C’ERA UNA VOLTA IL PDR
Se Carlo Collodi vivesse, come riscriverebbe
oggi le avventure del burattino?
Come racconterebbe il Partito di Renzi?
COME FU CHE MASTRO CILIEGIA NAPOLITANO TROVÒ UN RENZI CHE MANDASSE TUTTI
A FARE LO #STAISERENO. I GIORNALI BURATTINAI NON ERANO OSTILI E IL BULLO GRULLÒ L’I TA L I A
INSIEME A LUCIGNOLO CARRAI, ALLA VOLPE VERDINI, AL GATTO LOTTI E A 5 MONETE DA 80 EURO di Pietrangelo Buttafuoco
C’
era una volta… – il governo
del Pd! – diranno subito i
miei piccoli lettori. No, ragazzi,
avete sbagliato.
C’era una volta il governo
del PdR, il Partito di Renzi.
MASTRO CILIEGIA
Ed ecco come andò che mastro Ciliegia, Gior -
gio Napolitano, trovò un Matteo Pinocchio
che picchiava, disintermediava e maltrattava
tutta la Ditta, da Pier Luigi Bersani a E n r i co
Le t t a , mandandoli tutti a fare lo #staisereno: “Questo Renzi
è capitato a tempo: voglio servirmene per fare tutti fessi,
peggio che burattini”.
MATTEO PINOCCHIO
Detto fatto, mastro Ciliegia, se
lo chiamò il Renzi per levargli la
scorza e digrossarlo. Ma quando
fu lì per dargli il primo consiglio,
Matteo Pinocchio si dimostrò
ancor più bullo. E anche
Napolitano si ritrovò trattato
da grullo...
SILVIO GEPPETTO
Entrò in bottega, allora un vecchietto
tutto arzillo, Silvio Gepp
e t to , chiamato da tutti Polendina
a motivo del suo cerone
spalmato sulla faccia gialla, color
della polenta di granturco. Bussò Geppetto, disintermediò
e domandò: “Buongiorno, mastro Ciliegia, cosa fate
costì contrariato?” “Insegno l’abaco al compagno Renzi”.
“Buon pro vi faccia”, rispose Silvio Geppetto
che – senza averne uno buono, in casa, uno
che raccogliesse l’eredità della falegnameria
di Forza Italia – ebbe a prendersi Matteo Pinocchio,
perfetto per fabbricarci un erede
meraviglioso bravo a ballare, a tirar calci sugli
stinchi e fare i salti mortali tra i sondaggi. Lo
ebbe in regalo da mastro Ciliegia e così, con
quello, poter governare e disintermediare
senza mai passare dalle elezioni. I ragazzi cattivi
hanno a noia di sentirsi correggere da chi
ne sa più di loro e mentre il povero Geppetto,
sventurato, si ritrova a essere condotto a Cesano
Boscone quel monello di Matteo Pinocchio
se la dava a gambe giù attraverso i corridoi
di Montecitorio quando, lasciando andare
un sospirone di contentezza, sentì qualcosa fare:
Crì-crì-crì. “Chi è che mi chiama?”, disse Matteo Pinocchio
tutto incuriosito. “Sono io”.
GRILLO BRUNETTA
Matteo si voltò e vide il Grillo
Brunetta che saliva su su per il
muro: “Abito queste legislature
da tempo innumerevole”.“Ora
questa legislatura è mia” – disse
il bullo – “e se vuoi farmi un
piacere, vattene subito perché il
Patto del Nazareno è mio. Più
che un grillo sei un gufo!”.“Po -
vero grullarello! Ma non sai
che, facendo così, diventerai
solo un Berlusconi venuto male
e che tutti, dopo essere passati
nel tuo PdR, dopo faranno a
gara per tradirti e disintermediare
proprio te?”. A queste parole,
Matteo Pinocchio saltò su tutte le furie
e, preso il Mattinale in mano, lo
scagliò contro il Brunetta parlante
che ebbe il fiato di fare crì-crì-crì e poi
se ne rimase lì, stecchito.
D’ALEMA E I BISIGNANI
Il delitto non restò impunito. Un giudice
burbero, Massimo D’Alema, minacciò
di forca Matteo Pinocchio e
chiamò apposta i conigli scavafossa
per farlo spaventare. Sotto ai cappucci
neri dei seppellitori si celavano –
armati di taccuino – Luigi Bisignani e
Paolo Madron, seguiti dalle talpe delle più segrete
tra le notizie ma come fu e come non fu, il giudice,
ripensando alla Bicamerale, risparmiò il cappio a
Matteo Pinocchio.
