venerdì 21 dicembre 2012

Scorie avvelenate per De Grazia


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Dopo 17 anni di silenzi e depistaggi, emerge un'inquietante verità: Natale de Grazia, il capitano della Guardiacostiera che indagava sui traffici di scorie, sarebbe stato ucciso L'ufficiale morì nel salernitano mentre andava in missione a La Spezia
Diciassette anni. Di silenzi, di omissioni, di indagini archiviate, di navi sparite, di traffici velenosi. E di omicidi rimasti senza nessun colpevole. Natale De Grazia, di mestiere capitano della Guardia costiera, nato e cresciuto davanti al doppio mare di Reggio Calabria e morto - avvelenato - mentre cercava di disegnare il volto dei pirati italici, gente che affondava carrette cariche di scorie, specializzata nel fornire armi dove le guerre sono vere e discrete. Avvelenato, dicevamo, morto per una «azione tossica», nella precisione delle parole utilizzate dal perito chiamato dalla commissione bicamerale d'inchiesta sul traffico dei rifiuti per rileggere le due autopsie eseguite nel 1995 e nel 1997. Un'ipotesi che oggi porta a riaprire un caso chiuso troppo frettolosamente rimettendo le carte in archivio, dopo un primo responso medico che parlava di una «morte improvvisa dell'adulto», un arresto cardiocircolatorio sostanzialmente naturale. Ipotesi che - secondo la nuova perizia - «non corrisponde alla verità scientifica» e «non provata e nemmeno connotata da apprezzabili probabilità». 
Dunque un avvelenamento, dovuto ad una sostanza che oggi dopo diciassette anni è impossibile stabilire. Con una conseguenza eclatante: qualcuno ha veramente ucciso quel 13 dicembre del 1995 il capitano di corvetta Natale De Grazia, lo ha fatto per bloccare un'inchiesta da spy story, con al centro una lista di decine di navi affondate nel Mediterraneo, con carichi sospetti. Tossici, secondo le indagini chiuse alla fine degli anni '90 con un'archiviazione. Lo spettro delle navi dei veleni torna con prepotenza, tre anni dopo la conclusione dell'inchiesta sul relitto di Cetraro.
Visto, si archivi
È il 18 luglio del 1998. Il procuratore della repubblica di Nocera Inferiore Giancarlo Russo firma la richiesta di archiviazione del fascicolo sulla morte di Natale De Grazia, aperto due anni e mezzo prima. «Rilevato pertanto che dagli ulteriori accertamenti medico-legali eseguiti non emergono fondati e concreti elementi per ricollegare il decesso del cap. De Grazia Natale ad azione violenta ed a responsabilità di terzi, essendo stato invero accertato il carattere naturale del decesso», è la motivazione, nata dalle due autopsie eseguite dal perito Simona Del Vecchio. Dietro la pagina con la richiesta di archiviazione il Gip mette il timbro di rito: «Dispone l'archiviazione del procedimento». Caso chiuso.
L'ultimo viaggio mortale del capitano di corvetta - con destinazione La Spezia - era iniziato il tardo pomeriggio del 12 dicembre 1995. Con diverse deleghe d'indagine in borsa, De Grazia era partito insieme al maresciallo dei carabinieri Nicolò Moschitta e all'autista Rosario Francaviglia. Dopo due soste in autogrill, per spezzare il viaggio verso la Liguria, prima tappa della missione. Alle 22.30 il gruppo di investigatori decideva di fermarsi al ristorante "Da Mario", a Campagna, nel salernitano. Appena un'ora, per una cena veloce. Si rimettono in macchina, passano meno di trenta minuti e Natale De Grazia si accascia sul sedile dell'automobile. Sta male, mentre fuori sta diluviando. Poco dopo i medici dell'ambulanza constatano la morte: infarto, scrivono sul referto.
