Lo spettro dell’inceneritore torna ad aleggiare nella provincia di Latina. Un’ ipotesi, quella di realizzare un impianto di valorizzazione energetica di rifiuti urbani e speciali a Borgo Montello (o a Mazzocchio, si pensava all’epoca), che prese piede quasi dieci anni fa – con la cordata di centro-destra presieduta dall’ex sindaco di Latina Vincenzo Zaccheo (in prima linea) e dall’ex presidente della Provincia Armando Cusani – e che sembrava riposta nei cassetti di un corso amministrativo oramai sulla via del tramonto.
Ma tale spettro questa volta non è alimentato da istanze locali, bensì da un provvedimento che arriva direttamente dalle stanze di Palazzo Chigi. Si tratta del decreto ministeriale n.233 emanato dalla Presidenza del Consiglio riguardante l’individuazione della capacità della capacità complessiva degli impianti di incenerimento italiani e, soprattutto,del fabbisogno residuo di incenerimento. È proprio quest’ultima voce a riaprire ufficialmente la partita per un nuovo impianto di termovalorizzazione nel Lazio.
Durante il Consiglio straordinario tenutosi in Regione, l’assessore all’Ambiente e ai Rifiuti Mauro Buschini ha contrattaccato la decisione arrivata dai vertici del Governo. “Confermiamo di non ritenere indispensabile la costruzione di un nuovo impianto di recupero di energia dai rifiuti – ha dichiarato -, seppure registriamo il decreto ministeriale dell’onorevole Galletti come una positiva sollecitazione collaborativa. L’ulteriore fabbisogno di termotrattamento potrebbe trovare compensazione nell’ammodernamento degli impianti esistenti di Colleferro e San Vittore.” Si rischia dunque lo strappo su una vicenda che si aggiunge alla già “sanguinaria” guerra dei rifiuti laziale.
Il Governo smentisce la Regione. Una vera e propria sferzata da parte del Governo alla giunta Zingaretti, che da tre anni – già con il piano Rifiuti del 2013 – smentisce categoricamente la possibilità caldeggiata dal Ministero dell’Ambiente. La presa di posizione del Governo ha, dunque, avuto come primo effetto quello di dare la stura alla polemiche interne alla Pisana. Il fronte dell’opposizione compatto punta il dito contro il governatore. “Decisione che non è campata in aria ma si basa su dati reali che Zingaretti, che si è affrettato a dire che nessun inceneritore nuovo sarà realizzato sul territorio, o non conosce o, peggio, continua a far finta di non conoscere”, ha commentato il consigliere pontino di Forza Italia Giuseppe Simeone all’indomani della pubblicazione dell’atto sulla Gazzetta Ufficiale, ovvero lo scorso 5 ottobre. Della stessa stregua le dichiarazioni di Devid Porrello, capogruppo pentastellato in Consiglio: “Oltre tre anni di immobilismo sui rifiuti, di mancata programmazione per l’impiantistica,di proliferazione di iniziative private per il trattamento della Forsu si risolvono per Zingaretti scaricando le responsabilità sui comuni. Per il Pd regionale l’emergenza rifiuti del Lazio si risolve con le discariche, come ha spiegato Buschini in un suo recente intervento in aula e per il Pd nazionale bastano un paio di inceneritori.” Fa eco l’intervento di Fabrizio Santori, esponente FdI, nonché membro della Commissione Ambiente. “Zingaretti continua a mentire sapendo di farlo, e anche oggi ribadisce che non ci sarà nessun impianto, dopo l’assenza del Lazio in conferenza Stato-Regioni a Febbraio quando si decise su questo delicatissimo tema”. Ma Zingaretti non ci sta ad abbandonare la linea adottata dalla sua amministrazione e ha tempestivamente cassato il provvedimento dei colleghi di partito a Palazzo Chigi, in quanto non cogente – il cui recepimento da parte della Regione non è obbligatorio e inderogabile. Ma le cose in realtà non stanno proprio così.
