mutui che avevano contratto allo scopo).
Essi quindi chiedevano la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni che quantificavano in euro 5.0000.000, di cui
euro 1.400.000 per la riduzione del valore della loro proprietà e euro 2.000.000 per lucro cessante (50.000 euro annui
proiettati su un periodo di 40 anni), oltre ai danni non patrimoniali (esistenziali e morali) e alla salute.
Instauratosi il contraddittorio, con la sentenza n. 991 del 29 aprile 2014, il Tribunale di Latina dichiarava il difetto di
giurisdizione sulla controversia, indicando come giudice della stessa il giudice amministrativo, venendo in rilievo una
controversia in materia di organizzazione e gestione dell’attività di smaltimento dei rifiuti, cioè un servizio pubblico con
conseguente attrazione del relativo contenzioso nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex articolo 133,
lett. p) (secondo cui rientrano tra le altre nella giurisdizione esclusiva le “controversie comunque attinenti alla complessiva
azione di gestione del ciclo dei rifiuti, seppure posta in essere con comportamenti della pubblica amministrazione
riconducibili, anche mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, quand'anche relative a diritti costituzionalmente
tutelati”).
Di conseguenza i signori Giorgi e Giuliani riassumevano il processo con ricorso notificato alle controparti il 19 novembre
2014 (le relative notifiche, eseguite a mezzo posta, si sono perfezionate tra il 20 e il 27 novembre) e depositato in segreteria
il 11 dicembre 2014.
Si sono costituiti in giudizio tutti i soggetti intimati che resistono al ricorso.
Il comune di Latina in via preliminare sostiene il proprio difetto di legittimazione passiva e chiede la sospensione del
giudizio ex articolo 79 c.p.a. nelle more della definizione del giudizio penale a carico di alcuni soggetti (in sostanza i
vertici aziendali di Ecoambiente) imputati a vario titolo dell’inquinamento dell’area della discarica (in particolare il
processo si riferisce alle responsabilità correlate alla contaminazione delle acque sotterranee ad opera di vari inquinanti
provenienti dagli invasi superficiali); nel merito il comune sostiene che il ricorso è infondato.
La provincia di Latina, a propria volta, sostiene il proprio difetto di legittimazione passiva e nel merito l’infondatezza del
ricorso.
La regione Lazio parimenti ha concluso chiedendo la reiezione del ricorso.
La Ind.Eco eccepisce in via preliminare l’inammissibilità della riassunzione dato che i ricorrenti non si sarebbero limitati
a riproporre la domanda già proposta innanzi al Tribunale civile ma l’avrebbero modificata e integrata mediante quelli
che in ricorso sono definiti “nuovi motivi” (in pratica si tratta delle pagine da 47 a 85 del ricorso), così in definitiva
instaurando un giudizio diverso che non può essere considerato una prosecuzione di quello svoltosi innanzi al giudice
ordinario; in via subordinata la Ind.Eco eccepisce l’inammissibilità dei “nuovi motivi”; la Ind.Eco eccepisce altresì la
inammissibilità del ricorso in quanto nessuno degli atti che nel corso del tempo l’hanno autorizzata all’esercizio nel sito
di Borgo Montello della sua attività è stato impugnato dai ricorrenti. In via gradata Ind.Eco eccepisce la prescrizione del
diritto al risarcimento del danno dato che i fatti causativi dei danni sono dagli stessi ricorrenti collocati in un arco
temporale che va dal 1970 agli anni 90 sicchè si è ampiamento consumato il periodo di 5 anni previsto dall’articolo 2947
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c.c. per la prescrizione del diritto al risarcimento del danno. In via ulteriormente gradata Ind.Eco sostiene l’infondatezza
nel merito del ricorso e, in particolare, la propria estraneità all’inquinamento del sito della discarica e comunque la
mancanza di prove in ordine a una sua responsabilità.
