Scienziato Preoccupato |
Posted: 19 Dec 2013 06:07 AM PST
In quantità assoluta si è passati da 98,8 tonnellate del 1990 a 152,6 tonnellate del 2010. E' una notizia preoccupante per tre motivi:
In sintesi, causa di questo specifico inquinamento sono le combustioni che avvengono in ambito domestico ad opera delle famiglie italiane che nel 1990 immettevano in atmosfera 18,8 tonnellate di IPA e nel 78,4 tonnellate nel 2010. Per capire meglio cosa stia succedendo nel nostro Paese bisogna andare in Danimarca, dove si registra lo stesso fenomeno.
In blu è mostrato l'andamento delle emissioni della fonte principale di IPA: gli impianti domestici che, nel 2011, hanno prodotto 12.290 chili di IPA Su valori nettamente più bassi (in parantesi i valori del 2011) si assestano i contributi degli altri macrosettori: inceneritori di rifiuti (516 kg), impianti termici commerciali e pubblici (135 kg), industrie manifatturiere e costruzioni (135 kg) , agricoltura-foreste-pesca e militare (496 kg), trasporti (307 kg) , produzione di energia per usi industriali (68 kg). Come in Italia, anche in Danimarca la principale fonte di IPA sono gli impianti di riscaldamento domestico che, nel 1990, hanno immesso in atmosfera circa 5,6 tonnellate di IPA, mentre nel 2011 le tonnellate di IPA sono state 12,3 con un picco di 16,2 tonnellate nel 2007. Gli studi danesi sono più precisi di quelli della nostra ISPRA e individuano nell' uso della legna, come fonte di energia per il riscaldamento domestico, la principale causa del peggioramento della qualità dell'aria registrata in Danimarca a causa dell'aumento della emissione di IPA.
Ebbene, in Danimarca, maggiore consumo di legna e maggiore emissione di IPA sono fortemente correlati, come molto probabilmente è avvenuto in Italia. E la spiegazione è banale: a parità di energia prodotta la combustione della legna produce molti più IPA di altri combustibili, in particolare il metano o gas naturale.
La Figura 4 mostra i fattori di emissione dei principali IPA cancerogeni attribuiti diversi impianti alimentati a legna. I valori sono espressi come milligrammi di IPA per Giga Joule ( GJ) di energia prodotta. Si nota come i fattori di emissione più bassi si abbiano con le stufe a pellet a cui sono attribuiti circa 50 milligrammi di benzo(a)pirene (il cancerogeno più potente) per GJ di energia prodotta. L'inventario 2013 dei fattori di emissione di impianti termici europei ci informa che un caminetto alimentato a gas naturale emette 0,56 microgrammi di benzo(a)pirene, ogni GJ di energia prodotta. Come abbiamo visto, una stufa a pellet, fatte le dovute conversioni da milligrammi a microgrammi, per produrre la stessa quantità di energia, emette 50.000 microgrammi di benzo(a)pirene, un inquinamento circa 90.000 volte maggiore. Questa differenza non deve stupire, il metano ha un potere calorifico nettamente maggiore del legno, anche quello più stagionato, ed essendo un gas, reagisce con l'ossigeno dell'aria in modo molto efficiente, senza l'inevitabile formazione di grandi quantita di sotto prodotti, caratteristica di tutti i combustibili solidi, legna compresa. Questi e altri dati, che vedremo meglio nei prossimi post, sfatano il mito delle biomasse come combustibili puliti. Per il momento si conferma la nostra ipotesi che nelle comunità montane non ancora servite dal metano, il miglior sistema di riscaldamento in grado di minimizzare le emissioni inquinanti siano impianti alimentati a pellet di legno. Nel resto del Paese, servito da metano, se si ricorre alla legna e agli stessi pellet per riscaldarsi occorre mettere in conto il pesante peggioramento della qualità dell'aria dovuto a questa scelta e il corrispondente aumento di rischi per la salute. In Italia , come in Danimarca si passa al legno perchè costa di meno. Un governo attento agli interessi della comunità dovrebbe valutare se non sia il caso di togliere dal metano il peso di tasse e accise varie, in modo da ridurre l'attuale vantaggio economico del legname, a tutela della salute pubblica. |
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