I SIGNORI DELLA SIDERURGIA IN
SOCCORSO DEI RIVA STRINGONO D’ASSEDIO BOND
FINE
DI UN’EPOCA
Da
Arvedi a Duferco
a
Marcegaglia,
i
gruppi concorrenti
premono
sul governo
per
ipotecare il futuro
dello
stabilimento
di
Salvatore
Cannavò
Arischiarare
i giorni bui dell’Ilva di Taranto
sembrano
esserci solo le sentenze. In grado
di
chiarire cosa è stata la fabbrica e di fare giustizia.
Ieri
è giunta quella, in primo grado, relativa
alle
morti causate dall’amianto sia durante il periodo
gestito
dall’Italsider che quello dell’Ilva. Il
giudice
monocratico ha effettuato 27 condanne
comminando
il massimo della pena, 9 anni e mezzo,
all’ex
direttore dell’Italsider Sergio Noce. Ha
invece
avuto 8 anni di reclusione Giorgio Zappa,
ex
direttore generale di Finmeccanica, mentre è
stato
dichiarato il non doversi procedere per l’ex
patron,
Emilio Riva. Suo figlio Fabio, e l’ex direttore
dello
stabilimento di Taranto, Luigi Capogrosso
sono
stati condannati a 6 anni. L’unico
politico
a salutare la sentenza positivamente è stato
il
portavoce dei Verdi, Angelo Bonelli, che ieri
sera
ha chiuso, non casualmente, la campagna
elettorale
al quartiere Tamburi di Taranto. Tra i
condannati,
a otto anni, c’è però anche Piero Nardi,
all’epoca
dirigente Italsider e oggi commissario
straordinario
della Lucchini di Piombino, dove
qualche
giorno fa è stato chiuso l’altoforno. Ed
è
Nardi che funge da trait
d’union tra
le sentenze e i
rapporti
burrascosi ormai esistenti tra la famiglia
Riva
e il commissario governativo Enrico Bondi.
Ieri
mattina, infatti, si è svolto un incontro in cui il
Commissario
dell’Ilva ha illustrato
agli
attuali proprietari il
nuovo
piano industriale. Incontro
che
sembra essere finito male:
“Daremo
le nostre risposte
lunedì”
ha detto Claudio Riva.
La
tensione riguarda il futuro
dello
stabilimento che perde circa
70
milioni al mese e in cui si va
avanti
con i contratti di solidarietà.
Secondo
fonti sindacali,
sembra
anche che l’azienda non
sia
in grado di effettuare i dovuti
versamenti
Inps e di pagare i
fornitori.
ENRICO
BONDI era stato
chiamato all’Ilva per i
suoi
legami con il mondo bancario, ma si è via via
distanziato
dalla famiglia Riva fino a quando il piano
di
risanamento ambientale approvato dal governo
lo
scorso mese gli ha imposto un nuovo piano
industriale
nel quale è previsto un aumento di
capitale
di 1,8 miliardi.
La
ricapitalizzazione dell’azienda significherebbe
o
un maggior impegno o la diluizione della proprietà
dei
Riva che, però, non hanno alcuna intenzione
di
abbandonare quella che per anni è stata
una
gallina dalle uova d’oro. Il problema è esploso
soprattutto
quando Bondi ha ipotizzato l’idea
che
per sostenere l’aumento di capitale si potessero
utilizzare
i fondi sequestrati alla famiglia dalla
procura
di Milano, circa 1,9 miliardi, ipotesi che è
stata
vista quasi come un “esproprio”.
Il
vero fatto nuovo è la poderosa discesa in campo
di
tutta l’acciaieria italiana a difesa dei Riva contro
Bondi.
È avvenuto a inizio di settimana in occasione
dell’assemblea
annuale di Federacciai dove il
presidente,
Antonio Gozzi, si è scagliato duramente
contro
Bondi accusato di “proporre improbabili
piani
industriali” e di portare l’Ilva “al collasso”
e
chiedendo al governo di “voltare pagina”.
Gli
industriali dell’acciaio, quindi, hanno fatto
quadrato
attorno a uno di loro, difendendone i
“legittimi
interessi proprietari”. Si farebbe strada
l’ipotesi
di una cordata, comprensiva di italiani
come
Arvedi, Duferco e Marcegaglia ma anche
degli
indiani della Mittel, che affianchi i Riva. Ma
la
condizione posta a Renzi è che Bondi sia fatto
fuori
(il suo mandato scade il 4 giugno). Sembra
che
nei giorni scorsi ci siano state numerose pressioni
sul
ministro dello Sviluppo economico, Federica
Guidi,
per fare spazio a un altro commissario.
E
QUI ENTRA IN SCENA NARDI. Il
suo curriculum
nel
mondo dell’acciaio è di tutto rispetto e,
secondo
gli ambienti sindacali, anche i suoi rapporti
con
i signori dell’acciaio. Piero Nardi vanta
anche
ottimi rapporti con gli uomini che, al ministero
dello
Sviluppo economico hanno finora
gestito
l’acciaio, come il viceministro Claudio De
Vincenti.
Ma la sua condanna in primo grado dovrebbe
costituire
un impedimento alla nomina a
commissario
Ilva anche se in Italia non è mai detto.
A
esprimere grande preoccupazione per quanto
accade
a Taranto, e non solo, ieri sono state
Fiom,
Fim e Uilm che, unitariamente, hanno tenuto
un
convegno nazionale e licenziato un documento
comune.
La richiesta a Renzi e al governo
è
di dotarsi di una strategia istituendo un Tavolo
per
la siderurgia. Maurizio Landini (Fiom) chiede
un
“intervento transitorio” dello Stato per sostenere,
di
fatto, un’Ilva senza più i Riva.
il fatto quotidiano 24 maggio 2014
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