Lo “Sblocca inceneritori” miete le prime vittime e Zingaretti sembra essere tra queste. Il testo a firma Renzi-Galletti non è altro che l’atto finale (o comunque una delle battute finali) di una telenovela legislativa portata avanti a colpi di decretazione governativa. Va ad attuare infatti una delle previsione contenute nell’art.35 del decreto-legislativo 133/2014 riguardante “Misure urgenti per l’apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l’emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive”: il famoso Sblocca Italia, emanato nel settembre 2014 e convertito in legge nel novembre successivo. La bozza del testo, giunto alla terza riscrittura, era stato recapitato alle Regioni lo scorso 29 luglio, scatenando un effetto domino di dichiarazioni nell’universo capitolino. Ma la partita si era infiammata già a termine dell’ultima riunione della Conferenza Stato-Regioni di nove mesi fa sulla realizzazione delle rete nazionale di termovalorizzatori. In quell’occasione tutti gli enti regionali manifesteranno il sostegno al progetto, tranne Campania e Lombardia; assente Zingaretti. “Il presidente della Regione riferisca in Consiglio sulla sua assenza, perché ha commesso un alto tradimento e si è macchiato di codardia”, fu la stoccata di Santori. L’ex eurodeputato nonché ex presidente della Provincia di Roma disertò l’assemblea per evitare lo scontro interno al partito sull’asse Pisana-Palazzo Chigi. Una presa di posizione che invece non ha potuto aggirare lo scorso agosto quando fu proprio lo stesso Ministro Galletti a riaprire il dibattito in un question time alla Camera. “Gli impianti di smaltimento non sono sufficienti, oggi, per uscire dalla crisi. Il Lazio ha bisogno di un termovalorizzatore”, spiegò l’esponente in quota ad Area Popolare al Governo. Tempestiva è stata in quel caso la risposta di Zingaretti il giorno dopo in Consiglio Regionale, chiamato a relazionare sullo stato del ciclo dei rifiuti: “Seguendo l’iter della competenza regionale di pianificazione, sulla base del fabbisogno e della raccolta differenziata e dell’impiantistica, confermo che non si reputa necessaria l’apertura di una procedura per un nuovo termovalorizzatore“. Dello stesso avviso la sindaca capitolina Virginia Raggi. Ma le cifre snocciolate dal Ministero sembrano minare alla credibilità del governatore Pd e della sua politica in materia di rifiuti.
Quasi 8 milioni e mezzo di tonnellate l’anno da bruciare; e al Lazio serve la copertura per altre 200 mila. Le cifre presentate nell’allegato del decreto si rifanno al rapporto Rifiuti 2015 dell’Ispra su dati 2014. Secondo l’analisi dal Ministero dell’Ambiente, l’Italia deve soddisfare un fabbisogno residuo di incenerimento di 1.818.334 t/anno a fronte di un fabbisogno complessivo di 8.390.760 t/anno ed una capacità impiantistica 6.575.749. Circa un 37% in più di “monnezza” dovrà essere bruciata. Servono dunque nuovi inceneritori, 8 per la precisione di cui uno nel Lazio. Nella territorio laziale sono presenti quattro inceneritori: tre attualmente funzionamento – l’impianto di Colleferro due di San Vittore – e uno, (quello di Malagrotta) autorizzato ma non in funzione e per il quale è stata richiesta una variante d’opera, a cui si va ad aggiungere la struttura di Ponte Malmone che tratta solo rifiuti sanitari.
Secondo il Governo la capacità complessiva regionale di incenerimento ammonta a 665.300 t/anno, necessaria a coprire solamente il 75% del fabbisogno che è stimato a 879.382 t/anno. Tradotto: a fronte della grave crisi sul fronte rifiuti che sta attraversando il Lazio, occorre riaprire l’impianto di Malagrotta e realizzare un nuovo inceneritore per colmare il gap di quelle 210 mila tonnellate. Una soluzione che, almeno in termini puramente normativi e in relazione all’alterativa-discariche, appare in linea con la direttiva 2008/98 della Comunità Europea che predilige la valorizzazione dei rifiuti al conferimento in siti di smaltimento, rispettivamente il quarto e il quinto (ed ultimo) livello della gerarchia di gestione.