I DUE CARABINIERI
Il monello allora, in luogo dei carabinieri, si ritrovò
stretto tra due bottiglie di vino. Matteo Pinocchio,
infatti, non venne tradotto in carcere bensì segregato
nel magazzino di una Coop. Se ne stette così
per tutta la durata del ponte tra la festa di San
Marco, cioè il 25 di Aprile, e il Primo Maggio e si
fece tutto un bagno penale da cui – il birbante –
seppe scappare pagando una tangente al gendarme:
sessantamila copie del libro di Maurizio Landini (e
altre 1.432 copie di un altro libro, quello di Giulio
Tre m o n t i ). Gestivano e trattavano d’ogni vituperio,
intanto, i burattini del dibattito giornalistico. Non
un giornale, non un tigì – neppure quello di Cle -
mente Mimun o degli altri della Struttura Delta – si
dimostrava ostile a Matteo Pinocchio e lui, con
l’app dell’abecedario sullo smartphone, si beava di
sentire pifferi, twe e t e colpi di grancassa tutti di
gloria, al suo indirizzo. Che è, e che
non è, all’improvviso, scorgendolo,
tutti i giornalisti (alla testa dei quali c’è
Roberto D’A l i m o n te , in coda, invece,
Giuliano da Empoli) si precipitarono Giuliano da Empoli) si precipitarono
verso di lui e lo portarono in trionfo.
Disintermediandosi tra loro. Arlecchino
e Pulcinella, cioè Beppe Severgnini
eGianni Riotta, battibeccando tra
loro – con Rosaura, ovvero Daria Bignardi – lo
chiamarono sul palcoscenico per dargli abbracciamenti,
strizzoni di collo, pizzicotti
dell’amicizia, dimenticando però di dar commedia
al pubblico e rovinando ciascuno il proprio
lavoro: Rosaura affondando le I nva s i o n i
Barbariche; Riotta, il Pulcinella, sfasciando la
versione estiva di Ballarò; Severgnini, infine, imbarazzando
vieppiù Il Corriere della Sera con le sue corbellerie.
MANGIAFOCO SENSI
Filippo Sensi il Mangiafoco – che dai suoi devoti fo l l owe r è
chiamato Nomfup – ebbe ad adirarsi nel vedere
rovinate le sue #cosedilavoro e, spedendo in mezzo
alla mischia la fidata Veronica De Romanis, la Colombina
saputa di Economia e Finanza, volle convocare
tutti i burattini del suo teatrino nel retrobottega
di via del Nazareno e dare loro un meritato
lisciabusso quando Matteo Pinocchio gridò: “Pietà,
signor Mangiafoco!” “Qui non ci sono signori”,
replicò duramente il burattinaio. “Pietà, signor Cavaliere!”.
“Purtroppo”, rispose Filippo Sensi, diventando
d’un tratto più umano, “il Cavaliere non
c’è più”. Dicendo così, adagio adagio, Mangiafoco
ascoltò il racconto di Matteo Pinocchio, di come
Silvio Geppetto l’avesse preso con sé per farne l’ere -
de, quindi cominciò a commuoversi e a starnutire:
“Tu sei un bravo ragazzo, Matteo Pinocchio.
Solo tu puoi farlo tornare Cavaliere.
Fai le Riforme insieme con lui,
organizzate una bella legge elettorale e
prendi, infine, cinque monete da 80 euro.
Vai subito a portargliele e salutalo da
parte mia”.
LE VOLPE, VERDINI E IL GATTO LOTTI
Matteo Pinocchio non aveva fatto ancora mezzo chilometro,
che incontrò una Volpe zoppa da un piede – Denis
Ve rd i n i – e un Gatto cieco da tutti e due gli occhi, ossia Luca
Lo t t i .“Buongiorno, Matteo”, gli disse la Volpe. “Com’è che
sai il mio nome?”, domandò Renzi. “Conosco bene Silvio
Geppetto. L’ho veduto ieri a Cesano Boscone e tremava
all’idea dei nuovi processi...”. “Povero babbo! Ma, se Dio
vuole, da oggi in poi non tremerà più. Mi dispiace davvero
di farvi venire l’acquolina in bocca ma queste qui, se ve ne
intendete, sono belle riformine. E poi ci sono anche, una
ghiotta legge elettorale e cinque bellissime
monete da 80 euro”. “Vuoi raddoppiare
tutto questo bel gruzzoletto?”,
disse la Volpe fermandosi di punto in
bianco, “sappi che nel paese dei Barbagianni
c’è un campo detto de’ Mi -
racoli. Metti in una buca il tutto e le tue
riforme, dall’oggi al domani, possono
diventare duemila, tremila, centomila...”.
L’ALBERO DEGLI 80 EURO
“...tante da fare #italiacambiaverso”, dice
il Gatto, “e con le monete, infine, ne
viene fuori un albero carico di tanti zec chini da 80 euro da distribuire a tutti quelli che ti
vogliono bene”.
