martedì 7 aprile 2015

L’AQUILA, RENZI PROMETTE I MILIARDI MA NEL 2015 NON È ARRIVATO UN EURO

Nel 6° anniversario del terremoto, il governo diserta la città in macerie Però il premier twitta l’ennesimo annuncio: “Finalmente i soldi ci sono, ora spendiamoli bene”. Ma dei 652 milioni stanziati nel 2014, se ne sono persi per strada 165. E dei 478 deliberati nel 2015, quelli arrivati in Abruzzo finora sono zero
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il fatto quotidiano 7 aprile 2015
LO SPAZIO TRA L’ABRUZZO REALE E QUELLO SOGNATO DA RENZI IL PREMIER SEI ANNI DOPO IL TERREMOTO DE L’AQUILA: “I SOLDI ORA CI SONO: STANZIATI 6,2 MILIARDI”. MA ESISTONO SOLO SULLA CARTA: PER IL 2015 ZERO EURO
di Carlo Di Foggia e Marco Palombi M atteo Renzi, beato lui, vive nel migliore dei mondi possibile. È un premier Candido, se così si può dire. La ripresa, l’aumento degli occupati, l’Expo che “è un miracolo”, le grandi opere che faranno ripartire il Paese. Un allievo di Pangloss, non c’è dubbio, cui non può ovviamente mancare il confronto col terremoto: nel libro di Voltaire era quello di Lisbona del 1755, per Renzi è L’Aquila 2009, sei anni ieri. “Dopo troppe promesse, siamo passati all’azione. I soldi adesso ci sono: spenderli bene è un dovere”, ha scritto su Facebook. Una breve panoramica della situazione dovrebbe restituire il lettore al realismo. I finanziamenti previsti: miliardi a pioggia Ha scritto ieri Renzi: “Nel primo anno del nostro governo abbiamo messo alcuni punti cardine: la certezza e la programmazione di risorse per il medio lungo periodo (5,1 miliardi nella legge di Stabilità per il 2015); l’accelerazione nelle assegnazioni per l’edilizia privata (1,13 miliardi di euro deliberati dal Cipe a febbraio)” eccetera. Il premier non mente, eppure non dice nemmeno la verità. Procediamo con ordine. Dice il Comitato interministeriale per la programmazione economicaCipe): dal 2009 a oggi sono stati stanziati 7,2 miliardi in varie tranche. L’ultima – quella citata da Renzi –è del 26 febbraio: 1,12 miliardi, 800 milioni per la sola città de L’Aquila, di cosiddetti “residui”, cioè fondi non spesi nel quinquennio scorso. Quanto ai 5,1 miliardi della Finanziaria di Renzi, sono ripartiti così: 200 milioni nel 2015; 900 del 2016; 1,1 miliardi nel 2017, 2,9 miliardi nel 2018 e 2019. La realtà: zero euro nel 2015, 165 milioni in meno nel 2014 I conti veri sono un po’ diversi. Intanto i soldi della legge di Stabilità esistono solo sulle tabelle (la E, per la precisione) pubblicate in Gazzetta Ufficiale: per oltre tre miliardi su cinque peraltro – quelli dal 2018 in poi – si tratta di parole, un’intenzione senza finanziamento sottostante. Gli altri dovranno comunque essere trovati prima di finire in Abruzzo. Prendiamo dalla commissione Bilancio comunale i numeri che riguardano L’Aquila da quando Renzi è a Palazzo Chigi. Nel 2014 erano stati stanziati in tutto 652 milioni e ne sono arrivati solo 487: insomma, mancano 165 milioni. Nel 2015, invece, il Cipe ha già deliberato finanziamentiper la ricostruzione per 478 milioni. Quanti ne ha incassati il comune? Zero. Quanto agli 800 milioni del Cipe – di cui Renzi s’è vantato ieri anche se li hanno stanziati i governi precedenti – c’è un problema: comprendono pure i fondi non ancora arrivati e pure il buco del 2014. I soldi nuovi, insomma, sarebbero al massimo 157 milioni. Tra delibera e versamento dei soldi, per di più, passano circa sei mesi: in pratica arriveranno