martedì 27 maggio 2014

L’amico "Corrado", ai tempi dell'Ilva, da che parte stava? L'arresto dell'ex Ministro Clini

determinante e discusso anche nella vicenda Ilva. Propose lo spostamento del quartiere più esposto all'inquinamento. 

di Sabrina Giannini


L’amico “Corrado” era Clini? Allora ministro dell’Ambiente, Clini rifiutò con sdegno di essere “quel Corrado, un nostro uomo” evocato da un manager dell’Ilva nel corso di una presunta intercettazione telefonica che sarebbe stata registrata dalla Guardia di Finanza per conto dei magistrati tarantini.
Non si è ancora capito che fine abbia fatto la registrazione integrale di quella intercettazione, forse e come spesso accade quando il re perde la corona, affiorerà all’improvviso aggiungendo (o forse togliendo) un tassello del puzzle ancora incompleto che ha portato a uno dei disastri ambientali più gravi degli ultimi anni e che ha visto contrapporsi il Gip Todisco ai decreti salva-Ilva, incluso quello firmato nel 2012 dal ministro del governo Monti, Corrado Clini appunto.
Monti lo scelse come tecnico, di certo poco esperto di ambiente avendo una laurea in medicina. Eppure le sue perle di saggezza sembravano derivare da profonda conoscenza del fenomeno, come quando dichiarò che il problema ambientale nasceva dall’imbecillità urbanistica di chi aveva costruito il quartiere Tamburi a ridosso dell’acciaieria. Avesse letto su Wikipedia la storia in breve di Taranto avrebbe appreso che quel quartiere c’era già al tempo dei Romani (quelli con le bighe e non quelli delle auto blu usate anche dai Dg ministeriali come lui), quindi qualche secolo prima che in preda all’ansia di prestazione meridionalista (e relativa questua di voti) i democristiani costruissero un gigante d’argilla, costato alla collettività 32 miliardi di euro in sedici anni solo per ripianare i debiti e, soprattutto, un imprecisato tributo di vite umane.
Clini, da due giorni agli arresti domiciliari per la presunta accusa di avere sottratto milioni di euro dalle casse pubbliche, avrà tempo per colmare le sue lacune in storia e comprendere anche quale altra perla ci ha donato quando aveva proposto come soluzione per Taranto lo spostamento del quartiere sfortunato. Una sorta di deportazione di massa che avrebbe risolto il problema. Che ovviamente non era l’acciaieria e la gestione criminale dei dirigenti dell’Italsider prima e dei Riva poi, consapevoli che ogni centesimo risparmiato per il risanamento degli impianti avrebbe minato la salute degli operai e dei cittadini (almeno otto miliardi di euro risparmiati dai Riva secondo gli esperti del Gip Todisco, due dei quali trafugati nei paradisi fiscali secondo i magistrati milanesi: si veda a proposito l’inchiesta su Report “Patto d’acciaio”.)
Ma se un dirigente di carriera come Clini guadagna trecentomila euro l’anno una ragione ci sarà. Il
Wikileaks - Italian reaction to President Bush's new climate change initiative
Wikileaks - Italian reaction to President Bush's new climate change initiative
“servitore dello Stato” Corrado sarebbe stato «un architetto chiave del ponte tra gli Stati Uniti e l’Europa in materia di cambiamenti climatici negli anni del governo Berlusconi (2001-2006)», come scrive l’ambasciatore Ronald Spogli nelle sue comunicazioni riservate con il Dipartimento di Stato, pubblicate da WikiLeaks. “Il nostro migliore amico al ministero dell’Ambiente” sarebbe stato proprio Corrado Clini percepito dagli americani come un aiuto in un momento critico per Bush, isolato per avere scelto di non aderire al Protocollo di Kyoto con lo scopo di non penalizzare le industrie inquinanti
Da dirigente “esperto” in questioni climatiche Clini nell’ottobre del 2012 entra nella squadra di Monti e firma il primo decreto salva-Ilva con il quale si mettono alla porta i custodi nominati dal tribunale restituendo così la gestione dello stabilimento ai Riva e al loro presidente Bruno Ferrante, il quale, forte dello scudo del decreto, ha continuato a produrre acciaio in deroga a numerose norme ambientali senza attivare il risanamento come avrebbe dovuto.