Infine Ecoambiente eccepisce l’estinzione del diritto di azione, dato che il signor Giorgi si è costituito come parte civile
nel processo a carico del presidente e dell’amministratore delegato della società; ciò ha comportato il trasferimento
dell’azione risarcitoria nel giudizio penale e l’estinzione del diritto di azione che non viene meno per effetto della revoca
della costituzione di parte civile (il deposito dell’atto di costituzione di parte civile e della relativa revoca si sono verificate
nel processo svoltosi innanzi al Tribunale civile di Latina); in via subordinata Ecoambiente eccepisce l’inammissibilità
dei “nuovi motivi” recati dal ricorso e la prescrizione del diritto al risarcimento dell’anno essendo ampiamente decorsi 5
anni dalla verificazione dell’illecito; in via ulteriormente gradata la società chiede la reiezione del ricorso risultando il
medesimo infondato.
DIRITTO
Preliminarmente occorre esaminare le eccezioni sollevate dai resistenti.
Come accennato, viene anzitutto contestato che, nel riassumere il processo instaurato innanzi al Tribunale di Latina, i
ricorrenti non si siano limitati a riproporre la domanda già proposta in sede civile ma l’abbiano in qualche misura integrata
o modificata sicchè innanzi al giudice amministrativo sarebbe stato instaurato un diverso processo con la conseguenza
che il ricorso sarebbe inammissibile o che almeno sarebbero inammissibili i “motivi nuovi”, cioè la parte di ricorso (per
intendersi le pagg. 47-85) che si aggiunge all’atto di citazione proposto davanti al giudice civile (che è stato riproposto
letteralmente nelle pagine del ricorso precedenti alla pagina 47).
L’eccezione è infondata. La domanda proposta innanzi alla sezione dai ricorrenti è infatti rimasta immutata; i ricorrenti si
sono limitati a integrarla con una serie di allegazioni e argomentazioni che, fermo restando la domanda originariamente
proposta, hanno da un lato la funzione di adattare il contenuto della domanda alle caratteristiche del processo
amministrativo e, in parte (e forse soprattutto), quella di “aggiornare” le allegazioni originariamente proposte alla luce
degli sviluppi dell’annosa vicenda relativa al sito di Borgo Montello (che è stato oggetto – in epoca successiva alla
instaurazione del processo innanzi al giudice civile – di un procedimento di bonifica che è oltretutto tuttora in corso); in
pratica i ricorrenti hanno proceduto a quella che appare essere – come da essi sottolineato nella memoria depositata in
prossimità dell’udienza pubblica – una “emendatio libelli” che è compatibile con la translatio judicii (e che quindi e in
particolare non impedisce che si producano i tipici effetti della translatio, cioè la conservazione degli effetti sostanziali e
processuali della domanda proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione).
Per quanto concerne l’estinzione dell’azione civile – eccepita da Ecoambiente relativamente al signor Giorgi, avendo
questi depositato nel giudizio svoltosi innanzi al giudice ordinario la costituzione di parte civile nei confronti degli
esponenti aziendali della società sottoposti a procedimento penale – va rilevato che essa postulerebbe un’identità tra
azione civile esercitata in sede penale e l’azione risarcitoria esercitata con il ricorso all’esame; questa identità non sussiste
dato che sussiste al contrario diversità di soggetti, di causa petendi e di petitum.
Infine va respinta la istanza di sospensione del processo per pregiudizialità del processo penale a carico degli esponenti
aziendali di Ecoambiente. L’attuale sistema normativo disciplinante i rapporti tra il processo penale e gli altri tipi di
processo è infatti ispirato a un criterio di tendenziale autonomia dei giudizi e di parallelismo dei relativi accertamenti, che
si riferiscono a ambiti diversi e hanno finalità differenti, che ha superato il previgente sistema fondato al contrario sulla
necessaria pregiudizialità dell’azione penale rispetto al processo amministrativo; la sospensione del processo
amministrativo sarebbe quindi possibile solo se esistesse un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra le cause, quindi
“soltanto se la definizione del giudizio amministrativo dipenda esclusivamente, con rapporto di vera pregiudizialità, da
quella del giudizio penale”, cioè “ove ne sia vincolata in modo diretto e consequenziale” (Consiglio di Stato, sez. IV,
25/08/2016, n. 3689). Dell’esistenza di tal tipo di pregiudizialità non è stata però fornita prova.