Quei dati della Regione un po’ troppo “ottimisti”. Ma perché il Ministero afferma che c’è bisogno di far fronte ad un ulteriore fabbisogno di incenerimento, mentre la Regione nega tutto? Le cifre sul ciclo dei rifiuti riportate nel Piano regionale si basano, come quelli del dicastero presieduto da Galletti, su dati Ispra, per la precisione relativi alle annualità 2012-2014. La relazione tecnica del Governo, infatti, stima la capacità degli impianti sulla stessa soglia della delibera di Consiglio dello scorso aprile, ma con una piccola imprecisione: nel conteggio delle tonnellate conferite negli impianti di valorizzazione non sono incluse le 30.000 tonnellate ospitate dall’inceneritore di Ponte Malmone. Una disattenzione che però risulta ininfluente vista l’enorme produzione di rifiuti urbani e speciali che interessa il Lazio. Il nodo sorge appunto sulle previsione di quest’ultimo parametro per il prossimo quinquennio. La produzione totale di rifiuti della regione non è scesa sotto le 3 milioni di tonnellate annue negli anni che vanno dal 2010 e al 2014 (ndr. I dati 2015 saranno oggetto del rapporto Ispra 2016): nel 2014 le tonnellate prodotte sono state 3.082.772 – 523 kg per abitante -, ultimo dato di un trend in diminuzione che ha raggiunto il -9,34% rispetto a alle rilevazioni del 2010, anno in cui la percentuale di raccolta differenziata si attestava al 16,5% e che ora dovrebbe raggiungere il 35%.
In termini di rifiuto indifferenziato, circa 28 mila tonnellate in meno per ogni punto percentuale di raccolta differenziata che si aggiunge nella gestione del ciclo dei rifiuti. Ed è proprio la quota di indifferenziato che interessa il processo di valorizzazione, step successivo alla frazionatura e selezione negli impianti di TMB che produce CSS, frazione secca, percolati e scarti. Una fase del ciclo che riguarda poco meno del 50% dell’indifferenziato prodotto a livello nazionale, ovvero – stando sempre a dati 2014 – ben 16.248.784 tonnellate. Un obiettivo, quello della forbice sulla quota di indifferenziato con parallelo incremento della raccolta differenziata, imposto dalla sopracitata direttiva europea recepita dal nostro Paese nel dicembre del 2010, ma anche dal decreto legislativo sulle norme in materia ambientale del 2006 varato dal governo Berlusconi-ter che sottoscriveva il diktat del raggiungimento del 65% di raccolta differenziata entro il 2012. Obiettivo disatteso dal momento che tutt’oggi non si è riusciti a superare la soglia del 45%, percentuale che nel Lazio si abbassa, come già detto, fino al 35 nella proiezione 2016. A firma invece dell’esecutivo tecnico targato Mario Monti è invece il Programma Nazionale di Prevenzione di Rifiuti adottato nell’ottobre che prevede al 2020 una riduzione del 5% della produzione di rifiuti per unità di Pil. La Regione ha stabilito due ipotesi per raggiungere gli orizzonti prefissati: una che non prevede una riduzione dei rifiuti ma si pone il traguardo del 2020 per elevare il regime di raccolta differenziata nella quota stabilita dall’UE; e una seconda, più accreditata, che conta di ridurre di un punto percentuale la produzione totale nei primi 5 anni con un incremento della quota differenziata del 5% annuo. Praticamente un trend a velocità raddoppiata rispetto a quello registrato nel periodo 2010-2014.
Secondo tali proiezioni si dovrebbe raggiungere il pareggio nel rapporto capacità degli impianti/fabbisogno nel 2019 nella prima e nel 2020 nella seconda, con un livellamento che dovrebbe arrivare dall’aumento della raccolta differenziata.
