domenica 7 giugno 2015

Veleno bianco latte, tombaroli d’annata e comunisti da museo DAGLI SCARTI DELLA SOLVAY DI ROSIGNANO AGLI ETRUSCHI DI TARQUINIA PASSANDO PER L’ALTOFORNO MUTO DI PIOMBINO

LA QUINTA TAPPA VIA DA LIVORNO, SI SCENDE: PINI E MARE CHE SEMBRA TROPICI MA È CARBONATO DI SODIO. POI ANCORA GIÙ, FINO A OMERO diAntonello Caporale
Questo diario è una piccola indagine itinerante e illustrata di come gli italiani custodiscono, cambiano o sfasciano l’I ta l i a . . . (Puntate già pubblicate il 7, l’11, il 21 e il 29 aprile)
Appena usciti da Livorno, città regina delcaciucco edel co- munismo italiano costretta dalla noia e dagli acciacchi dell’età (clientelismo, piccoli e grandi affari in cooperati- va) alle cure dei grillini, una curva apre la salita verso il monastero delle suore di clausura di Santa Teresa. Il contrasto tra l’ex rosso antico e il bianco candido condurrebbe fuori strada. I livornesiateihanno sempreconsideratoilpre- sidio della fede come un segno e un bisogno. Chifarebbe ameno dellepreghiere? Irapporti sono sempre stati di buon vicinato e gli affari della terra non sono mai stati mischiati all’al - dilà. Il convento è su un promontorio nei pressi di Antignano, superate le ville liberty che guar- dano al mar Tirreno. Il sole, il mare, la villeg- giatura familiare, benpensante e benestante hanno una sede elettiva: Castiglioncello. È l’idea - magari falsa - che offre la sua urbani- stica,il rettangolodicasetteordinato ecurato, apparente ritiro per dirigenti d’azienda, presidi in pensione, notai annoiati di provincia. “Sì, la sabbia è inquinata, ma ci abbiamo fatto il callo” Ma la falsità, nel senso della assoluta distanza che separa l’apparenza dalla realtà, giunge qual- che chilometro più avanti, a Rosignano. Case quadrate diuna edilizia popolaredignitosa ap- paiono d’improvviso sotto grandi pini marit- timi aibordi dell’Aurelia. Sonoabitazioni ope- raie che sembrano al servizio della ciminiera della Solvay. Qui, se abbiamo capito bene, do- vrebbe risiedere il capitale umano, le braccia e le menti che assistono l’impianto, posto dall’altro lato della strada. La fabbrica dà il suo volto al sole, non soltanto guarda il mare ma lo irrora del suo sangue, bianco come il latte. La Solvay produce oltre il carbonato di sodio, acqua os- sigenata, polietilene, cloruro di calcio e acido cloridrico. È un fiume bianco che va dritto nel mare, uc- cidendolo. Però, ed è questa una virtù incom- parabilepernoiumani abituatiasaziarcidella sola apparenza, il liquame sembra appunto latte e dona alla spiaggia il biancore delle sabbie tro- picali e al mare quelle trasparenze cromatiche da sogno. La modernità è riuscita a prendere per i fondelli la natura, e così la spiaggia av- velenata per via del progresso e del lavoro si è trasfigurata in una quinta del paradiso, perfetta peri setpubblicitarichedevono produrresolo uneffetto ottico.Negli annialmenoi fanghial mercurio,gli scarichipiùacutie diserbantiso- no stati bloccati. C’è però altro di strabiliante: la gente vuole bene a questo pezzo di mare am- malato, unodei quindicisiti marinipiù inqui- nati del Mediterraneo. E viene persino a ba- gnarsi. Si struscia, cammina, corre, s’annoia e si innamora su queste spiagge bianche. Oppure passeggia, come le due signore di mezza età che appaiono al tramonto: “È bello venire a fare una camminata qui, è molto rilassante. Sì, sappiamo che la sabbia è inquinata, ma ci abbiamo fatto il callo”, diceMarica, allungando il passocon un sorriso. Due ragazzi ciondolano felici: “Si sa che non sipuò fare il bagno,però a volte siva den- tro”. Un cane conduce il suo padrone, un uomo in età avanzata, verso questa seduta di aerosol chimico. “Cosa vuole che le dica?”. Stupisce lo stupore, la completa adesione all’idea che l’apparenza alla fine in qualche mo- do faccia premio sulla realtà. In effetti è un trat- to comune degli italiani. Abbiamo persino so- gnato con Silvio Berlusconi, felici di ascoltare le
sue promesse e le sue verità ancorché fossero di plastica. Sapevamo tutto, ma abbiamo finto. Ed oggi, con Matteo Renzi, subiamo lo stesso fascino della verità apparente, approssimata, difettosa. “È come il metadone”, ha detto di lui, velenoso come le acquebianche diquesta incipienteMaremma, Enrico Letta propendendo per l'idea ancora più cruenta che in effetti Renzi non sia altro che un allucinogeno, un ciuffo ricavato dalle famiglie pe- santi delle droghe che storpiano la vista e alla fine aggravano la vita. Si può dire che le spiagge bianche sono il luogo geografico dell'allucinazione. Ci sembra di essere ai Caraibi invece siamo accomodati dietro il pen- none di un’industria chimica. Quel che appare pulito è sporco, il bianco in realtà è nero. Anche il comune di Rosignano ha scelto con tatto le parole da usare per l'avvertenza d'obbligo a noi ospiti che ci accingiamo a calcare una sabbia a rischio. E l'ha presaalla lontana,facendociarrivare condiscre- zione alla foce dello scarico chimico. Una funi- cella rossa delimita il ristretto perimetro dell'area no limits, come a rendere plausibile che spostan- dosi ditre metriil carbonatoe glialtri agentichi- mici cessino di proporre la loro essenza. Leggia- mo il cartello del divieto di balneazione: “Le acque antistanti allaspiaggia sono sottopostea regolari controlli (…) Ricordiamo però che il colore della sua sabbia e la sua consistenza si sono determinati nel corso degli anni, con il progressivo deposito di materiali, in particolare carbonato di calcio, de- rivanti dagli scarti dello stabilimento chimico re- trostante (…) Il tratto del litorale che va da 100 metria suda100 metria norddelfosso biancoè
