Ieri a Roma gli “Stati generali sui cambiamenti climatici” in vista della Cop21 di Parigi, la conferenza da cui, a dicembre 2015, dovrebbero saltar fuori gli impegni degli Stati parte del protocollo di Kyoto per una strategia comune di riduzione dei gas climalteranti post 2020.
Sul tema ha acceso i riflettori da qualche giorno l’enciclica papale Laudato si’, “sulla cura della casa comune”. L’evento di ieri, invece, ha messo in luce l’approccio a dir poco contraddittorio con cui la politica discute e decide sul tema.
Partiamo dall’attualità. La crisi ambientale di cui i cambiamenti climatici sono il sintomo su scala globale ha implicazioni economiche e sociali anch’esse senza confini. Ecco cosa hanno a che fare il clima e l’ambiente con la chiusura delle frontiere tedesche e francesi e le immagini dei migranti accampati sugli scogli aVentimiglia o alla stazione Tiburtina a Roma.
Sottrazione di risorse, desertificazione, inquinamento, sconvolgimenti climatici: non ci sono soltanto guerre e persecuzioni politiche tra le cause di migrazione. Lo ha affermato l’International Panel on Climate change, lo ricorda l’enciclica che afferma “è tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali”. Ma, al di là di questo, basterebbe ascoltare le storie di chi arriva nel nostro paese. Il problema è per chi migra a causa di fattori ambientali non esiste a livello internazionale nessuna forma di tutela.
Ecco allora la prima contraddizione. Il ministro francese dell’Ecologia e dello Sviluppo sostenibile, Ségolène Royal, ha ricordato nel suo intervento come i cambiamenti climatici possano essere causa di guerre e migrazioni al pari dell’accaparramento delle risorse. Ha ricordato le 7000 vittime del tifone Yolanda nelle Filippine, il Bangladesh minacciato per un terzo del suo territorio dall’innalzamento del livello dei mari, le miglia di vittime per il caldo killer in India. Il problema è che tutto ciò non ha a che fare con “la sicurezza mondiale”, come ha affermato il ministro francese, ma con la tutela dei diritti umani di chi è costretto a migrare per le conseguenze di un sistema economico e produttivo i cui effetti ambientali sono iniquamente distribuiti e insostenibili.
“Il Sole è alto, fa tanto caldo, dove sono i diritti umani? Dov’è l’umanità?”, lo slogan scandito dai migranti bloccati al confine è un monito troppo poco raccontato.
Gli Stati generali sul clima hanno inoltre fatto emergere quanto sia sempre più difficile conciliare le politiche del governo in materia energetica con gli slogan pronunciati in occasione delle passerelle mediatiche. Per ben rappresentare la contraddizione è sufficiente mettere a confronto il passaggio dell’enciclica papale, da tutti i presenti citata, in cui si afferma che “la tecnologia basata sui combustibili fossili, molto inquinanti – specie il carbone, ma anche il petrolio e, in misura minore, il gas –, deve essere sostituita progressivamente e senza indugio”, con quello della “Strategia Energetica Nazionale”, varata dal governo Monti, in cui si spinge lo “sviluppo sostenibile della produzione nazionale di idrocarburi, con importanti benefici economici e di occupazione e nel rispetto dei più elevati standard internazionali in termini di sicurezza e tutela ambientale”. Il governo Renzi ha dato seguito a questa impostazione con il voto di fiducia sullo Sblocca Italia, aprendo così la strada ad una nuova ondata di permessi di ricerca ed estrazione petrolifera a terra e in mare. A ciò si aggiunge lo stralcio del divieto della tecnica dell’Air gun dalla legge sugli ecoreati.
Solo per citare le ultime notizie, nel mese di giugno, il Ministero dell’Ambiente ha dato il via con 11 decreti alla ricerca di petrolio con la tecnica dell’Air gun nei tratti di costa compresi tra Rimini e Termoli e tra il Gargano e il Salento. Nel tratto tra Bari e Brindisi, sono una decina i decreti di compatibilità ambientale per i progetti di ricerca della Northern petroleum.
Ma anche il Mar Jonio è oggetto degli interessi delle compagnie petrolifere. Qui, nel 2011, è stato rimosso il divieto di ricerca edestrazione di petrolio nel Golfo di Taranto, precedentemente stabilito dal Decreto 128 del giugno 2010. Tra le società interessate la Schlumberger e la Ionica Gas: negli ultimi giorni, la prima ha ottenuto la riapertura della procedura di Valutazione d’impatto ambientale per la prospezione e la seconda una proroga decennale della concessione del permesso di estrazione.
Nel suo intervento, Matteo Renzi ha dato una giustificazione poco convincente alla contraddizione esistente tra il nuovo impulso alle estrazioni petrolifere e gli impegni da prendere in vista della Cop21: “Oggi il nostro nemico è il carbone, tra 50 o forse 100 anni, avremo bisogno di andare ben oltre”.

Insomma è ancora necessario estrarre petrolio e per questo bisogna sbloccare la burocrazia, peccato che le autorizzazioni ambientali non siano proprio riducibili ad una semplice pratica burocratica. A parte il fatto che in Italia sono ancora attive 13 centrali a carbone per la produzione di energia elettrica, due delle quali tra le prime trenta più inquinanti d’Europa, Brindisi Sud e Torrevaldaliga Nord (Civitavecchia), c’è da segnalare che nel loro rapporto, “Dirty 30, come le centrali a carbone europee stanno vanificando la lotta al cambiamento climatico della Ue”, Climate action network, Health and environment alliance (Heal), European environmental bureau (Eeb), Climate Alliance Germany e Wwf denunciano come l’utilizzo del carbone per produrre energia in Europa dal 2009 al 2012 sia aumentato. Se questi sono i risultati e se il vero nemico è solo il carbone, sembra difficile rispettare l’impegno dei 2° di aumento massimo delle temperature.
Lo scorso 23 maggio a Lanciano, 60.000 persone hanno contestatoOmbrina Mare, il progetto di estrazione petrolifera della società inglese Rockhopper (ex Medoilgas) a 7 km dalla costa di S. Vito chietino (Ch). L’ultima contraddizione da segnalare di questi Stati generali sul clima è lo spazio marginale riservato alle istanze provenienti dalle comunità che in tutta Italia si stanno opponendo alle trivelle tracciando un indirizzo politico più coerente con l’obbiettivo di fermare davvero la febbre della terra. Allo striscione con la scritta “No Oil” esposto dalle associazioni durante l’incontro, Renzi ha risposto, in sostanza: “No Carbone, Si petrolio”. http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/06/23/stati-generali-sul-clima-renzi-difende-il-petrolio-segolene-royal-i-confini/1807062/