sabato 26 ottobre 2013
Così la Campania privatizza l'acqua nonostante il responso del referendum
ADRIANA POLLICE
25.10.2013
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Una legge regionale in discussione viola l'esito del referendum e fa scuola per altri governatori in tutta Italia. Il ministro Zanonato propone di allentare il Patto per gli enti locali che mettono i servizi sul mercato
Il servizio idrico integrato offerto ai privati su un vassoio d'argento: la bozza di legge sul ciclo delle acque campano, dopo l'approvazione della giunta regionale, è all'esame della commissione, manca solo il sì del consiglio per diventare legge. Sulla stessa linea potrebbero essere anche le leggi all'esame in Sicilia, Calabria, Lazio e Liguria, incoraggiate dal ministro Zanonato che propone di allentare il patto di stabilità per gli enti locali che mettono sul mercato i servizi. I comitati per l'acqua pubblica campani hanno chiesto un dibattito in regione con i consiglieri ma Palazzo Santa Lucia è un muro di gomma, così i capigruppo sono stati invitati a un confronto pubblico per il 30 ottobre fuori dal perimetro regionale ma sarà difficile che si presentino.
Dovrebbero spiegare perché i quattro Ambiti territoriali ottimali esistenti secondo il dl dovrebbero diventare tre: l'Ato 2, con Napoli e il suo hinterland più il casertano e un pezzo di salernitano, raccoglierebbe da solo circa 4 milioni di abitanti sui 6 complessivi della Campania. Tre i candidati a gestire il servizio. Emanazione dell'Acea di Caltagirone (da cui è controllata con circa il 37% delle quote), la Gori Spa è nota per il pessimo servizio e le molte assunzioni gradite alla politica. La regione nel 2013 ha messo in campo la «Salva-Gori» per alleggerire il debito di 282 milioni di euro contratto nei confronti dell'ente: 70 milioni sono stati cancellati, i restanti spalmati su 20 anni, i primi dieci senza interessi. L'onorevole Pdl Carlo Sarro, commissario straordinario dell'Ato e avvocato di Nicola Cosentino, ha provveduto ad aumentare ancora le tariffe del gestore Gori del 13,4%, con possibili ulteriori aumenti.
Altro player privato è Acquedotti Scpa controllata da Ottogas Srl dell'imprenditore Luca Rivelli, amico dell'ex presidente della provincia di Napoli, Luigi Cesaro, oggi parlamentare Pdl, grande protagonista delle fortune elettorali di Berlusconi nell'hinterland partenopeo. Ottogas comincia l'ascesa nel casertano per poi gestire le forniture di gas in tutti i comuni dell'area a nord di Napoli. Poi gli affari si sono allargati al servizio idrico. Il risultato? il comune di Quarto, sciolto per infiltrazioni camorristiche, ha recentemente affidato il servizio ad Acquedotti Scpa con una delibera dichiarata illegittima, ma i commissari prefettizi non vogliono sentire ragioni e continuano ad avallare l'affidamento fuori norma. Resta l'Abc, l'azienda speciale pubblica del comune di Napoli: la Regione non le ha ancora dato ufficialmente la gestione (che prosegue in regime di proroga) ma ha inviato un'ingiunzioni per oltre 100 milioni per mancate contribuzioni di oneri relativi alla depurazione, un atto contestato in sede legale ma che da solo, secondo il dl, escluderebbe l'Abc dalla competizione. Il meccanismo è semplice: ogni Ato è diviso in sub-ambiti, dove viene individuato un gestore coordinatore che, alla scadenza degli affidamenti in atto, subentra accentrando il servizio.
Nell'Ato 1 (cioè nelle zone di Benevento e Avellino) insistono le sorgenti che forniscono acqua alla Campania e alla Puglia: la Regione, secondo il testo, riserverebbe a sé le competenze sui grandi acquedotti, che potrebbero poi essere girate ad Acqua Campania Spa, controllata quasi interamente dalla Siba Spa del gruppo francese Veolia e dalla Vianini Spa, con una piccola partecipazione dell'Impregilo, cioè la società responsabile del disastro rifiuti campano. Resta l'Ato 3 a gestire un pezzo del salernitano, evidentemente non abbastanza appetibile per le economie di scala richieste dalle multinazionali.
L'Istituto italiano per gli studi delle politiche ambientali ha presentato ieri uno studio sul dl campano, presenti i Comitati per l'acqua pubblica, che arriva persino a rivelare i meccanismi messi in atto per neutralizzare il dissenso: «Non solo il dl non menziona mai i referendum - spiega l'avvocato Maurizio Montalto - ma soprattutto stabilisce che se l'Ato non approva entro i termini di legge il Piano d'Ambito scattano automaticamente le sanzioni: da un minimo di 10 centesimi a un massimo di 50 a cittadino. Così se arriva in assemblea l'ultimo giorno utile, bloccarne l'applicazione da parte ad esempio dei comitati comporterà per i sindaci l'esborso di una tassa per ogni amministrato. Terrorismo contabile per azzerare il dissenso».
Foto Aleandro Biagianti
http://www.ilmanifesto.it/attualita/notizie/mricN/10048/
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