Il peccato originale
La concessione
dei permessi alla
Malabu “violava tutte
le leggi conosciute” STEFANO FELTRI E CARLO TECCE
Le cose si mettono male
per l’Eni: il giudice
John Tosho della Alta
Corte federale di Abuja,
in Nigeria, ha stabilito che il
controllo del giacimento Opl245
deve essere trasferito al
governo, in via cautelare,
mentre proseguono “le inchieste
in corso e le indagini a
carico dei sospetti” per l’a ccordo
che nel 2011 ha concesso
i diritti di sfruttamento a
Shell e, soprattutto, a Eni. Le
due società petrolifere sono
colte di sorpresa e non commentano.
Il giacimento è al
centro di un’inchiesta internazionale
per corruzione: in
Italia, la Procura di Milano ha
appena chiuso le indagini, con
i pm Fabio De Pasquale e Sergio
Spadaro. Tra gli indagati ci
sono l’ex ad dell’Eni Paolo
Scaroni e l’attuale capo azienda,
Claudio Descalzi, che spera
comunque di essere riconfermato
al suo posto in primavera
dal governo Gentiloni.
LE NOTIZIE che arrivano dalla
Nigeria però rischiano di complicare
le prospettive di Descalzi:
la decisione dell’Alta
Corte federale potrebbe far
svanire i diritti dell’Eni sul giacimento
Opl245, senza ovviamente
far recuperare il miliardo
pagato per ottenerli. Il 20
dicembre la Commissione di
inchiesta nigeriana sui crimini
economici e finanziari (Efcc)
ha messo sotto indagine l’ex
ministro della Giustizia
Mohammed Adoke con una
lunga lista di altre persone e
società. Adoke è stato il primo
promotore dell’op e r az i on e
che, in teoria, doveva tutelare
l’Eni: pagare soltanto al governo
nigeriano dell’ex presidente
Goodluck Jonathan, senza
doversi preoccupare di che fine
facevano poi i soldi. L’11
gennaio 2017, però, Ibrahim
Ahmed, un funzionario della
commissione Efcc, presenta
un affidavit all’Alta Corte federale:
è un documento di 21
pagine –che il Fatto ha potuto
leggere –in cui si chiede ai gi
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