La notizia in poche ore arriva a Reggio Calabria. L'allora sostituto procuratore presso la pretura di Reggio Francesco Neri, titolare dell'inchiesta sulle navi a perdere, chiede al collega di Nocera Inferiore che il corpo venga sottoposto ad autopsia: «De Grazia seguiva indagini delicate e importanti», spiegò all'epoca. Già nei mesi precedenti il gruppo di investigatori che seguiva quel dossier era stato pedinato, fotografato. L'altro pm che aveva delegato a De Grazia accertamenti importantissimi, Nicola Maria Pace, non poteva poi scordare l'ultima frase pronunciata dal capitano prima della partenza: «Dottore, al mio rientro la porto sul punto di affondamento della Rigel». Un nome che ancora oggi è avvolto dal mistero più fitto. Un vecchio vascello sparito nelle acque della Calabria, di fronte a Capo Spartivento, con un carico più che sospetto. Una nave affondata dolosamente, secondo l'inchiesta condotta dalla procura di La Spezia, con l'ipotesi di una truffa alle assicurazioni. Oppure una carretta carica di scorie radioattive, come aveva raccontato una fonte confidenziale il 13 maggio del 1995, durante una deposizione fiume rilasciata al nucleo della forestale di Brescia, altro pezzo chiave del team di investigatori sulle tracce delle navi dei veleni.
L'autopsia: morte naturale
Due giorni dopo la fine tragica di quel viaggio verso La Spezia l'incarico per eseguire l'autopsia sul cadavere di Natale De Grazia viene affidato a Simona Del Vecchio, medico legale di Roma. Il responso arriva dopo un paio di mesi, con una risposta oggi respinta con chiarezza dalla perizia disposta dalla commissione parlamentare d'inchiesta: morte improvvisa dell'adulto, scrisse il medico romano sul referto. Nessun veleno, assicurò Del Vecchio, portando ad una prima archiviazione già nel 1996, pochi mesi dopo la morte: «Per quanto riguarda l'aspetto tossicologico delle nostre indagini - assicurò il medico legale al pm di Nocera Inferiore Russo - posso confermarle che le indagini da noi fatte hanno escluso la presenza di sostanze tossiche e stupefacenti». 
Per la famiglia del capitano di corvetta i conti, dopo la prima autopsia, non tornavano, troppi erano i dubbi che rimanevano irrisolti. Nel 1997 la vedova De Grazia decide di presentare un nuovo esposto, chiedendo una seconda perizia sul cadavere del capitano. Il 18 giugno il procuratore Russo firma un nuovo incarico, con la riesumazione del cadavere, affidando la perizia di nuovo allo stesso medico legale del primo accertamento, Simona Del Vecchio. Anche in questo caso i risultati parlano di morte naturale, portando all'archiviazione definitiva del caso. Stesso medico, stesso risultato.
La nave dei misteri
La chiave di quell'inchiesta aveva il nome di una nave sparita nel 1987, la Rigel. Una vecchia carretta, come si dice in gergo, riempita con merce senza nessun valore e fatta partire i primi di settembre verso Limassol, Cipro. Il 21 settembre viene dichiarato il naufragio e la perdita del cargo. Da un anno, però, la Guardia di finanza stava monitorando i telefoni di un gruppo di mediatori di La Spezia, in stretto contatto con un funzionario delle dogane. «Il bambino è nato», diceva un tale Gino di Rapallo la sera dell'affondamento. «È un maschio - aggiungeva - penso questa mattina presto». Parole in codice, che portarono nei giorni successivi all'arresto del gruppo con l'accusa di truffa all'assicurazione. Otto anni dopo il Corpo forestale dello Stato raccoglie la testimonianza di una fonte confidenziale che dà una diversa chiave a quell'episodio: si trattava in realtà di una nave dei veleni, fatta affondare con rifiuti radioattivi. Per De Grazia era la conferma di quella pista investigativa che stava seguendo da mesi e che lo portò ad analizzare nei dettagli rotte e rapporti di incidente. Anche quell'inchiesta, come il fascicolo sulla sua morte, è finita negli archivi, forse per sempre. Eppure tante sono le domande rimaste senza una risposta: chi era realmente Giorgio Comerio, il tecnico seguito per anni dal Sismi, esperto di armi, in contatto con i signori della guerra somali, pronto ad affondare siluri carichi di scorie radioattive? Perché nella sua agenda annotava il 21 settembre 1987 - giorno del naufragio della Rigel - «lost the ship», la nave è perduta?
«Oggi è la prima volta in questa storia che si ipotizza l'avvelenamento di De Grazia - commentava ieri a il manifesto il capogruppo Pd in commissione rifiuti Alessandro Bratti - ed è un fatto importante». Un punto fermo da dove ripartire. Troppi veleni rimangono in cerca di un autore.