Si legge, dunque, nel piano Zingaretti nella sezione riguardante gli inceneritori: ”Non si prevede in alcun modo la necessità di un ulteriore impianto oltre a quelli già in esercizio. Sarà invece valutato l’adeguamento a carico termico degli impianti di Colleferro in sede di revamping dei medesimi. Si ricorda che nel 2017 entrerà in esercizio la terza linea di San Vittore.” Ma arriviamo al punto: il governo Renzi non crede nelle previsioni di riduzione della produzione di rifiuti – tant’è vero che in un allegato del decreto si legge “n.d., non dichiarato, non approvato” – né alle percentuali di RD messe nero su bianco per il prossimo quinquennio. Una riduzione che tra l’altro, dal 2014, anno di entrata in vigore dello Sblocca Italia, che è stata minima e comunque non in linea a quel -10% auspicato dal piano di prevenzione regionale. Da 3.082.372 a 3.000.543 del 201: solamente un -3,7%.
In entrambe le opzioni caldeggiate ci sarebbe – a fronte delle oltre 665 mila tonnellate l’anno di capacità complessiva – un deficit che va dalle 55 mila alle 150 mila tonnellate. Senza dimenticare un paio di fattori tra l’altro decisivi nell’indirizzo recapitato dal Ministero. In primis una mancata chiusura del ciclo laziale dal momento che il 10% di rifiuti urbani e di quelli derivanti dal loro trattamento sono destinati fuori regione e per lo più smaltiti in discarica. E poi c’è la spigolosa questione della percentuale di rifiuti indifferenziati inviati a trattamento che devo essere portati a valorizzazione: la Commissione Ambiente regionale ha fissato il tetto al 45%, mentre la linea del Governo, nel territorio laziale – prendendo ad esempio le stime 2016 – di innalzare tale quota dai 6 ai 10 punti percentuali (relativamente alle famose prima e seconda ipotesi di programmazione). Ed ecco che si spiega quel surplus di tonnellate pari a 210 mila esplicitate nell’atto di governo. Un sistema con evidenti difficoltà di gestione quello dei rifiuti laziali, status di cui certamente non è all’oscuro la giunta regionale, che infatti aveva “messo le mani avanti” con l’annuncio da parte di Zingaretti che dell’assessore all’Ambiente Buschini della possibilità di realizzare una discarica di servizio a Roma. Ricorrere dunque alla soluzione estrema del conferimento in discarica, concetto ribadito anche nel aggiornamento del Piano dello scorso aprile, in cui si legge. “È evidente l’esigenza di reperire volumetrie utili alle esigenze di smaltimento della frazione residua del trattamento dei rifiuti urbani. Tale insufficienza è quella maggiormente evidente nella rete degli impianti regionali [..]È pertanto necessario prevedere da subito la possibilità di effettuare ampliamenti e/o sopraelevazioni degli impianti esistenti ed in esercizio.” In molti ora puntano dunque il dito contro il governatore Zingaretti; uno dei più accessi sostenitori della realizzazione di un nuovo inceneritore e dell’inadeguatezza dell’ultimo piano Rifiuti è Donato Robilotta, consigliere regionale di minoranza e coordinatore di Socialisti e Riformisti (partito satellite dell’ex-universo Pdl). “Continuare a dire che rispetto ai dati del fabbisogno regionale non c’è bisogno del nuovo impianto è un errore – ha commentato una volta appreso della pubblicazione del decreto e delle dichiarazione di Zingaretti – Significa non tener conto che la relativa delibera regionale, la 199 del 2016, conteneva calcoli non suffragati da dati convincenti tanto che non è stata presa in considerazione ai fini della stesura finale del decreto”.