Può quindi passarsi al merito del ricorso.
Al fine di comprendere le ragioni della decisione appare opportuno individuare esattamente quale sia il contenuto della
domanda proposta dai ricorrenti e, in particolare, quale sia l’illecito che essi attribuiscono ai resistenti e che – nella loro
prospettazione – avrebbe determinato i vari danni di cui chiedono il risarcimento (e che, in ultima analisi e in estrema
sintesi, consistono nella perdita del valore del compendio immobiliare che essi acquistarono nel 1969, nella riduzione dei
redditi che essi ritraevano dall’impresa agricola esercitata in quel compendio e in danni non patrimoniali all’integrità
psico-fisica).
In punto di fatto i ricorrenti rappresentano di aver acquistato il compendio immobiliare – come accennato – nel 1969 e
che su tale compendio avviarono un’attività viti-vinicola.
Essi sostengono che nel 1970 in un’area vicina fu realizzato un impianto per la raccolta e lo smaltimento di rifiuti solidi
urbani che “sin dai primi anni” dal suo insediamento ha determinato una grave compromissione dell’ambiente e
ripercussioni negative sull’attività svolta (in particolare a causa della immissione in atmosfera di fumi e sostanze tossiche
derivanti da un’attività di “incenerimento a cielo aperto”). I danni alle uve prodotte sarebbero stati tali che, nel 1986,
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l’azienda che le vinificava ne rifiutò la presa in consegna interrompendo i rapporti con l’impresa dei ricorrenti; in
quest’epoca (1986) essi furono quindi costretti, anche a causa della drastica riduzione dei ricavi, a rinunciare alla
produzione viti-vinicola e intrapresero una produzione ortofrutticola sostenendo ingenti investimenti; tuttavia, a causa del
permanere della situazione di degrado ambientale, i ricorrenti furono costretti a interrompere questa nuova attività e a
intraprendere, infine, l’attività floro-vivaistica (anche in questo caso sostenendo nuovi e ingenti investimenti). Tuttavia
anche l’attività vivaistica – a causa del continuo potenziamento della discarica (cioè dell’autorizzazione all’apertura di
nuovi volumi di abbancamento) – non diede i frutti sperati a causa del peggioramento della situazione (in ricorso si fa
riferimento a emissioni gassose nocive che hanno inquinato i terreni circostanti la discarica e a casi di intossicazione da
inalazione di sostanze nocive nel corso degli anni 80 e 90 dello scorso secolo, uno dei quali occorso alla stessa ricorrente
e alla madre nel luglio del 1995). A causa della perdita di redditività dell’impresa i ricorrenti non furono quindi in grado
di far fronte ai propri impegni nei confronti di enti creditizi sicchè l’azienda era sottoposta nel 2005 a esecuzione
immobiliare; a riprova della perdita di valore del compendio in ricorso si fa presente che a fronte di un valore stimato dal
c.t.u. in circa euro 1.757.000 il valore posto a base d’asta – a seguito di successivi ribassi – è stato ridotto a euro 365.000
dall’ultimo – l’ottavo – avviso d’asta).
In punto di diritto essi affermano che i danni patiti – e che sono riassunti nella lesione di diritti assoluti di rango
costituzionale (in ricorso si fa riferimento agli artt. 2, 3, 9, 41 e 42) si ricollegano a un illecito permanente “solidalmente
riconducibile sia alle società titolari degli impianti di discarica sia agli enti pubblici per condotta gravemente negligente
e omissiva”.