invece interdetto alla balneazione”. È un lessico meraviglioso col quale il comune di Rosignano dice e nega, avanza e arretra, prospetta ma contempla. È un monumento all’ipocrisia, il desiderio di non vedere e di non sentire. Di far finta insomma che queste spiagge siano bianche per davvero, e super controllate. Magari nel mare c’è anche la barriera corallina. Un tuffo dove l'ac- qua è più blu? Nostalgia di fabbrica e la fede scomparsa Ea Piombino,più asud,il controsensotra lene- cessità delle fabbriche e quelledella natura, le ri- chieste del lavoro e i bisogni della salute, si af- frontano e si maledicono. L’altoforno è spento, le acciaierie mute, gli operai in cassa integrazione, o disoccupati o pre-pensionati. “E l’aria è buona, gli occhinon bruciano,lapellenon arrossisce,però come posso dirti... il mio cuore è lì dentro e non passa giorno che non mi faccia una capatina per vedere la fabbrica, la mia fabbrica”. Ennio Ful- cheri ha ormai 75 anni e più di trenta li ha passati davanti alle bocche di fuoco. Si stava meglio quan- do l'aria puzzava dice oggi nella piazza principale della città, intitolata –non a caso - ad Antonio Gramsci. Piombino è stata rossa nella ragione e nel sentimento, non c’è mai stato cambio di sta- gione.Fino aquandol’altoforno funzionavaqua si era comunisti, perchè la vita sociale e quella in- dividuale erano organizzate secondo una regola e una costante.Si andavatutti insiemeal lavoro,si guadagnava tutti, si votava tutti per quel partito. E
ora? “Niente, ora c’è disperazione e disillusione. Chissà se la ricomprano la fabbrica e comunque qui è scomparsa la fede nel partito. Se proprio vuoi trovarequalche comunistabisogna chelo cerchi in una casa del popolo”. Mi accompa- gneresti? “Ma sì –dice Ennio –andiamo al Cu- tone, il quartiere operaio lì ce n’è ancora tanti”. Andiamo al circolo dell'Arci, la casa del popolo ex operaio. C’èla bandiera rossa eci sono loro: uomini e donne anziani, dai sessanta in su, non- ni che si ritrovano. “Facciamo sempre qualco- sina per stare assieme –dice Enrico –Stasera si cena qui. Si beve, si parla, si ricorda”.“Ma tu sei Ennio?”, il nostro accompagnatore incontra un vecchio amico. Trafficava in preziosi, “ti ricordi del viaggio che abbiamo fatto in Bangladesh?”. “Certo che sì. Quanti anni fa?”. E' un circolo di veterani, un piccolo mondo an- tico chiuso a chiave dietro la fabbrica spenta. Comunisti da museo. “Tutto rigorosamente falso ma rigorosamente autentico” I lavori in corso sull'ultimo tratto dell’Aurelia spiegano che siamo ai confini con il Lazio e il cantiere è uno di quelli sottoposti allo scrutinio di Ercole Incalza, il superburocrate ministeriale finito inmanette. Invecedi avanzareverso Ci- vitavecchia sospendiamo il passo e voltiamo a sinistra, ci aspetta la splendida Tarquinia. “Io sono na’leggenda, veramente. Dal re di Sve- ziaa GiulioAndreottituttisono passatidame. Mi chiamo Omero, e sono l'ultimo etrusco. Da solo ho scavato circa duemila tombe, poi i ca- sini, i carabinieri. Sono stato anche in carcere. Trent'anni fa ho scelto di cambiare vita. Ho creato Etruscopolis: anfore, vasi, tombe create da me. Tutto rigorosamente falso ma rigoro- samente autentico. Non ci sono mani migliori delle mie”. La storia di Omero, cavatombe a perdifiato, ne- goziatore di reliquie, venditore illegale di reper- ti archeologici è coerente all’idea che l’uomo più di ogni altra cosa abbia bisogno della fin- zione per essere al passo con la necessità dei tempi: apparire. “Quando ho chiuso il ciclo de- gli scavi (e sapessi quanti sordi ho fatto!) ho im- maginato di poter andare avanti in un altro mo- do. Hocomprato questospazio sottoterra,mi- gliaia e miglia di metri quadrati avvolti nel tufo, e mi sono creato il mio museo personale. Si en- tra, si paga il biglietto (mia figlia pensa a tutto) e si visitano le tombe dipinte, tutte create da me, oppure si ammirano i vasi etruschi che realizzo al laboratorio. Sono pezziunici, grazie alle mie mani riesco a riprodurne in perfetta linea con gli originali. La gente guarda e compra. I miei clienti sono stati i più ricchi del mondo, gente potente, professori universitari, archeologi, po- litici. Anche Andreotti, anche Arafat, anche Gustavo di Svezia. Bei tempi, eh? Ora la merce è cambiata,va dimodail falsostorico,ma igusti raffinati sono rimasti uguali: vedi quell’anfora? Diecimila euro ed è tua”. (5- Continua) il fatto quotidiano 7 giugno 2015

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