In entrambe le opzioni caldeggiate ci sarebbe – a fronte delle oltre 665 mila tonnellate l’anno di capacità complessiva – un deficit che va dalle 55 mila alle 150 mila tonnellate. Senza dimenticare un paio di fattori tra l’altro decisivi nell’indirizzo recapitato dal Ministero. In primis una mancata chiusura del ciclo laziale dal momento che il 10% di rifiuti urbani e di quelli derivanti dal loro trattamento sono destinati fuori regione e per lo più smaltiti in discarica. E poi c’è la spigolosa questione della percentuale di rifiuti indifferenziati inviati a trattamento che devo essere portati a valorizzazione: la Commissione Ambiente regionale ha fissato il tetto al 45%, mentre la linea del Governo, nel territorio laziale – prendendo ad esempio le stime 2016 – di innalzare tale quota dai 6 ai 10 punti percentuali (relativamente alle famose prima e seconda ipotesi di programmazione). Ed ecco che si spiega quel surplus di tonnellate pari a 210 mila esplicitate nell’atto di governo. Un sistema con evidenti difficoltà di gestione quello dei rifiuti laziali, status di cui certamente non è all’oscuro la giunta regionale, che infatti aveva “messo le mani avanti” con l’annuncio da parte di Zingaretti che dell’assessore all’Ambiente Buschini della possibilità di realizzare una discarica di servizio a Roma. Ricorrere dunque alla soluzione estrema del conferimento in discarica, concetto ribadito anche nel aggiornamento del Piano dello scorso aprile, in cui si legge. “È evidente l’esigenza di reperire volumetrie utili alle esigenze di smaltimento della frazione residua del trattamento dei rifiuti urbani. Tale insufficienza è quella maggiormente evidente nella rete degli impianti regionali [..]È pertanto necessario prevedere da subito la possibilità di effettuare ampliamenti e/o sopraelevazioni degli impianti esistenti ed in esercizio.” In molti ora puntano dunque il dito contro il governatore Zingaretti; uno dei più accessi sostenitori della realizzazione di un nuovo inceneritore e dell’inadeguatezza dell’ultimo piano Rifiuti è Donato Robilotta, consigliere regionale di minoranza e coordinatore di Socialisti e Riformisti (partito satellite dell’ex-universo Pdl). “Continuare a dire che rispetto ai dati del fabbisogno regionale non c’è bisogno del nuovo impianto è un errore – ha commentato una volta appreso della pubblicazione del decreto e delle dichiarazione di Zingaretti – Significa non tener conto che la relativa delibera regionale, la 199 del 2016, conteneva calcoli non suffragati da dati convincenti tanto che non è stata presa in considerazione ai fini della stesura finale del decreto”.
Perché Latina? La paralisi pontina e il peso delle sentenze. Il placet della Regione sulla possibilità di approvare ampliamenti relativamente ai siti per i quali è stata o è in programma delle procedure di VAS o di VIA piomba sulla provincia di Latina come una brezza, presagio di tempesta. La discarica di Borgo Montello, che ha di fatto terminato le volumetrie disponibili per il conferimento con la cessazione delle attività anche da parte di Ecoambiente avvenuta lo scorso 6 ottobre (gli invasi Indeco sono stati chiusi a gennaio), è oggetto di una consultazione pubblica volta al rilascia della certificazioni di Via sugli impatti ambientali, propedeutica al rilascio dell’Aia (Autorizzazione Integrata Ambientale) che darebbe il via libera ai lavori di ampliamento. Si parla di nuove volumetrie per un totale di 560 mila metri cubi.
Un’operazione che potrebbe essere parallela a quella della realizzazione del famoso nuovo inceneritore, che “chiuderebbe” il ciclo dei rifiuti pontino, con una ventina di impianti di trattamento sparsi nel territorio. Le virgolette sul verbo utilizzato sono d’obbligo, visto le dichiarazioni dello scorso 13 ottobre del dirigente di Arpa Lazio Marco Lupo. Ebbene, secondo i dati Arpa il 70% dei rifiuti che escono da questi siti di trattamento (e che in buona parte devono essere portati a valorizzazione) sono tradotti fuori regione. Il che si configurerebbe come una violazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea del luglio 2015 – con cui l’Europa andava a sanzionare l’Italia per milioni di euro a causa della mala-gestione dell’emergenza rifiuti datata 2007 in Campania – che rimarcava i cosiddetti principi di autosufficienza e prossimità, secondo cui bisogna “garantire la gestione e la rimozione dei rifiuti il più vicino possibile a dove sono stati prodotti”. Una disposizione prevista dalla direttiva europea n.12 del 2006 e ripresa anche dal Tar del Lazio lo scorso marzo, quando scrisse che l’Ente avrebbe dovuto provvedere “all’individuazione della rete integrata e adeguata di impianti, incluse le discariche per lo smaltimento dei rifiuti speciali del trattamento dei rifiuti urbani, necessari a conseguire l’obiettivo dell’autosufficienza su scala regionale”.
