giovedì 27 febbraio 2014
Sorgenia, le solite banche in soccorso di De Benedetti (e delle centrali elettriche inquinanti per la società partecipata da Legambiente)
SEMPRE IN PIEDI
La società energetica è
esposta per 1,9 miliardi
Gli istituti, da Unicredit
a Intesa, verso
il comando. Giù i conti
del gruppo Espresso
di Marco Franchi
Le banche corrono in soccorso dell’Ingegnere
per salvare la sua Sorgenia. Secondo quanto
ha rivelato Milano Finanza, infatti, gli istituti di credito
sarebbero disposti a convertire buona parte
dell’esposizione del gruppo energetico – oggi di
proprietà di Cir e partecipato dall'austriaca Verbund
– prendendone così il controllo. L'orientamento
di massima sarebbe emerso da un vertice
tenuto tra tutte le principali banche (Mps, Unicredit,
Intesa Sanpaolo, Ubi, Bpm, Portigon e altre)
alle quali Sorgenia deve rimborsare complessivamente
1,9 miliardi e che sono attualmente
concentrate su una manovra finanziaria da 600
milioni.
LE STESSEbanche, assistite da Rotschild in qualità
di advisor, hanno chiesto alla holding Cir un aumento
di capitale di almeno 200-250 milioni, a
fronte dei 100 che la cassaforte dei De Benedetti è
pronta a mettere sul piatto (considerata anche la
liquidità incassata con il Lodo Mondadori) in
cambio appunto della conversione di 300 dei 600
milioni oggetto della trattativa. I restanti 150 milioni
potrebbero essere stralciati o diventare oggetto
di un prestito convertendo di media-lunga
durata. Lo scenario che sembra profilarsi a questo
punto, è che gli istituti possano convertire il loro
debito in capitale, diventando così prime azioniste
della società. C’è però da capire se Mps, la più
esposta e primo creditore di Sorgenia, sia disposta
ad entrare in un mercato difficile
come quello energetico.
Secondo alcuni analisti, invece, a
De Benedetti converrebbe azzerare
il valore della controllata e
non partecipare alla ricapitalizzazione,
anche perché la quota
in questione è iscritta nel bilancio
della Cir per appena 196 milioni.
Non a caso, del resto, l’az -
zeramento della partecipazione
è stata la strada scelta dal socio
austriaco che si è ritirato dalla
partita svalutando il suo 46% e si
è anche dichiarato indisponibile
a partecipare all’aumento.
Banche e cda si riuniranno lunedì prossimo anche
perché il 5 marzo si terrà il cda decisivo per il futuro
del gruppo che, dopo il blocco delle linee di
credito da parte delle banche, ha un'autonomia finanziaria
limitata, quantificata in circa un mese.
Dalla galassia dell’Ingegnere sono arrivati ieri anche
i conti del gruppo L’Espresso che chiude il
2013 con un utile netto pari a 3,7 milioni di euro, in
netto calo rispetto ai 21,8 milioni
registrati nel 2012. Mentre il fatturato,
sceso in linea con le attese
degli analisti del 12,4% a 711,6
milioni, ha risentito sia del calo
dei ricavi diffusionali del 5,8% a
248 milioni (-10,1% la diffusione
dei quotidiani) sia dei ricavi
pubblicitari del 15,4% a 403 milioni.
Invece i "ricavi diversi" sono
rimasti pressoché stabili a 27
milioni (28,6 milioni nel 2012).
Risultati che impongono una
nuova dieta per gli azionisti: di
fronte al calo dell'utile e dei margini, il cda proporrà
infatti all'assemblea dei soci convocata per il
16 aprile di non distribuire dividendi. Anche il futuro
resta incerto: “Crediamo che la società si stia
preparando per un altro anno difficile con ulteriori
risparmi sui costi, compresi i contratti di solidarietà
e la riduzione dell'organico”, sostengono
gli analisti di Banca Akros. Il fatto quotidiano 27 febbraio 2014
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