giovedì 5 giugno 2014

Giornata dell'ambiente, invertiamo la rotta Clima e fame nel mondo, legati a doppio filo

Un quarto delle emissioni che provocano i cambiamenti climatici arriva dalla produzione industriale di cibo. E il primo effetto del clima impazzito è la fame nel mondo. Con la campagna della ong Oxfam "scopri il marchio" si punta spezzare il cerchio, a tagliare gli sprechi ed a evitare magri raccolti e affamati globali Tempeste, alluvioni, siccità, scioglimento dei ghiacci. Tutti conoscono gli effetti più eclatanti e spettacolari del cambiamento climatico. C’è anche un lato oscuro che attanaglia la terra, un effetto perverso del global warming e quasi dimenticato: la fame. L’impatto sulle riserve di cibo dei Paesi più poveri sono devastanti e gli effetti sono già visibili: aumento dei prezzi, della povertà, della malnutrizione con la distruzione delle vite di chi coltiva il pianeta.


La sottile linea rossa è già stata superata: entro il 2050 potrebbero esserci oltre 50 milioni di affamati in più a causa del clima impazzito. E tanti pronti a mettersi in marcia e lasciare il proprio paese per scappare dalla condanna a morte di magri raccolti e zero guadagni.

Per invertire la rotta nella giornata mondiale dell’ambiente (5 giugno) la ong internazionale Oxfam chiede alle dieci “sorelle del cibo” di fare di più con la campagna “Scopri il marchio” : un sito web per capire e analizzare le politiche delle 10 più grandi multinazionali del cibo che hanno un impatto sulla povertà.

Per rompere il circolo vizioso: il 25 per cento delle emissioni globali che determinano il cambiamento climatico arriva dalla produzione industriale di cibo delle grandi multinazionali dell’alimentare. Un legame tra produzione del cibo e inquinamento da spezzare, per evitare altri poveri.

Secondo le stime di Oxfam, se queste aziende adottassero politiche produttive più adeguate, potrebbero tagliare le loro emissioni di 80 milioni di tonnellate entro il 2020, un’azione equivalente a chiudere al traffico le maggiori città del mondo: Los Angeles, Pechino, Londra e New York.

Le dieci maggiori aziende del sistema alimentare globale hanno nomi e performance differenti: Associated British Foods (Twinings), Coca-Cola, Danone, General Mills (Haagen Dasz), Kellogg, Mars, Mondelez International (Milka), Nestlé, PepsiCo e Unilever (Algida, Motta, Alemagna) ma emettono una quantità di gas serra pari a quella prodotta dalla Spagna (dati 2010 dell’United States Department of Energy's Carbon Dioxide Information Analysis Center), dove vivono e consumano 46 milioni di abitanti.  Il rapporto di Oxfam “Cambiare clima per vincere la fame”evidenzia che le dieci Grandi sorelle del cibo, producono un totale di 263,7 milioni di gas a effetto serra, più di quanto prodotto complessivamente da Qatar e gli Emirati Arabi Uniti, due stati che basano le loro economie sulla produzione di petrolio e gas.
La metà di queste emissioni è prodotta in ambito agricolo, lungo la filiera di produzione dei loro prodotti alimentari, ma non è conteggiata dalle aziende nel quadro dei loro impegni di riduzione delle emissioni derivanti dalla loro attività. Tuttavia, per evitare l’innalzamento della temperatura terrestre oltre i due gradi, questo trend deve cambiare urgentemente.
«Chiediamo di essere dei consumatori consapevoli facendo sentire la propria voce perché i colossi alimentari modifichino il modo di produrre cibo, migliorando le proprie politiche di contrasto e prevenzione dei cambiamenti climatici» spiega Maurizia Iachino, presidente di Oxfam Italia: «La voce dei consumatori di tutto il mondo ha già avuto grandi effetti: la campagna è riuscita ad ottenere impegni importanti in tema dei diritti delle lavoratrici e della salvaguardia della terra dei piccoli produttori».
Gli interessi dovrebbero essere comuni perché alcune delle grandi compagnie del settore alimentare stanno guardando già con maggior attenzione alle perdite subite a causa dei cambiamenti climatici: il gigante Unilever ha calcolato perdite per 415 milioni di dollari l’anno, General Mills ha perso 62 giorni di raccolto solo nel primo trimestre del 2014 a causa di fenomeni atmosferici estremi. In generale, Unilever, Coca Cola e Nestlè sono le aziende con le politiche più avanzate in tema di cambiamenti climatici ma hanno ancora ampi margini di miglioramento.
Nessuna di queste aziende si è però impegnata a livello globale per ridurre le emissioni derivanti dalla produzione agricola, o pretendere dai loro fornitori l’adozione di target specifici: solo la filiale inglese di PepsiCo si è impegnata a ridurre le emissioni dalla propria filiera di fornitura del 50 per cento in 5 anni.

Oxfam chiede in particolare a Kellogg e General Mills di lottare contro la fame riducendo le emissioni di anidride carbonica per arrivare dalla terra agli scaffali, dove attualmente sono le peggiori in fatto di lotta al cambiamento climatico. Osservata speciale una compagnia indonesiana fornitrice del colosso Cargill e quindi, indirettamente, sia Kellogg sia General Mills, si è resa responsabile di un’operazione di distruzione delle foreste per ricavare piantagioni di olio di palma: l’incendio vastissimo ha prodotto emissioni pari a quelle di più di 10 milioni di auto con il motore acceso. Un semplice esempio degli effetti che l’assenza di politiche concrete sulle emissioni può facilitare.
Per non sedersi a tavola consapevoli che qualcuno potrebbe morire di inquinamento per sfamarci. di Michele Sasso http://espresso.repubblica.it/attualita/2014/06/04/news/clima-1.168220

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