In poche parole, il rischio che la provincia di Latina vada incontro ad una violazione di tale direttiva esiste e che si andrebbe ad aggiungere alla procedura di infrazione subita per le inadempienze in relazione alla già citata direttiva del 2008 sulla gerarchia dei rifiuti – a cui fa anche riferimento il Governo nel decreto Sblocca Inceneritori come motivazione di base per l’ampliamento della capacità di incenerimento nel Lazio – ma anche alla disposizione 1993/31 sul conferimento in discarica: immondizia non trattata, inclusi rifiuti speciali come quelli industriali, per anni sono stati abbancati a Borgo Montello. Infrazione per la quale l’Italia è stata condannata nell’ottobre 2014. Sono dunque molteplici i provvedimento che pongono Latina al centro dei riflettori per il progetto di un nuovo inceneritore. Visto e considerato che difficilmente Zingaretti si presenterà ad Albano con in mano una richiesta di riprendere le carte per quel progetto di un termovalorizzatore, dopo le rassicurazioni offerte ; e che la Colari del ras laziale dei rifiuti Manlio Cerroni nell’estate 2015 aveva manifestato la volontà di rinunciare alle famose altre due linee di gassificatori, oltre a quella già esistente. Opzione, quest’utlima, rigettata anche dalla giunta Raggi e dai vertici del Pd proviciale. Il quadro generale – una rebus che imbriglia Stato,Regione e cittadini – non sorride di certo a Latina, i cui siti di smaltimento sono però da chiudere secondo il parere espresso da Alessandro Bratti, presidente della Commissione Parlamentare d’Inchiesta sulle Ecomafie, nella seduta del 13 ottobre.
Il precedente: quel chiodo fisso di Zaccheo. “Ancora tu, ma non dovevamo vederci più?”: lo cantava Battisti ma lo penseranno anche gli abitanti della provincia di Latina rimuginando sulla questione – inceneritore. Una trama che aveva acceso il dibattito cittadino quasi dieci anni fa, con Zaccheo e Cusani che cavalcarono per lungo tempo la battaglia di un nuovo inceneritore nel territorio pontino. In particolare l’ex presidente della provincia viene oggi accusato da di aver ostacolato l’approvazione del progetto del maxi impianto di TMB nei terreni adiacenti piezometria occupata dagli invasi, proprio nelle mire di arrivare a realizzare un nuovo impianto di valorizzazione. E Borgo Montello era uno dei siti papabili. Tant’è vero che nel 2008 Zaccheo si presentò alla Pisana offrendo ai presenti un intervento più che chiaro circa le intenzioni dell’amministrazione.” “Prima di affrontare qualunque intervento sulle discariche di Borgo Montello – avvertì l’ex primo cittadino – chiedo che la Regione Lazio si autodetermini in via definitiva sulla costituzione dell’ATO e garantisca l’autonomia e l’autosufficienza dell’intero ciclo dei rifiuti all’interno dell’Ambito Territoriale di Latina.” La denuncia che Zaccheo presentava all’assise regionale era che il CDR (combustibile derivato da rifiuti) da portare a valorizzazione negli impianti di incenerimento fosse conferito in strutture fuori dal subAto, “senza possibilità di regolazione della tariffa di igiene ambientale (assoggettata alla gestione di altri ambiti) e con conseguenti, ovvi e prevedibili aumenti dei costi.” A fronte di quella possibilità a Latina nacque anche un comitato No-inceneritore.
Ma l’amministrazione comunale si espressa in maniera secca e definitiva nel 2013 contro questa possibilità, con una delibera votata all’unanimità dal Consiglio. Ultimo capitolo della vicenda?
