Il bavaglio
I grandi giornali
ignorano
i guai di Eni
Ansa
I numeri
41,7
milioni, il
budget
pubblicitario
che nel 2015 il
gruppo ha
distribuito tra
le principali
concessionarie
di pubblicità
italiane
1,1
miliardi di
euro i soldi
che l’Eni ha
pagato nel
2011 al
governo della
Nigeria e che,
secondo i pm,
sono diventati
una tangente
ai politici
locali
523
milioni quelli
finiti a un
presunto
prestanome
dell’ex
presidente
Goodluck
Jonathan La scheda
n IERI il Fatto
ha raccontato
la scelta
dell’Eni di
cancellare
20.000 euro
di inserzioni
dopo gli
articoli
sull’inchiesta
per tangenti
di cui scrive
solo il Fatto.
Ora l’azienda
precisa:
“Nessun
taglio Come trattare con gli editori
Le inserzioni sono da sempre una
possibile arma di ricatto nelle mani
dei grandi gruppi che cercano
di ottenere “buona stampa
I PRECEDENTI
ALITALIA
Ha vietato la
distribuzione
dell’Espresso
sui suoi voli
per
un’inchiesta
sgradita
FIAT
Nel 1998
cancellò il
budget sul
Manifesto per
un’intervista a
Edoardo
Agnelli
D&G
Ha punito
il Sole 24 Ore
per la
recensione
critica
del loro
ristorante
MEDIOBANCA
Non gradiva
gli articoli di
Repubblica
sulla fusione
tra Unipol e
Fonsai nel
2012
GIANNI BARBACETTO
Milano Dopo che il Fa t t o
Quotidianoha reso
pubblica l’i ntenzione
dell’Eni
d i t o g l i e r e a l
giornale inserzioni pubblicitarie
per 20 mila euro, in seguito
agli articoli di Stefano
Feltri e Carlo Tecce sullo
scandalo internazionale delle
tangenti petrolifere nigeriane,
l’azienda comunica che
“la nostra pianificazione sui
giornali per il 2017 non è ancora
stata definita e che il F a tto
non ne è stato escluso”.
Caso chiuso, allora? È una
storia lunga, quella dei rapporti
tra inserzionisti e giornali.
Non è la prima volta che
le aziende minacciano il Fatto
di chiudere i rubinetti della
pubblicità: lo aveva fatto l’Enel,
nel 2010, dopo un articolo
di Giorgio Meletti che aveva
criticato le modalità di quotazione
in Borsa di Enel Green
Power. Anche allora, lanciato
il sasso, l’Enel, dopo le polemiche
divampate sulla
stampa, aveva ritirato
la mano.
LA PUBBLICITÀ,carbu -
rante necessario per
far vivere quasi tutte le
testate giornalistiche, è
da sempre una possibile
arma di ricatto nelle
mani delle aziende che
cercano di ottenere
“buona stampa”. È però
raro che si arrivi al blocco
dei budget. Come
quando hai una pistola
carica, vinci finché non
spari: ottieni il tuo risultato
senza clamori. Quando
schiacci il grilletto, hai perso:
non sei riuscito a bloccare le
notizie sgradite e per di più ti
sei attirato gli sguardi di tutti.
Eppure talvolta succede.
Succede che sui voli Alitalia
non si trovi il numero dell’Espresso
con la copertina dedicata
alla crisi infinita di Alitalia,
con i conti veri, il buco milionario,
gli investimenti sbagliati
raccontati da Vittorio
Malagutti. Succede che Dolce
& Gabbana cancellino 300 mila
euro di pubblicità al Sole 24
ore, per ritorsione a un articolo
sul Domenicale della scrittrice
Camilla Baresani. Nel 2006 aveva
osato criticare il Gold, ristorante
in stile emirati arabi,
tutto enfasi, oro e specchi, aperto
a Milano dalla coppia di
stilisti. A essere definita poco
meno che immangiabile era la
cotoletta: Dolce & Gabbana
non solo tolsero la pubblicità al
Sole, allora diretto da Ferruccio
de Bortoli, ma andarono
anche in tv, alle Invasioni barbariche,
a dire che Baresani era
“una stronza frustrata, perché
probabilmente grassa”. Oggi
la scrittrice ci ride su: “La pubblicità
dei due tornò dopo un
articolo riparatore che magnificò
il ristorante. Comunque
negli anni successivi in ogni
giornale su cui scrivevo
mi dicevano: ‘Mi raccomando,
niente recensioni
negative!’. Mi sono dovuta
rifare scrivendo un
l i b r o , Gli sbafatori
(Mondadori), in cui ho
finalmente potuto raccontare
il circo sfigato
dei recensori di ristoranti
e alberghi, governato
da un pugno di
pierre che controllano il mercato
ed escludono dal giro chi
non obbedisce ai loro ordini”.
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