Il degrado del territorio di appartenenza e la sua riconducibilità alle società Ecoambiente e Ind.Eco, quale soggetti gestori
degli impianti di discarica e agli enti pubblici “per omissioni e negligenti contegni”, nella prospettazione dei ricorrenti, è
un fatto notorio a livello sia locale che nazionale e, come tale, non richiede nemmeno una specifica prova, tanto più che
l’attività di gestione di impianti di trattamento dei rifiuti si configura come attività pericolosa ex articolo 2050 c.c. con
conseguente responsabilità oggettiva e presuntiva del gestore per le conseguenze dell’attività e degli enti pubblici
territoriali per “condotta omissiva pericolosa”; agli enti territoriali è in particolare imputato di “non aver osservato …
quel limite esterno che tocca anche l’attività discrezionale della pubblica amministrazione, rappresentato dal rispetto dei
principi di legalità, imparzialità, buona amministrazione e dalla inviolabilità dei diritti assoluti di natura privata inerenti
la salute, la proprietà dominicale e tute le altre estrinsecazioni fondamentali dell’individuo”.
Queste allegazioni sono state poi integrate con un nuovo articolato motivo (non presente, come già accennato
nell’originario atto di citazione). Esso peraltro non modifica sostanzialmente le originarie allegazioni dato che i ricorrenti
si limitano a integrarle con riferimenti a fatti successivi all’instaurazione del giudizio innanzi al giudice civile (relativi ad
es. alla procedura di infrazione avviata a livello comunitario e alle vicende relative al procedimento di bonifica in itinere)
che confermerebbero la loro tesi dell’esistenza di un diffuso stato di degrado ambientale addebitabile in via diretta
all’esercizio delle discariche da parte di Ecoambiente e Ind.Eco (peraltro i ricorrenti evidenziano anche che l’invaso S0 è
stato direttamente gestito fino al 1986 dal comune di Latina) e, solidalmente, al comportamento degli enti territoriali che
hanno autorizzato e/o tollerato la realizzazione, il mantenimento e lo sviluppo del sistema delle discariche di Borgo
Montello.
I ricorrenti quindi si soffermano sul problema della natura dell’illecito e della decorrenza della prescrizione, problema
relativamente al quale sostengono che l’illecito avrebbe carattere permanente e non istantaneo; in ordine alla decorrenza
della prescrizione essi sostengono quindi che il dies a quo non può che farsi coincidere con il momento in cui la
compromissione dell’ambiente sia stata eliminata (cioè con l’avvenuta bonifica) e che, in ogni caso e cioè anche se si
optasse per la minoritaria tesi della natura istantanea dell’illecito, il dies a quo della prescrizione “coincide con il momento
in cui l’evento dannoso e la sua eziologica riconducibilità si esteriorizza e diventa conoscibile all’avente diritto, fatto ….
coincidente …. con l’avvenuta bonifica del sito …. deliberata con ordinanze sindacali n. 11/Amb del 20 maggio 2005 e
n. 18/Amb del 22 giugno 2005 e, comunque, comunicata agli attori solo in data 5 marzo 2009 …”.
Alla luce di quanto precede, può quindi rilevarsi che l’illecito del quale i ricorrenti chiedono la riparazione consiste nella
lesione dei loro diritti di proprietà, di impresa e all’integrità psico-fisica cagionata dalla compromissione dell’ambiente
provocata dall’esercizio dell’attività di raccolta e smaltimento dei rifiuti svolta nel sito occupato dalla discarica di Borgo
Montello.
In base a questo inquadramento può quindi esaminarsi la prima questione posta dalle parti che è quella della prescrizione
eccepita da tutti i resistenti.
Questi infatti – muovendo dalla qualificazione dell’illecito denunciato come illecito istantaneo a effetti permanenti –
sostengono che l’azione di risarcimento si è ampiamente prescritta essendo decorso il termine quinquennale previsto
dall’articolo 2947 c.c.; al riguardo puntualizzano in fatto che sono gli stessi ricorrenti ad affermare che il danno derivante
dalla compromissione dell’ambiente si è verificato nel corso del periodo degli anni 70-90 del secolo scorso (del resto i
danni di cui è chiesto il risarcimento sono proiettati sull’arco temporale di un quarantennio); in punto di diritto essi
richiamano la nota sentenza 22/04/2013, n. 9711 della terza sezione della Cassazione che ha affermato il principio secondo
cui “nelle ipotesi di danno da inquinamento, l'illecito è istantaneo con effetti permanenti, e la condotta lesiva si esaurisce,
nella specie, in un fatto quod unico actu perfecitur, un fatto destinato, cioè, ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul
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piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi
effetti, onde la prescrizione del diritto al risarcimento del danno ad esso conseguente non può che iniziare a decorrere dal
momento del fatto (rectius, della concreta percezione o percepibilità di esso)”.