Stato vs Regione Lazio: il vaso di Pandora delle competenze. E se vince il Si? Sui destini della questione l’ultima parola spetta alla Regione: questa è la tesi conclamata dalla sfera vicina a Zingaretti, appellandosi alla natura “cognitiva” del provvedimento ministeriale; quella “positiva sollecitazione collaborativa”, come l’ha definita il delegato all’Ambiente Buschini, diventerebbe automaticamente inaggirabile nel caso la regione non predisponessi di un piano Rifiuti, documento che però l’assise regionale ha ratificato solamente sei mesi fa. Ed ecco che, almeno apparentemente, il decreto legislativo si configura – è quanto si legge nel testo – come un dispensatore di “contenuti programmatici generali” che vanno a stabilire un “un quadro di riferimento per successivi atti di pianificazione regionale”; e soprattutto che non vanno ad intervenire “sulla ubicazione puntuale, sulle condizioni operative, né sulla ripartizione di risorse”. Una “intimazione” che di fatto, oggi, non è ancora supportata da una Vas che metta nero su bianco gli effetti ambientali, quindi i determinanti e le pressioni esercitate sull’ambiente. Secondo la Direzione generale per i rifiuti e l’inquinamento del Ministero non vi è la sussistenza per avviare tal procedimento, che però dovrà essere intrapreso, sotto l’egida degli uffici tecnici della Regione circa le relazioni preliminari dei singoli progetti candidati ad espletare la richiesta del Governo di un nuovo inceneritore. Competenza – quella della Pisana sulla questione nuovo inceneritore – che è ammessa nello art.35 dello Sblocca Italia ed è conferita dallo stesso decreto dello scorso 5 ottobre: “spetta alle regioni – recita il testo – il compito di recepire, nell’ambito dei rispettivi Piani di gestione dei rifiuti, le scelte strategiche contenute nel presente decreto, avviando le necessarie procedure di valutazione ambientale strategica ed eventualmente di autorizzazione dei progetti, in esito alla localizzazione dell’impiantistica da realizzare per soddisfare il relativo fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti”. Riferimento che rimanda al decreto legislativo del 2006 sulle “Norme in materia ambientale”. Ma c’è un “però”: l’art.199 comma 12 di tale dgls, il quale afferma che, previo l’accordo con la Regione interessata, sono ammessi “la costruzione e l’esercizio, oppure il solo esercizio, all’interno di insediamenti industriali esistenti, di impianti per il recupero di rifiuti urbani non previsti dal piano regionale”. È nella formulazione del titolo V che si nasconde il grimaldello della questione: così come è oggi il Governo può attivare il potere sostitutivo, forte anche del placet ottenuto in sede di Conferenza Stato-Regioni dagli enti. E c’è anche chi paventa, come il consigliere Robilotta, uno scenario risolutivo a favore della manovra dell’esecutivo nel caso se vincesse il Si all’imminente referendum costituzionale: secondo tale ipotesi la cosiddetta “clausola di supremazia statale” – inserita nella modifica dell’art.117 del Titolo V sulla ripartizione delle competenze Stato-Regioni e che elimina la legislazione concorrente su diverse materie – potrebbe rivelarsi una mannaia scagliata sulla vicenda. Anche se c’è da precisare che la gestione rientra già nelle competenze esclusive dello Stato, e che la legislazione delle Regioni in materia è limitata ad una potestà “integrativa” in funzione di una “maggiore tutela ambientale”, senza violare gli standard minimi stabiliti dal Ministero; e non è ancora chiaro come la revisione costituzionale posso influire puntualmente sulla gestione rifiuti. Resta il fatto che, qualsiasi sia l’esito del referendum, la giunta Zingaretti non sembra avere propriamente il coltello dalla parte del manico così come si lascia intendere dalla Pisana.
