lunedì 3 giugno 2013
incidente nuclerare Cernobyl il 60% degli evacuati di Prypiat il 27 aprile è già morto
UCRAINA: IL 60% DEGLI ABITANTI EVACUATI DI PRYPIAT IL 27 APRILE 1986 SAREBBERO GIA' DECEDUTI
Traduzione di ProgettoHumus da Gen4.fr
http://www.progettohumus.it/public/forum/index.php?topic=2109
Secondo Tamara Krasitskaya, presidente della ONG "Associazione dei sopravvissuti di Chernobyl", solo 19.000 abitanti dei 44.000 evacuati in tutta fretta il 27 aprile 1986, dopo l'esplosione del reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl, sarebbero ancora vivi al giorno d’oggi, mentre statisticamente dovrebbero essere almeno il 50% in più.
Pripyat, a 4 km da Chernobyl, 27 aprile 1986
La città di Pripyat era il centro della vita della centrale “Lenin” di Chernobyl, un sito smisurato che occupava circa 10.000 lavoratori; la città aveva esattamente 49.360 abitanti al momento del disastro, di cui circa 44.000 furono evacuati in poche ore la mattina del 27 aprile 1986, 30 ore dopo l'incidente.
Questi abitanti furono indirizzati verso la città di Kiev, un agglomerato di 3 milioni di abitanti situato ad un centinaio di chilometri più a sud, una evacuazione che non li avrebbe messi completamente al riparo da ulteriori irradiazioni e contaminazioni, dal momento che l'acqua potabile erogata alla città attraverso una diga situata tra le due città era stata essa stessa contaminata nel 1986, in un valore che va da diverse centinaia a diverse migliaia di becquerel di Cesio137 per litro.
1: città di Pripiat; 2: città di Kiev; 3: diga artificiale “di Kiev” (così denominata)
Una stima dosimetrica grossolana calcola la dose assorbita ricevuta da ciascun residente al momento dell’evacuazione in circa 40-50 Rads ossia 0,5 Gy o ancora ad una equivalenza di dose efficace di 0,5 Sv di radiazione gamma. La dose equivalente alla tiroide era probabilmente a quel momento superiore a 10 Sv e le compresse di iodio stabile erano state distribuite troppo tardi.
19.000 superstiti su 44.000 evacuati
Secondo la signora Krasitskaya, che faceva parte degli sfollati di Pripyat, solo il 45% della popolazione evacuata sarebbe ancora in vita ai giorni nostri, il che significa circa 19.000 superstiti su un campione iniziale di 44.000 persone.
In normali condizioni sanitarie e sociali, e secondo una stima molto approssimativa , il numero di sopravvissuti su un campione di popolazione simile dovrebbe fissarsi in circa 30.000.
Mortalità in Russia dopo il 1986: circa 13/1000 per anno equivalenti a350/1000 per 27 anni
I superstiti di età superiore ai 40 anni sono rari
Inoltre, secondo la signora Krasitskaya, i superstiti della città maledetta di Pripyat di età superiore ai 40 anni sarebbero molto pochi, mentre l'aspettativa di vita media di un ucraino “non esposto” al fallout di Chernobyl si situa all’incirca sui 70 anni, per un'età media di circa 40.
L'aspetto sociologico del ricollocamento della popolazione rispetto al tasso di mortalità
Ovviamente, è possibile anche evocare i fenomeni di mortalità non legati direttamente alla radioattività; ne dobbiamo tenere in conto cercando di anticipare le obiezioni che sicuramente ci saranno: sappiamo così che a Fukushima, circa 600 persone (per lo più anziani, malati o non autosufficienti) sarebbero decedute prematuramente in seguito all'evacuazione effettuata nel marzo 2011.
Su una popolazione di 160.000 sfollati e durante un periodo di due anni, l'inclusione degli aspetti "sociologici" correlati alle evacuazioni non supera i 2/1000 casi per anno: il conto non è semplice!
Nient’altro che una testimonianza fra le altre, ma un migliaio di oneste testimonianze non vale una dozzina di studi scientifici contrastanti?
Certo, mi direte voi, non si tratta che della sola testimonianza della signora Tamara Krasitskaya, presidente dell'associazione Zemlyaki (Organizzazione Sociale dei rifugiati di Chernobyl). Certo, non si tratta di uno studio epidemiologico in regola con le sue tante referenze indiscutibili e la sua freddezza scientifica, di fatto e crudele.
Tuttavia, questa testimonianza deve essere ripresa e diffusa perchè corrisponde probabilmente all’intimità di quanto provato da questa testimone diretta di una delle principali catastrofi del mondo moderno; lontano dai dibattiti tecnici, questo approccio umano e sincero non può essere rigettato semplicemente per il motivo che si allontana dai "criteri obiettivi", sui quali "si" vorrebbero (vi lascio apprezzare che si nasconde dietro il "si") allineare tutti i nostri dibattiti.
Abbiamo una speranza: se non è in occasione di una di queste catastrofi nucleari, sarà in occasione di una successiva; le opportunità per rilanciare il dibattito nucleare non spariranno dunque tanto velocemente, al prezzo elevato da alcune migliaia ad alcuni milioni di vittime dirette ed indirette.
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