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La lunga scia delle morti senza colpevoli 

Troppe morti, troppi casi irrisolti nel triangolo dei traffici tra Italia e SomaliaTra i dossier che seguiva il capitano De Grazia vi era la Somalia, meta dei traffici più segreti, tra rifiuti e armi. Durante la perquisizione nell'abitazione di Giorgio Comerio - imprenditore che proponeva ai governi europei l'affondamento delle scorie nei fondali marini - apparve una cartella, con contratti già firmati con il governo somalo. Documenti che riguardavano un paese già da anni in guerra civile, con un embargo decretato dall'Onu. Secondo il pm calabrese Francesco Neri nel suo archivio vi sarebbe stato anche il certificato di morte di Ilaria Alpi, documento però mai ritrovato. Versione smentita da uno dei carabinieri del pool, Domenico Scimone, che alla commissione ha parlati invece di un take di agenzia, con la notizia della morte di Alpi e Hrovatin.
Il rapporto tra i traffici italiani e la Somalia è una pista cosparsa di cadaveri. Natale De Grazia chiude una stagione di morti iniziata nel 1993, all'epoca della presenza del nostro contingente a Mogadiscio.
12 novembre 1993, Balad, Somalia L'agente del Sismi Vincenzo Licausi viene colpito a morte da un proiettile mentre stava rientrando da una missione a Balad, nei pressi di Mogadiscio, in Somalia. La versione ufficiale parla di una morte dovuta ad uno scontro a fuoco tra bande somale. 
Licausi era stato dal 1987 fino al 1990 a capo della struttura Gladio di Trapani, unico centro nel sud Italia.
20 marzo 1994, Mogadiscio, Somalia In un agguato muiono Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, inviati del Tg3. Erano appena tornati da un viaggio a Bosaso, nel nord della Somalia. In una delle ultime interviste - realizzata il 15 marzo - rilasciata alla giornalista Rai dal sultano della zona, si parlava della flotta Shifco e di un vascello sequestrato dai pirati. Nel 2001 l'Onu rivela in un dossier che quelle navi erano state utilizzate in un trasporto di armi in violazione dell'embargo. Ancora oggi non sono noti gli escutori e i mandanti del duplice omicidio.
Ilaria Alpi si era interessata del traffico d'armi fin dal 1992, quando incontrò a Venezia l'allora magistrato Felice Casson.
13 giugno 1995, Livorno Sulla scogliera del Romito, nel pressi di Livorno, viene ucciso con quaranta coltellate l'incursore del reparto "Col Moschin" Marco Mandolini, in servizio nel 1993 in Somalia, come caposcorta del generale Loi. Le indagini puntarono su una lite interna al mondo gay. Tesi respinta dalla famiglia e che non trovò elementi a sostegno. «I magistrati hanno incontrato un muro di gomma», spiegò in un'intervista il fratello Flaviano. 
6 luglio 1995, Roma Il colonello del Sismi Mario Ferraro muore impiccato con una corda ad un porta asciugamani, ad un metro e mezzo da terra. L'autpsia parlerà di suicidio, nonostante i dubbi espressi dalla compagna dell'ufficiale. Secondo alcune fonti Ferraro si era occupato tra l'altro dei traffici di armi dall'Italia verso la Somalia. Il caso è stato archiviato.
13 dicembre 1995, Nocera inferiore La lista si chiude con la morte di Natale De Grazia. Avvelenato, secondo la nuova perizia disposta dalla commissione bicamerale sui rifiuti. Morte naturale, disse all'epoca il perito. Ora il caso si è riaperto.

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