Il gruppo di fuoco. La preparazione dell’agguato è stata meticolosa. “Novella non era mai solo, e anche quel giorno dell’omicidio aveva due persone con se. Non era semplice colpirlo, era un personaggio importante della ‘ndrangheta, non bisognava sbagliare”. La casa del boss era inaccessibile, racconta Belnome: “Vicino alla sua abitazione c’era un bar con telecamere, mi dissero che lui aveva delle telecamere anche sulle scale, aveva il videocitofono”. Lo seguono per giorni, studiando ogni movimento, programmando con cura l’azione. Alla fine lo colpiranno in un circolo ricreativo, frequentato con regolarità da Novella: “Siamo entrati nel bar, abbiamo chiesto un cappuccino, ci siamo diretti verso di lui e lo abbiamo ucciso”.
Subito dopo l’azione l’intera organizzazione della cosca Gallace si attiva per le coperture: “Io e Michael Panajia abbiamo preso la moto e siamo tornati a Cormano da dove eravamo partiti. Io andai a casa e poi ci incontrammo altri miei cugini. Fecero sparire abiti, casco, armi, soprattutto le armi. I vestiti li hanno bruciati, le pistole le hanno tagliate e buttate via”. Poi la partenza per la Calabria, verso il cuore del gruppo, la città ionica di Guardavalle.
Il banchetto e poi il grande salto. Arrivato in Calabria Belnome sapeva con non doveva dare nell’occhio, mantenendo un basso profilo. L’incontro con il mandante dell’omicidio Vincenzo Gallace – già condannato in primo e secondo grado ed ora in attesa del giudizio della Cassazione – avviene qualche giorno dopo: “Vincenzo veniva al ristorante Molo 13 per incontrarmi. Poi ci vedemmo a casa sua, dove lui fece trovare pasticcini e champagne. Sprizzava gioia da tutti pori e organizzò un banchetto”. Il pm Francesco Polino della Dda di Roma – che per anni ha condotto le indagini sulla ramificazione laziale del gruppo Gallace – chiede a quel punto se avessero commentato in qualche maniera l’omicidio: “Vincenzo Gallace era molto accorto, non parlava mai in luoghi dove potesse essere intercettato. Ma era ben chiaro perché eravamo lì, era ben chiaro perché c’erano i pasticcini e lo champagne, anche se non si commentava apertamente. Non ce n’era bisogno”.
Sapevano di avere i carabinieri dietro: “Ricordo che un giorno organizzammo un summit a Brignano, con mangiata di capretto e maialino. Ci segnalarono un paio di persone con macchina fotografica che ci stavano filmando e fotografando. Mandammo due dei nostri a braccare queste persone, che riuscirono a scappare. A quel punto Vincenzo e Cosimino Gallace e Andrea Ruga andarono via, a mangiare in un ristorante. Avevamo delle attrezzature per trovare le microspie – ha spiegato Belnome -, a noi non ci hanno mai intercettato in riunioni di ‘ndrangheta”.
Dopo l’omicidio di Carmelo Novella, Antonino Belnome fa il grande salto, verso la ‘ndragheta che conta: “Io ricevetti solo le doti, fino al grado di padrino, nessun compenso economico. Mi avevano dato grande importanza, ero rappresentante in Lombardia di qualsiasi cosa, mi avevano dato molto spazio, nell’operatività del nord ogni decisione era presa da me. Quando andavo in Calabria – ha spiegato Belnome – mi confrontavo, prendevo le novità. Mi hanno cresciuto Andrea Ruga e Vincenzo Gallace, ogni loro parola io la studiavo, io ci riflettevo”. Rappresentava, Belnome, l’investimento del gruppo nella generazione di origine calabrese cresciuta al Nord: “Avevo una mentalità vecchia e nuova”. Mantenendo sempre – forte e atavico – il legame con la Calabria: “Come le ho spiegato qualsiasi locale che non sia in Calabria è sempre un distaccamento dalla casa madre. Quindi non sarà mai importante come uno della Calabria, c’è sempre un cordone ombelicale”. Ma, per la ‘ndrangheta, gli affari si svolgono altrove: “Il vero business non si fa in Calabria, si fa dove la ‘ndrangheta si mimetizza, nella grandi metropoli. Giù non sarebbe possibile”. Con una regola, però, sempre in mente: “La sua base strategica è però sempre la Calabria”.
Cosca capitale. Le due operazioni del Ros del 2004 – conosciute come Appia e Mythos – furono le prime a colpire duramente i gruppi Gallace e Novella. Il primo troncone si è concluso poco più di un anno fa con dure condanne per 416 bis, dimostrando l’attività del gruppo anche nel Lazio, tra le città di Anzio e Nettuno. Secondo la ricostruzione di Antonino Belnome sul litorale romano è attiva una vera e propria locale di ‘ndrangheta, con un capo cosca ancora in libertà. “Questo rapporto tra Calabria e gruppi distaccati era replicabile anche nel Lazio?”, ha chiesto il pm Polino. “Assolutamente sì. Una volta mi ritrovai in una riunione, dove partecipava anche il capo locale di Anzio e Nettuno, Giacomo. Andavo spesso da Liberato Tedesco a Nettuno, una volta gli feci recapitare 50 kg di cocaina. Bruno Gallace aveva poi un importante commercio, ricordo che nel luglio 2010 si parlava di smerciare 120 chili nella zona. Loro avevano contati con l’Olanda e altri posti”. Un’attività che avveniva mentre era in pieno svolgimento il processo Appia.
Il nome del capo locale, “Giacomo”, Belnome lo aveva già fatto durante il precedente processo Appia. Un passaggio chiave, perché negli atti giudiziari non risulta nessuno con questo nome o soprannome. “Chi è Giacomo?”, chiede il pm Polino. “Ricordo che è un calabrese, non ricordo il cognome, so che ha un bar e che è il capo Locale della zona di Anzio e Nettuno”. Una cosca a pochi chilometri dalla capitale, con un capo probabilmente ancora in attività. 
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/22/mafia-roma-locale-ndrangheta-litorale-laziale-capo-in-liberta/1614061/