Mentre i Riva spostavano i loro soldi in passaggi societari inestricabili in Lussemburgo, l’Ilva di Monti-Clini-Ferrante “tutelava” i polmoni dei cittadini del quartiere Tamburi (in attesa della deportazione) recintando lo stabilimento con le reti usate per la raccolte delle olive varietà leccino che, secondo l’”esperto” Clini, avrebbero potuto trattenere le polveri inquinanti che si sollevano insieme ai minerali. A corredo della farsa furono acquistati otto cannoni nebulizzatori che per mesi non hanno funzionato (per fortuna, perché avrebbero fatto più danni che altro).
L’effetto di quel decreto fu devastante e ancora oggi Taranto ne paga le conseguenze. Il commissario Bondi voluto da Letta non ha trovato i soldi per risanare né per riqualificare l’acciaio sempre meno appetibile perché l’azienda è poco affidabile per la qualità della materia prima. Il mercato non perdona. La Corte Costituzionale aveva restituito all’azienda la facoltà d’uso a patto che risanasse e così non è stato. La Procura, incredibilmente, non ha più agito contro i trasgressori e il recente decreto del governo Renzi ha ormai azzerato quell’obbligo. Il piano ambientale è stato rivisto da Bondi, sono stati tolti i vincoli, annullate le prescrizioni e rinviati sine die i termini per eseguire gli interventi.
Oggi non resta che quel monumento alla finzione che si è voluto erigere a disprezzo dell’intelligenza umana: le reti per le olive che non proteggono i polmoni dei bambini dei Tamburi. Il diritto alla salute di quei bambini, di tutti gli abitanti dei Tamburi, è annientato dalle leggi “speciali” redatte dagli “esperti” dei ministeri e da Bondi, un chimico risanatore di finanze che ha clamorosamente fallito perfino nella sua pratica: quella di chiedere soldi alle banche.
I veri esperti che avrebbero tutelato e pianificato un risanamento graduale e,
parallelamente, garantito la produzione a rigor di legge, potevano essere i tre custodi giudiziari nominati dal giudice Patrizia Todisco. Oltre a stimare gli interventi necessari per eliminare le “emissioni inquinanti” definendone i costi in 8 miliardi di euro, avevano anche definito un piano di recupero preciso e dettagliato. Centinaia di pagine, sintesi delle centinaia di ore passate a studiare camini, impianti, filtri, emissioni e quindi soluzioni. Tutto già fatto, bastava applicarlo.
Ma Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, in un’intervista definisce i tre custodi nominati dal Gip Todisco “tre ragazzi che accusano Riva di aver sottratto 8 miliardi di profitti all’ambiente, giudizio però bocciato dalla Cassazione.” I “tre ragazzi” sono gli ingegneri industriali tecnici dell’Arpa coordinati da Barbara Valenzano, dirigente con specializzazione in impianti chimici di processo, massimo titolo conseguibile quale qualificazione professionale, che nel frattempo si sarebbe rivolta a un avvocato per querelare Gozzi. Il quale forse non sa che la Cassazione ha annullato il provvedimento del Gip con motivazioni legate alla procedura di sequestro e non per le modalità con cui è stato redatto il Piano di interventi necessari per risanare l’Ilva, tanto che lo stesso Bondi l’avrebbe ricalcato, fatta eccezione per la copertura dei parchi minerari.
Peccato che i soldi dei Riva siano blindati sotto sequestro a Milano e non utilizzabili per lo scopo del risanamento, a meno che non siano loro ad autorizzarlo. Ovviamente se avessero avuto lo spessore degli industriali illuminati non avrebbero trasformato l’Ilva in uno degli esempi di inciviltà industriale di cui possiamo solo vergognarci. Anche a causa delle protezioni istituzionali e degli aiuti dei governi. Ministri salva-Ilva inclusi. Tra questi anche Clini. L’esperto Clini. Verso il quale Gozzi non ha mai proferito cattive parole. Sarà perché Clini è amico di tutti?
© RIPRODUZIONE RISERVATA http://www.corriere.it/inchieste/reportime/ambiente/amico-corrado-tempi-ilva-che-parte-stava/1a0ad176-e56e-11e3-8e3e-8f5de4ddd12f.shtml

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