I ricorrenti obiettano che il principio sopra riportato è stato abbandonato dalla Cassazione che successivamente ha invece
affermato il diverso principio secondo cui “in materia di danno ambientale, la condotta antigiuridica consiste nel
mantenimento dell'ambiente nelle condizioni di danneggiamento, sicché il termine prescrizionale dell'azione di
risarcimento inizia a decorrere solo dal momento in cui tali condizioni siano state volontariamente eliminate dal
danneggiante, ovvero la condotta sia stata resa impossibile dalla perdita incolpevole della disponibilità del bene da parte
di quest'ultimo” (in questo senso Cassazione civile, sez. III, 19/02/2016, n. 3259, sez. III, 13/08/2015, n. 16807, sez. III,
06/05/2015, n. 9012).
Ad avviso del Collegio l’eccezione di prescrizione è fondata.
Nella fattispecie infatti non si controverte in materia di illecito ambientale - e quindi di lesione all’ambiente quale bene
autonomamente inteso - perché l’illecito di cui è chiesta la riparazione consiste nella lesione di diritti soggettivi dei
ricorrenti derivante dalla asserita compromissione dell’area in cui si trova la loro proprietà e in cui è esercitata l’attività
di impresa agricola; queste lesioni – che danno effettivamente luogo a un illecito istantaneo a effetti permanenti con la
conseguente decorrenza della prescrizione a partire dal momento in cui i danni derivanti dalla lesione si sono manifestati
e sono divenuti percepibili - si sono verificate e si sono manifestate per stessa affermazione dei ricorrenti già nel corso
degli anni 70 e 80 dello scorso secolo per cui la prescrizione quinquennale dell’azione di risarcimento dei danni ex articolo
2947 c.c. alla data di instaurazione del giudizio civile (che in assenza della dimostrazione di atti interruttivi anteriori
costituisce il primo atto interruttivo posto in essere dai ricorrenti) si era ampiamente verificata e, in questa prospettiva,
sarebbe del tutto inutile un’indagine volta a individuare il momento esatto in cui i ricorrenti hanno percepito la lesione
dei loro diritti dato che questo momento si collocherebbe comunque anni prima rispetto alla data del 9 ottobre 2004 (in
cui cade il quinquennio anteriore all’instaurazione del giudizio civile).
La giurisprudenza invocata dai ricorrenti non è pertinente alla fattispecie perché essa si riferisce all’illecito ambientale
propriamente detto e all’azione di risarcimento del danno da compromissione dell’ambiente esercitata dai soggetti
legittimati mentre l’azione di risarcimento dei danni derivanti a diritti di soggetti che lamentino la loro lesione in
conseguenza della compromissione dell’ambiente è un’azione diversa soggetta a principi diversi, come del resto si
afferma nella stessa motivazione di Cass. 9 febbraio 2016, n. 3259, invocata dai ricorrenti, che non smentisce il precedente
costituito dalla precedente sentenza n. 9711 del 27 aprile 2013, affermando invece che il suo richiamo – riferendosi la
decisione del 2013 “al danno (non patrimoniale) alla persona in conseguenza di inquinamento ambientale e non già al
danno all'ambiente quale bene autonomamente inteso” - non è pertinente alla fattispecie esaminata, che, appunto, era
relativa a fattispecie di illecito ambientale.
Il ricorso va quindi respinto in accoglimento dell’eccezione di prescrizione. Peculiarità e novità delle questioni esaminate
giustificano l’integrale compensazione delle spese di giudizio tra le parti. http://www.osservatorioagromafie.it/wp-content/uploads/sites/40/2016/11/tar-latina-741-2016.pdf
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