La sera del 17 aprile, con le urne del referendum sulle trivelle ancora aperte, la rottura di un oleodotto che attraversa i quartieri a ponente di Genova, ha riversato nei vicini torrenti 700 tonnellate di greggio.
Il forte odore di petrolio dopo la rottura dell’oleodotto, i disturbi di chi era costretto a respirare idrocarburi, la morte biologica del rio Fegino e della foce del Polcevera, il petrolio in mare, sono la punta dell’iceberg dell’impatto ambientale, degli extra costi, dell’era del petrolio che si avvia alla sua inevitabile fine.
Un lungo filo nero collega Genova con l’Africa, con il delta del Niger, dove l’estrazione di petrolio ha prodotto la distruzione di questo ecosistema, con pesanti impatti sulla salute della popolazione.
Dalla Nigeria il greggio è arrivato al “porto petroli” di Multedo, un porto in mezzo alle case, i cui abitanti, da decenni, sono costretti a respirare idrocarburi in quantità maggiore dei loro concittadini, con possibili danni alla salute.
Il filo nero, lungo l’oleodotto saltato, arriva a Busalla con una raffineria, racchiusa tra l’autostrada e le case.
Anche qui una convivenza forzata, con una lunga serie di incidenti, culminati con l’incendio del 2008 edindagini epidemiologiche che evidenziano danni alla salute che si è preferito ignorare.
Il filo nero, sotto forma di 800.000 tonnellate all’anno di diesel a basso tenore di zolfo, da Busalla si disperde fino al milione di autovetture alimentate con questo combustibile.
E dai loro tubi di scappamento, il filo nero raggiunge l’aria del nostro Pianeta, in cui sono scaricate tonnellate di polveri ultrafini e ossidi di azoto, responsabili, per la loro quota, delle 84.000 morti premature registrate nel 2012 in Italia e attribuite all’inquinamento atmosferico.
Ma la combustione del gasolio produce anche anidride carbonica, 150 chili per ogni pieno, che aumentano la concentrazione di questo gas nell’atmosfera del nostro pianeta e ne modificano il clima.
E i nubifragi e le alluvioni che hanno colpito la Liguria negli ultimi anni hanno a che fare con questo drastico cambiamento, con la concentrazione di CO2 passata, in 150 anni, da 270 a 400 parti per milione.
La conferenza di Parigi sul clima, ha ratificato la fine dell’era dei fossili: per evitare un aumento disastroso della temperatura media del Pianeta, oltre il 50 % di petrolio e gas non ancora sfruttato deve rimanere sotto terra.
Il premier Renzi era a Parigi, ma nel momento decisivo deve essersi distratto, in quanto, con il decreto Sblocca Italia, aveva fatto diventare la trivellazione del paese, a caccia dell’ultimo gas e petrolio, una scelta strategica d’interesse nazionale, i cui inevitabili extra-costi ci toccherà pagare negli anni a venire, compreso il tempo perso per realizzare l'inevitabile cambiamento verso le energie rinnovabili e l’efficienza energetica. http://federico-valerio.blogspot.it/2016/04/il-lungo-filo-nero-del-petrolio-di.html?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed:+ScienziatoPreoccupato+(Scienziato+Preoccupato)
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