giovedì 22 maggio 2014

Biogas, se l'energia fa terra bruciata


In Lombardia ci sono 374 impianti a biogas. La legge li chiama agricoli, ma per l'ambiente potrebbero rappresentare una minaccia. I biomassisti corrispondono agli enti delle «compensazioni ambientali».

di Adele Grossi info@reportime.it


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Manifestazioni, scontri, maiali a Montecitorio. In piazza in queste settimane ci sono anche gli agricoltori a rivendicare attenzione e diritti.Il forcone, per qualcuno, è solo lo strumento che vorrebbe tornare ad imbracciare sulla terra che gli è stata tolta. Ma non è vero che lo Stato sia completamente indifferente: c’è un’agricoltura fiorente che fa comodo a molti.
È quella che produce energia ingerendo colture preziose: si tratta dell’energia da biomasse. Un’industria così promettente che anche tanti degli stessi agricoltori hanno deciso di convertire la propria attività nel biogas, se non altro per resistere alla crisi.
A soffrirne è stato soprattutto il mais (e il made in Italy): non si coltiva più per avere indietro cibo, destinato all’allevamento o all’alimentazione umana, ma il fine è quello di dare il raccolto in pasto agli impianti. Quello che poi ci serve per la nutrizione lo importiamo.
Non doveva andare così ma, a forza di incentivi erogati dallo Stato, dalle Regioni e dall’Europa, qualcosa è sfuggita di mano.
Anche molte grosse società hanno fiutato l’affare, così che il prezzo dell’affitto dei terreni è cresciuto del 50%. Soprattutto in Lombardia, dove nel 2013 si contano 374 impianti su un totale di 994 sparsi nel Paese. Qui mettere in piedi una centrale è particolarmente semplice. L’autorizzazione è rilasciata dalle province: solo nel cremonese, ci sono 190 impianti. A Cavernago, Bergamo, ne sono sorti 5 nel giro di 7 km quadrati, l’ultimo dei quali costruito in pieno centro abitato, senza tener conto delle ripercussioni ambientali e nemmeno del piano regolatore.
Sembra sia del tutto ignorato il fatto che, pur producendo energia pulita, anche queste centrali sono fonti di emissioni inquinanti. Per gli impianti sotto il megawatt non è prevista una valutazione di impatto ambientale, mentre davanti all’autorizzazione, che vale per 15 anni, il Piano del Governo del Territorio (PGT) si intende automaticamente modificato.
A mettere un freno dovevano pensarci le Regioni, emanando le linee guida che avrebbero dovuto stabilire in quali aree non si sarebbe dovuto costruire, ma la Lombardia ha dimenticato l’incombenza. D’altra parte, le norme prevedono delle ‘compensazioni ambientali’, una sorta di ristoro che i biomassisti corrispondono agli enti.
Tutto per l’energia pulita. Anche il grano malato se serve: ad esempio trecentocinquantamila tonnellate di mais sparse tra Emilia, Lombardia e Veneto, e risultate contaminate da aflatossine, microtossine cancerogene, quest’anno, sono andate al biogas. Interi raccolti sarebbero andati altrimenti perduti, lasciando gli impianti a corto di materia prima e gli impiantisti a corto di incentivi.
Alcuni deputati, tra cui l’attuale Assessore all’Agricoltura della Regione Lombardia Giovanni Fava, nel 2012 presentarono una mozione per chiedere al Governo di rendere un po’ più tolleranti le norme che stabiliscono i limiti massimi consentiti di aflatossine presenti nel mais. La mozione fu bocciata, ma Lombardia, Emilia Romagna e Veneto decisero comunque di utilizzare il mais contaminato nei digestori. Al Pirellone, qualcuno chiese lumi. La Regione rispose brandendo il via libera del ministero della Salute: il mais contaminato poteva andare al biogas se l’autorità competente avesse dato l’ok. Abbiamo chiesto all’Assessore Fava se l’autorità competente in questione fosse stata consultata e quale parere avesse espresso, ma l’Assessore ci ha risposto che non ricorda.
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