I rischi per la salute: la trincea delle associazioni ambientaliste. Il motivo per cui associazioni e comitati, così come anche Legambiente, si battono contro gli inceneritori sono i dubbi sull’impatto che possono avere sugli abitanti che vivono nelle aree limitrofe agli impianti. Sta di fatto che questo tipo di tecnologia rientra nella categoria industrie instabili stando all’art.216 del testo unico sulle leggi sanitarie. Tali impianti, bruciando i rifiuti, e quindi riducendone il volume, producono una quantità di ceneri, polveri e gas che ammontano a circa 30% del peso dei rifiuti che entrano nel processo. Si tratta di fonti inquinanti sicuramente cancerogene, quali diossine,particolato, gas contenenti metalli pesanti e cloruro di vinile. Di studi epidemiologici sul rischio esposizione e l’effetto sulla salute umana ne sono stati fatti molti, ma la controversia sulla questione è ancora aperta. Il progetto Moniter che ha preso il via in Emila-Romagna, dove sono attivi 8 inceneritori, ha evidenziato delle associazioni tra aborti spontaneo e alcune sedi tumorali – colon,pancreas e linfoma non Hodgkin – con la prossimità degli impianti nella popolazione sotto osservazione. Altri risultati allarmanti, per restare dalle nostre parti, sono emersi da uno studio dell’Eras Lazio sulla popolazione residente nel raggio di 7 km dall’impianto di Malagrotta nel periodo 1996-2010: un totale di 85.599 persone. I numeri parlano di un eccesso diagnostico e di ricoveri per patologie riguardanti il sistema circolatorio, respiratorio e digerente; si nota inoltre un’associazione nelle donne con il cancro alla mammella e alla laringe. Relazioni statistiche difficile da tradurre in vere e proprie rapporti di causa-effetto, soprattutto per condizioni patologiche multi-fattoriali come quelle tumorali. Le associazioni ambientaliste hanno tuttavia le idee molto chiare in materia. A settembre di un anno fa, tuttavia, Legambiente, Wwf, GreenPeace e Medici per l’ambiente dell’Isde ha firmato un documento condiviso nel quali si invitava i governatori delle Regioni a boicottare la programmazione del Governo sugli inceneritori inserito nello Sblocca Italia; un provvedimento, il decreto sui termovalorizzatori, che secondo i firmatari “ricaccia l’Italia indietro, prigioniera di una tecnologia, quella dell’incenerimento, che va superata anche in coerenza con i nuovi paradigmi che l’Europa indica e suggerisce”.
Una toppa su un ciclo tutt’altro che virtuoso. Quella sui rifiuti, in particolare sul nuovo inceneritore, è una partita che nel Lazio si gioca su più fronti. Da un lato il pressing del Governo, le procedure di infrazione europee e la sentenza del Tar. Dall’altro la consapevolezza che i termovalorizzatori, teoricamente, non rappresentano certo la migliore soluzione. Sia da un punto di vista di impatto ambientale – e lo dimostrano anche quegli studi epidemiologici sulla popolazione a contatto con tali “bruciatori di immondizia” – che da un punto di vista dell’ottimizzazione energetica. Si raggiunge, infatti, un rendimento pari al 40% dell’energia associata al materiale in entrata. C’è poi anche il nodo del costo: la differenziata costa 198 euro a tonnellata, mentre il termo trattamento può superare i 220 includendo gli incentivi energetici aggiunti in bolletta. Anche l’Ue non predilige tale opzione, spingendo per spostare la lancetta delle quote indifferenziato-differenziato verso una politica di gestione circolare, schema ripreso anche nel Collegato Ambientale presente nella Legge di Stabilità 2016.
Ma il punto è tuttavia un altro, e lo ha espresso senza giri di parole il ministro Galletti: “Il Lazio ha bisogno di un termovalorizzatore. A me non piace, ma lo preferisco comunque alle discariche.” La paralisi sulla gestione dei rifiuti che attanaglia la Regione potrebbe far sì che l’ipotesi (che poi è innegabilmente più di un ipotesi) di un impianto di termotrattamento sia una sorta di “toppa” necessaria. E a Latina, soprattutto a Borgo Montello il cui futuro è legato alla decisione della stessa Regione in merito agli ampliamenti, si inizia già a tremare. http://www.latina24ore.it/latina/129439/latina-nuovo-inceneritore/
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