a fine anno. Spiega Giustino Masciocco, presidente della commissione Bilancio del Comune: “Noi, sulla base delle previsioni, elaboriamo le pratiche e le mettiamo in un elenco, ma assegnamo effettivamente solo il 46% del costo della ricostruzione: se devo rifare un palazzo da 2 milioni, noi diamo 900 mila euro per iniziare, il resto quando facciamo i controlli a fine lavori. Se lo Stato non manda i soldi, noi non li diamo e i lavori non partono”. Anche sulle cifre complessive dei fondi arrivati in Abruzzo dal 2009 i due rendiconti non collimano: i 7,2 miliardi del Cipe, per dire, in loco diventano quattro. E poi c’è la beffa della Tasi/Imu: nel 2014 hanno fatto pagare l’imposta pure sugli immobili inagibili; nel 2015 è arrivato l’esonero, ma la copertura è di 500 mila euro. Peccato che il gettito fosse 2 milioni: il resto lo mette il Comune o gli aquilani. Disorganizzazione a Roma, poco personale nel cratere Il problema vero, comunque, non sono (solo) i soldi: “È la continuità dei finanziamenti il tema: puoi darci anche meno soldi, ma devi darceli senza interruzioni invece ci troviamo con buchi di 6-12 mesi”, dice ancora Musciocco. E poi c’è l’organizzazione. A settembre scorso, per dire, s’è dissolta l’i ntera catena di comando romana della ricostruzione. Via Paolo Aielli, direttore dell’Ufficio Speciale per la R i c o s t r u z i one de L’A q u ila (Usra), mandato al poligrafico dello Stato. Via Aldo Mancurti, capo della struttura tecnica di missione che si occupava di questo, che non è stato prorogato. Pure il sottosegretario abruzzese Giovanni Legnini, che al Tesoro aveva la delega su L’Aquila, se n’è andato al Csm e ci sono voluti cinque mesi prima che arrivasse Paola De Micheli. L’altro problema, che assilla il sindaco Massimo Cialente, è il personale. Tra i vari protocolli e uffici speciali lavoravano 320 persone: 128 sono state assunte dopo il “c o n c o rsone” di Fabrizio Barca, altri 50 sono rimasti con contratti precari, il resto non è stato rinnovato. Risultato: pratiche e lavori a rilento. La situazione dopo sei anni è questa: i nuovi quartieri de L’Aquila sono ricostruiti all’80%, dentro le mura siamo al 10%, nel cuore del centro al 3%, nelle frazioni a zero come in molti paesi limitrofi

“Ricostruiremo tutto, anzi no” Ogni anniversario una promessa Udi Davide Milosa I n via Campo di Fossa prima delle 3.32 del 6 aprile 2009 c’era un palazzo. Oggi, sei anni dopo il terremoto che ha devastato L’Aquila, quel palazzo ancora non c’è. Solo detriti e recinzioni ormai marcite. Ovunque così. L’Aquila non riparte e nemmeno riapre. Eppure il tempo è passato scandito da progetti annunciati e promesse mancate. Storia d’Abruzzo, storia d’Italia. Copione miserabile che si ripete a ogni anniversario. Ne sono passati sei. In mezzo lo choc di un processo, quello sulla Commissione Grandi Rischi, finito in farsa: tutti assolti. E beffa finale con la lettera di Franco Gabrielli con la quale la Protezione civile, poche settimane fa, ha chiesto ad alcuni familiari delle vittime, parti civili nel processo, la restituzione dei soldi del risarcimento stabilito dopo la sentenza di primo grado. Eppure “se il fatto non sussiste uccide”. Scritte cubitali sugli striscioni che due giorni fa hanno attraversato la città. Riavvolgiamo il nastro. Poche ore dopo il disastro che si portò via 309 persone, lasciando sul campo 1.500 feriti e 60 mila sfollati. Luce azzurrina nello studio di Porta a Porta. In collegamento l’al - lora premier Silvio Berlusconi che annuncia la prima New town a L’Aquila. Ne nasceranno altre 18. Soluzione lampo, si disse, per 20 mila persone. Sei anni dopo, il progetto Case (Complessi antisismici sostenibili ecocompatibili) è un progetto disastrato con buona parte degli appartamenti devastati dalle infiltrazioni d’acqua. Nel settembre 2014, poi, il balcone di uno dei progetti è crollato a Cese di Preturo. Da quel momento 800 balconi sono stati messi sotto sequestro. Immancabile l’inchiesta giudiziaria. NEL 2009,sempre Berlusconi pensò bene di trasferire il G8 dalla Sardegna a L’Aquila. Al termine del vertice disse: “Ricostruiremo la città entro la legislatura”. È terremoto show. Per capirlo ecco cosa disse l’allora capo della Protezione civile Guido Bertolaso (intercettato nell’ambito dell’inchiesta sul G8 della Maddalena) al fedelissimo di Silvio, Gianni Letta: “Non deve dire che rimettiamo la gente dentro il centro storico tra 28 mesi, è un massacro: li rimettiamo dentro tra 28 anni”. Il 6 aprile 2010, lo stesso Bertolaso chiude così la prima fase dell’emergenza: “In otto anni L’Aquila può rinascere più bella e sicura di prima, ma solo se ognuno si assumerà le proprie responsabilità”. Cinque anni dopo l’annuncio, i lavori in città non superano il 10%, mentre nella provincia la percentuale scende drammaticamente al 3%. CHIUSA L’ERABerlusconi, il governo Monti nel 2011 riaccende le speranze degli aquilani. Il premier, infatti, nomina il ministro Fabrizio Barca “inviato speciale” a L’Aquila. Barca si mette al lavoro. La ricostruzione viene pianificata. La macchina resta ingolfata. Quello che manca sono i soldi. Nel 2012 si supera il limite con le parole del capo della Protezione civile Franco Gabrielli, che qui fece anche il prefetto. “Continuo a sostenere che se lo scatto non arriva dagli aquilani, aspettare sempre e comunque che arrivi da fuori può essere una sorta di illusione”. Insomma, tutta colpa di chi è sopravvissuto. Un anno dopo, la situazione sembra precipitare. I lavori restano a zero, i soldi mancano. Il sindaco Massimo Cialente annuncia: “Se non arriveranno subito i fondi necessari in modo tale da permetterci per il 2015 la ricostruzione di una parte del centro storico l’Italia avrà condannato a morte L’Aquila e credo che gli aquilani si muoveranno per non far più parte dell’Italia. La prima cosa che chiederò è che si tolga il tricolore”. Nei giorni scorsi, il primo cittadino ha spiegato che il programma prevede la ricostruzione entro il 2017, ma solo se arriveranno 3,5 miliardi in più rispetto ai 4 già previsti. Il governo Renzi annuncia che i soldi ci sono e che “dopo le promesse ora siamo all’azione”. Il presidente del Consiglio in città ancora non si è fatto vedere. La sua visita sarebbe prevista a breve. Chi, invece, ogni mese arriva a L’Aquila sono gli emissari del governo tedesco. Vengono per controllare. Angela Merkel vuole sapere come procedono i lavori e come vengono spesi i denari pubblici. Grazie ai soldi tedeschi sono state ricostruire Casa Onna, la chiesa e la Casa della cultura. Promesse mantenute. Promesse mancate, quelle della politica italiana. La più grave è del 31 marzo 2009 quando Bernardo De Bernardis (condannato nel processo Grandi Rischi), allora vice capo del settore tecnico della Protezione civile, dopo la riunione della Commissione disse: “Lo sciame sismico? Beviamoci su un bicchiere di Montepulciano”.

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