Venerdì 23 Agosto 2013
Napoli. «Se potessi tornare indietro non mi pentirei. Non lo farei più perchè le istituzioni ci hanno abbandonato. Quando non sono riusciti ad ammazzarmi materialmente, hanno cercato di distruggermi economicamente, moralmente». Lo ha detto a Sky TG24 uno dei boss del clan di camorra dei Casalesi, Carmine Schiavone, pentito dal 1993.
Uno scoop, un'intervista che ferisce come una lama. Particolarmente scioccante quando parla della scoperta di suo figlio Francesco, arrivato alla maggiore età, di chiamarsi Schiavone e non con il nome di copertura. «Lui - dice il pentito - credeva che il padre lavorasse per i servizi segreti e che avesse un altro cognome. Gli ho detto, tu sei uno Schiavone e dovevi diventare un camorrista». La reazione? «Mi ha risposto, papà hai fatto bene. Mio figlio ragiona come un ragazzo del nord». Dal che si evince che Schiavone ritenga essere del sud una sorta di marchio genetico. Ma non c'entrano i marchi genetici con gli sversamenti di rifiuti industraili tossici - per inciso del nord Italia - che l'hanno spinto a pentirsi. Racconta: «Decisi di uscirne quando vidi che uccidevano anche i bambini prima di nascere con tutti quegli sversamenti». Sversamenti sui quali Casalesi ed industrie del nord hanno fatto valanghe di soldi.
«Ero uno dei capi della cupola - dice Schiavone - ma mi sono pentito davvero perchè altrimenti quelle carte lì non le avrei mai scritte. Il mio guaio è stato proprio quello di essermi pentito veramente perchè in Italia non c'era una giustizia, una legge, un politico che sappia capire questo. Chi me lo ha fatto fare di vivere in questo mondo di cani rognosi - afferma - perchè è vero che noi abbiamo sparato, ma i ministri, i carabinieri, i magistrati, i poliziotti sono più responsabili di me perchè hanno permesso questo».
«Io - ammette Schiavone - ho sbagliato nella mia vita e ho cercato di rimediare quando la mia coscienza si è ribellata a certi soprusi commessi da altri. Tutti quanti hanno fatto facile carriera sulla mia pelle».
Nell'intervista Schiavone parla anche dei rifiuti tossici interratti dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli e aggiunge che «la mafia non sarà mai distrutta perchè ci sono troppo interessi, sia a livello economico, sia a livello elettorale. L'organizzazione mafiosa - conclude - non morirà mai».
Venerdì 23 Agosto 2013
Napoli. «Se potessi tornare indietro non mi pentirei. Non lo farei più perchè le istituzioni ci hanno abbandonato. Quando non sono riusciti ad ammazzarmi materialmente, hanno cercato di distruggermi economicamente, moralmente». Lo ha detto a Sky TG24 uno dei boss del clan di camorra dei Casalesi, Carmine Schiavone, pentito dal 1993.
Uno scoop, un'intervista che ferisce come una lama. Particolarmente scioccante quando parla della scoperta di suo figlio Francesco, arrivato alla maggiore età, di chiamarsi Schiavone e non con il nome di copertura. «Lui - dice il pentito - credeva che il padre lavorasse per i servizi segreti e che avesse un altro cognome. Gli ho detto, tu sei uno Schiavone e dovevi diventare un camorrista». La reazione? «Mi ha risposto, papà hai fatto bene. Mio figlio ragiona come un ragazzo del nord». Dal che si evince che Schiavone ritenga essere del sud una sorta di marchio genetico. Ma non c'entrano i marchi genetici con gli sversamenti di rifiuti industraili tossici - per inciso del nord Italia - che l'hanno spinto a pentirsi. Racconta: «Decisi di uscirne quando vidi che uccidevano anche i bambini prima di nascere con tutti quegli sversamenti». Sversamenti sui quali Casalesi ed industrie del nord hanno fatto valanghe di soldi.
«Ero uno dei capi della cupola - dice Schiavone - ma mi sono pentito davvero perchè altrimenti quelle carte lì non le avrei mai scritte. Il mio guaio è stato proprio quello di essermi pentito veramente perchè in Italia non c'era una giustizia, una legge, un politico che sappia capire questo. Chi me lo ha fatto fare di vivere in questo mondo di cani rognosi - afferma - perchè è vero che noi abbiamo sparato, ma i ministri, i carabinieri, i magistrati, i poliziotti sono più responsabili di me perchè hanno permesso questo».
«Io - ammette Schiavone - ho sbagliato nella mia vita e ho cercato di rimediare quando la mia coscienza si è ribellata a certi soprusi commessi da altri. Tutti quanti hanno fatto facile carriera sulla mia pelle».
Nell'intervista Schiavone parla anche dei rifiuti tossici interratti dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli e aggiunge che «la mafia non sarà mai distrutta perchè ci sono troppo interessi, sia a livello economico, sia a livello elettorale. L'organizzazione mafiosa - conclude - non morirà mai».
Uno scoop, un'intervista che ferisce come una lama. Particolarmente scioccante quando parla della scoperta di suo figlio Francesco, arrivato alla maggiore età, di chiamarsi Schiavone e non con il nome di copertura. «Lui - dice il pentito - credeva che il padre lavorasse per i servizi segreti e che avesse un altro cognome. Gli ho detto, tu sei uno Schiavone e dovevi diventare un camorrista». La reazione? «Mi ha risposto, papà hai fatto bene. Mio figlio ragiona come un ragazzo del nord». Dal che si evince che Schiavone ritenga essere del sud una sorta di marchio genetico. Ma non c'entrano i marchi genetici con gli sversamenti di rifiuti industraili tossici - per inciso del nord Italia - che l'hanno spinto a pentirsi. Racconta: «Decisi di uscirne quando vidi che uccidevano anche i bambini prima di nascere con tutti quegli sversamenti». Sversamenti sui quali Casalesi ed industrie del nord hanno fatto valanghe di soldi.
«Ero uno dei capi della cupola - dice Schiavone - ma mi sono pentito davvero perchè altrimenti quelle carte lì non le avrei mai scritte. Il mio guaio è stato proprio quello di essermi pentito veramente perchè in Italia non c'era una giustizia, una legge, un politico che sappia capire questo. Chi me lo ha fatto fare di vivere in questo mondo di cani rognosi - afferma - perchè è vero che noi abbiamo sparato, ma i ministri, i carabinieri, i magistrati, i poliziotti sono più responsabili di me perchè hanno permesso questo».
«Io - ammette Schiavone - ho sbagliato nella mia vita e ho cercato di rimediare quando la mia coscienza si è ribellata a certi soprusi commessi da altri. Tutti quanti hanno fatto facile carriera sulla mia pelle».
Nell'intervista Schiavone parla anche dei rifiuti tossici interratti dal lungomare di Baia Domizia fino a Pozzuoli e aggiunge che «la mafia non sarà mai distrutta perchè ci sono troppo interessi, sia a livello economico, sia a livello elettorale. L'organizzazione mafiosa - conclude - non morirà mai».
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