LA FATINA DEI FISCHIETTI
Convinto di ciò – cammina, cammina, cammina –
Matteo Pinocchio, col Gatto e la Volpe, arrivò
all’Osteria del Gambero Rosso, non trovarono Carlin
Petrini ma lì, Pinocchio, per prima cosa si mangiò un
panino Eataly (preparato dalle manine di Oscar Farinetti),
e poi si gustò un gelato Grom ricavandone
però una dolorosa indigestione che lo portò a bussare
alla porta di una casina candida come la neve. Il bussare,
però, non giovò a nulla, si affacciò alla finestra
Antonella Manzione, la Vigilessa Fatina dai fischietti
turchini che, con una vocina venuta dall’altro mondo,
disse a Matteo Pinocchio: “Portami a Palazzo Chigi, sarò la
manina che mette a posto tutto nei consigli dei ministri”.
IL CORVO DRAGHI
Matteo Pinocchio che si prende tutti e ricicla
la qualunque, non si fece problemi a far della
guardia una sovrana, ma intanto la bua al
pancino lo torturava e fu la Fatina dai fischietti
turchini a metterlo a letto e chiamare
tre medici per sapere se gli restava vivo o
morto. Vennero un Corvo, una Civetta e il
Grillo parlante. Matteo Pinocchio, riconoscendo
Brunetta, si nascose la faccia sotto il
lenzuolo. La Civetta, Laura Boldrini, si mise
sul comò e l’unico che parlò, il Corvo, ovvero
Mario Draghi, disse: “A mio credere è bell’e
morto; ma se per disgrazia non fosse morto,
allora sarebbe indizio sicuro che è sempre
vivo”.
LUCIGNOLO E LA LUMACA
I ragazzi fanno presto a promettere, ma il più
delle volte fanno tardi a mantenere. Ora bisogna
sapere che Matteo, fra i suoi amici, ne
aveva uno prediletto il quale si chiamava M a rco
C a r ra i , ma tutti lo chiamavano Lucignolo per
via che questi, sposato a una filosofa – la Lumaca
Francesca Campana, amica della Fatina
dai fischietti turchini – dal lumino della infinita
sapienza di lei, sempre si abbeverava.
Era, Lucignolo Carrai, il più birichino della
compagnia. Matteo Pinocchio, facendo disperare
la Fatina dai fischietti turchini, s’era fatto
dare da Carrai una Casa perfetta per baloccarvisi.
E, insieme – dimenticandosi uno della
filosofa del sopracciò, l’altro della Fatina – se ne andarono
all’Expo dei Balocchi, a Milano, saltando sul carro che
portava lì tutti i bimbi birboni. Sul carro, dotato di wi-fi,
attrezzato con cartoni di pizza al taglio, c’erano – già con le
orecchie da ciuchino – Dario Nardella,
Maria Elena Boschi, France -
sco Bonifazi e Lorenzo Guerini
ih-ho! Ih-ho! Stavano tutti sul carro
guidato da Raffaele Cantone,
l’Omino di Burro, che in men che
non si dica li scaricò tutti nel paese
della cuccagna dove si annuncia e
non si procede mai; dove non c’è
necessità di governare davvero;
dove si fanno le riforme scritte dal
Gatto, dalla Volpe e da Silvio Geppetto;
dove l’Ilva di Taranto, ridotta
a passerella, si ritroverà coi
libri contabili in tribunale; dove la
Boschi, per farsi le treccine, deve arrivare fino
in Congo; dove l’Expo si inaugura senza essere
pronto; dove Ignazio Marino – Ignazio
Marino! – resta sindaco di Roma; dove An -
gelino Alfano – Alfano! – si prenota tutti i tigì
per darla lui, proprio lui, la notizia dell’arresto
di Marcello Dell’Utri; un paese benedetto dove
un sottosegretario indagato si salva solo se
si battezza al fonte del renzismo perché
nell’Italia del PdR non si reclama, ma si declama;
e si disintermedia. Il giovedì si guarda
tutti House of Cards, e ogni settimana – nel
paese della cuccagna – è composta di sei giovedì
e di una domenica, perfetta per andare
ospiti da Barbara D’U rs o , fare i selfie, farsi
fotografare in bicicletta, come Graziano Delrio, dal ministero
a Palazzo Chigi...
E dunque: un paese veramente civile, come dovrebbero
esserlo tutti i paesi dove ogni suon di bubboli e ogni squillo
di trombetta – ogni trillo di twe e t , ogni slide –
segna il destino dello restar per sempre somari.
C’era una volta... – Il governo del Pd!, diranno
subito i piccoli lettori. No, ragazzi, dovete
aggiornarvi. C’è questa volta Renzi e non
sarà una passeggiata come con Silvio Geppetto.
Magari non gli si allungherà il naso
dalle troppe bugie, probabilmente solo il giro-vita.
Bravo a ballare, a tirar calci sugli stinchi
e fare i salti mortali tra gli applausi
dell’opinione pubblica, con un Lucignolo come
Carrai, al cui confronto Cesare Previti è
un dilettante, Renzi farà tutti fessi, peggio che burattini. Nella disintermediazione. il fatto quotidiano 11 aprile 2015
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