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Le dighe mobili per la difesa della città lagunare somigliano sempre di più a un rottame: l'Espresso anticipa la perizia commissionata dal Ministero delle Infrastrutture. Il documento rivela il pericolo di cedimenti strutturali per la corrosione e per l'uso di acciaio diverso da quelli dei test
Il gioco delle perizie e delle controperizie è ricorrente nella trentennale storia del Mose. In regime di monopolio assoluto, il Consorzio Venezia Nuova chiedeva pareri e consulenze per avallare studi e progetti prodotti in casa. Salvo allontanare gli esperti poco graditi. «La cosa più incredibile», ricorda uno di questi, l’ingegnere padovano Lorenzo Fellin, «era che le perizie le pagavano loro. Quelli che dovevano essere giudicati». Fellin, docente padovano esperto di impiantistica e Armando Memmio, trevigiano, strutturista, sono stati allontanati dalla struttura tecnica. «Ci siamo dimessi dopo aver verificato che nel Comitato di magistratura, che verifica i progetti del Mose e della salvaguardia, la critica non era ammessa. Noi eravamo contrari al fatto che le cerniere, il cuore tecnologico del sistema Mose, fossero costruite con due pezzi saldati. Ma loro avevano già deciso, affidando i lavori senza gara alla Fip di Padova, impresa del gruppo Mantovani».
Già nel 2010 Fellin aveva denunciato che il rischio di rottura aumenta con questo tipo di soluzione tecnica e che occorre una manutenzione maggiore. Il problema adesso torna di attualità. Dopo qualche anno sott’acqua, alcuni elementi delle cerniere mostrano segni di corrosione.
La questione si è riproposta il 20 ottobre del 2016 quando il perito del Magistrato alle Acque, professor Paolucci, ha consegnato la sua relazione dal titolo “Possibili criticità metallurgiche per le cerniere del Mose”. La perizia resta nei cassetti per quattro mesi. Il contenuto è da brividi. Il professore ha messo nero su bianco i rischi ai quali le cerniere, e dunque l’intero sistema di dighe contro l’acqua alta, sono esposte. Per la «mancata protezione catodica negli elementi femmina», per la qualità dell’acciaio impiegato nella costruzione dei perni, che avrebbe «caratteristiche di qualità inferiori a quelle del progetto e del prototipo». Infine, per le «tensioni residue nella costruzione dell’elemento maschio».
Di tenore opposto sono le conclusioni di Brutti e Mascia.
«Per quanto le operazioni di collaudo siano ancora in corso», scrivono, «tutte le evidenze esaminate dai sottoscritti rispondono alle prescrizioni di capitolato». Anche la protezione catodica è attiva, scrivono i due e anche sui materiali, i periti smentiscono il collega. «Gli acciai per i perni sono stati prodotti in Italia dalle acciaierie Valbruna e dalla Fonderia Cividale, dalla Ciscato spa di Velo d’Astico e dalla Facs fucine di Pavia». Quanto al pericolo di cedimento, «il rischio non esiste».
Tutto a posto, dunque? Sarà il tempo a dire chi aveva ragione. Di certo, dopo l’inchiesta dell’Espresso l’attività di controllo è stata potenziata tanto che qualche giorno fa nei cantieri del Mose è stata convocata una giornata di studio sull’emergenza cerniere. Fra i presenti, il Provveditorato alle Opere pubbliche, il Consorzio, le imprese. E i consulenti, vecchi e nuovi. http://espresso.repubblica.it/attualita/2017/04/13/news/mose-chiudiamo-le-cerniere-1.299575
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