di
Enrico
Fierro
Una
nave è già in porto, stando alle informazioni
ufficiali,
l’altra arriverà. I
paesi
della Piana tremano. All’alba di oggi,
secondo
i piani del governo, la Cape Ray, il
cargo
statunitense che dovrà caricare le 600
tonnellate
di armi chimiche siriane, ha gettato
la
sua ancora nei fondali di Gioia Tauro,
l’altra
nave, la danese Ark-Futura, partita
dalla
Siria, arriverà domani. I sistemi di
sicurezza
sono al massimo dell’efficienza,
assicurano
le autorità, “saranno trasbordate sostanze chimiche,
non
armi”, si legge su un manifesto per tranquillizzare
la
popolazione. “I contenitori stagni – c’è scritto –
sono
racchiusi in appositi container…”. C’è da essere tranquilli?
Non
proprio. “In troppi si stanno affannando più
che
ad informare la gente, a tranquillizzarla”. Pino Romeo
è
un urbanista attivista del Comitato “Sos mediterraneo”,
con
i suoi compagni d’avventura si è gemellato con altri
ambientalisti
della Grecia, di Creta in modo particolare,
perché
qui, al largo, avverrà l’operazione più pericolosa: la
totale
distruzione delle armi chimiche. “L’informazione –
ci
dice – è affidata ad un misero volantino distribuito alla
popolazione.
Poco si sa sul processo di distruzione per
idrolisi,
sui suoi tempi lunghissimi e sui rischi. Ci dicono
che
è una operazione di pace, ma se di pace si tratta, perché
altri
Paesi tipo il Belgio, la Finlandia, l’Albania, la stessa
Russia,
si sono rifiutati di ospitare le navi? Abbiamo molti
dubbi
anche sulla sicurezza, visto che i Vigili del Fuoco
hanno
detto pubblicamente che l’operazione presenta rischi
seri.
Nei container, potrebbero esserci armi montate,
quindi
pronte all’uso, e questo non fa che aumentare i pericoli”.
Risposta
di fonti dell’Opac, l’organizzazione delle
Nazioni
unite per la distruzione delle armi
chimiche:
a bordo della nave ci sono gas
mostarda
e Sarin, di armi montate neppure
l’ombra.
Intanto il porto è stato militarizzato,
con
una zona rossa di 1 un chilometro
dall’ingresso
delle banchine e di
un’area
interdetta al traffico aereo durante
tutta
la fase di trasbordo, si parla di centinaia
di
militari e poliziotti impiegati. Anche
per
Mimmo Macrì, portuale del sindacato
Sul,
“ci sono troppe cose poco chiare”.
“Che
fine faranno le scorie dopo il
processo
di idrolisi? Stanno parlando solo di sistemi di
difesa
militare, non di tutela sanitaria delle popolazioni in
caso
di incidente. I nostri ospedali non sono attrezzati”.
PREOCCUPAZIONI
e tensioni.
Ieri mattina al lungomare di
Reggio
si è tenuto un flash mob contro le armi chimiche, un
altro
si svolgerà stasera di fronte al Comune di San Ferdinando.
“Siamo
in piena emergenza – dice Mimmo Madafferi,
il
sindaco del paese – forse la gente può stare tranquilla,
i
sistemi di sicurezza e di protezione civile funzionano.
Ma
continuo ad essere contrario a tutta l’operazione.
Questa
zona, ormai, è considerata una discarica nazionale,
altro
che sviluppo. Siamo stati ingannati da tutti, da Letta,
ora
da Renzi, da Nencini che prometteva riunioni per il
rilancio
del porto. Se arriva un ministro non lo ricevo. Mi
sospendano
pure, ma non lo faccio. Se devono venire qui a
fare
passerelle è meglio che stiano a Roma”. Gioia Tauro, il
porto,
la rinascita, le piattaforme logistiche, le aree industriali
e
i trasporti, un inganno che dura da trent’anni. La
realtà
sono i 450 portuali in cassa integrazione, i capannoni
vuoti
e la gente di queste parti che ricomincia ad andar via.
All’estero,
lontano da disoccupazione e armi chimiche. il fatto quotidiano 1 luglio 2014
Nessun commento:
Posta un commento