Ogni giorno ospedali, cliniche e laboratori producono rifiuti radioattivi derivanti da attività diagnostica come la Pet, le scintigrafie, le radioterapie con iodio e molte altre prassi simili. Questa mole di rifiuti, con tempi di decadimento anche molto lunghi, dovrebbe avere un trattamento speciale, molto costoso e come spiega Silvia Bucci, Dirigente dell'Unità Operativa Radioattività dell'Arpa Toscana: "Smaltire un rifiuto sanitario radioattivo può costare dalle 100 alle 1000 volte di più rispetto ad altri tipi di rifiuti ".
Ad oggi, una volta che i rifiuti radioattivi escono fuori dalle strutture ospedaliere pubbliche e private, nessuno sa veramente che fine facciano. I controlli spettano in primis alle ASL ma, come testimonia l'Arpa Toscana, ogni anno di controlli se ne fanno pochissimi. Anche l'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha un ruolo di vigilanza, ma a conti fatti ha un organico particolarmente risicato: per tutto il territorio italiano c'è un solo ispettore, la Dott.ssa Joanne Wells.
In Italia i rifiuti ospedalieri radioattivi non sono molti, ma sono molto pericolosi. Eppure non esiste un deposito unico nazionale per i rifiuti radioattivi a lungo decadimento, soluzione che secondo la Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari) consentirebbe invece di gestire (e quindi controllare) tutti i rifiuti radioattivi: non solo quindi quelli provenienti dalle attività di medicina nucleare, ma anche quelli provenienti dalle attività industriali e di ricerca.
28 aprile 2015 | 07:08
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