La procura ha aperto un altro filone d’inchiesta sul sistema del «Supremo» Bollette salate per i cittadini nonostante l’immondizia non venisse trattata
Il copione è lo stesso: i rifiuti pur essendo trasformati in speciali, invece di essere portati nei termovalorizzatori finivano direttamente nella discarica di Malagrotta, consentendo un guadagno extra sulle già alte tariffe pattuite con gli enti. Questa volta, però, nell’ipotizzata truffa del «Supremo» Manlio Cerroni, sarebbe finito anche il Comune di Roma Capitale. Il filone d’indagine si annuncia esplosivo e a breve potrebbe riservare delle sorprese. Perché la maxi inchiesta sul «sistema rifiuti» è solo in parte destinata alla chiusura e alla successiva richiesta di rinvio a giudizio. Ci sono una serie di tronconi investigativi sui quali il procuratore capo Giuseppe Pignatone e il sostituto Alberto Galanti stanno lavorando.
IL SISTEMA TARIFFE
Tra questi figura proprio il meccanismo delle tariffe sui rifiuti. Lo spaccato è lo stesso emerso per l’ipotizzata truffa ai danni dei comuni di Albano Laziale, Ardea, Ariccia, Castel Gandolfo, Genzano, Lanuvio, Marino, Nemi, Pomezia e Rocca di Papa. I rifiuti di questi enti locali, secondo appalto, sarebbero dovuti diventare Cdr (Combustibile da rifiuto) dopo il trattamento negli impianti di Tmb (Trattamento meccanico biologico). In realtà, questo non sarebbe avvenuto, al punto che i rifiuti speciali finivano direttamente nella discarica di Malagrotta. A parte le indagini dei carabinieri della Tutela ambiente, che hanno svelato l’architettura di questa truffa, i periti della Procura hanno quantificato il presunto danno. È emerso, infatti, come il sodalizio capeggiato da Cerroni abbia indotto in errore le amministrazioni comunali, «conseguendo nel periodo dal 2006 al 2012 un ingiusto profitto patrimoniale pari a euro 10 milioni 900mila, di cui 4 milioni 902mila 507 per il minor avviamento al termovalorizzatore (i Cdr devono finire in questi impianti e non nelle discariche in quanto è un rifiuto speciale)». Oltre a questo, i magistrati contestano anche «un aumento unilaterale delle tariffe per l’avviamento alla termovalorizzazione» dei rifiuti, «per 5 milioni 998mila 403 euro e 5 milioni 998mila 403».
LA CAPITALE D’ITALIA
Così, anche la Capitale d’Italia sarebbe finita in questo supposto meccanismo: pagare un servizio che, in realtà, non riceveva. Ma andiamo con ordine, partendo proprio dall’analisi dell’insediamento industriale di Malagrotta - contenuta nel maxi incartamento investigativo - che gestisce i rifiuti prodotti a Roma, Città del Vaticano, Ciampino e Fiumicino. «Questo - è annotato - risulta essere il complesso impiantistico più significativo della holding, ovvero quello storicamente riferibile a Manlio Cerroni. In quest’area operano diverse imprese controllate dall’anziano imprenditore. Qui insistono: una stazione di trasferenza, una discarica per Rsu (Rifiuti solidi urbani) e rifiuti speciali non pericolosi, due impianti di Tmb (detti Malagrotta1 e Malagrotta2, ndr ), un gassificatore, altre strutture a corollario dell’intero ciclo tecnologico». La discarica «è gestita dalla società E.Giovi srl, così come i due impianti di Tmb. L’autorizzazione del gassificatore è in capo al Colari (di proprietà di Cerroni, ndr)».
IL PASSAGGIO DI DENARO
Secondo quanto scrivono gli investigatori negli atti, «va necessariamente evidenziato il fatto che i diversi impianti vengono gestiti da differenti soggetti giuridici per cui si determina, a fronte di uno spostamento di materiali e di servizi, un conseguente passaggio di somme di denaro da un’impresa a un’altra, anche se queste appartengono al medesimo gruppo societario. Il modello utilizzato a Malagrotta prevede la concentrazione in un’unica area di molteplici attività interconnesse. Quest’impostazione, secondo la quale i rifiuti transitano tra impianti limitrofi gestiti da aziende riconducibili alla medesima holding, è stato riprodotto o è in via di riproduzione negli atri insediamenti (Viterbo, Guidonia, Albano Laziale, Latina). Non solo - concludono gli investigatori - Allo stato, secondo gli accertamenti condotti nel tempo, risultano esservi trasferimenti di rifiuti anche tra impianti appartenenti diversi gruppi imprenditoriali. È il caso dei rifiuti prodotti negli impianti dell’Ama e successivamente depositati presso la discarica di Malagrotta».
L’AMMISSIONE
Anche nel suo interrogatorio di garanzia, Cerroni ha sostanzialmente ammesso che ci fossero delle problematiche sulle tariffe. Sulle prime afferma che «non faccio il ragioniere», dicendo di non sapere di «sovrafatturazioni» ai comuni. Poi il pm legge un’affermazione di Bruno Landi, suo braccio destro: «Io lo sapevo e lo sapeva pure Rando (Francesco, amministratore di Malagrotta, ndr) che c’era questo problema che dovevamo ridare i soldi ai Comuni, tant’è vero che io consigliai di farlo, ma con un piano di rientro, piano piano, perché altrimenti andavamo in rovina». Così Cerroni cambia versione, dicendo che «Rando…in un conteggio mi pare uno o due comuni, ma per cifre piuttosto irrisorie».
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