mercoledì 19 settembre 2012
le spese folli del gruppo Polverini, di Fiorito e Battistoni, aumenta lo scandalo del pdl nella regione Lazio
Soldi e politica. Ecco le spese della lista della Presidente. La lista Polverini, che si è presentata alle elezioni in quattro delle cinque province laziali (non riuscì a presentarsi a Roma), ha dichiarato una spesa di oltre sette milioni di euro. L’accertamento della Corte dei conti le ha ridotte a 5.499.139,77 (quelle rendicontate). Il gruppo, nei tre anni, ha raccolto la cifra di oltre due milioni di euro per la propria attività. € 7.051.012 le spese dichiarate dalla Lista Polverini. € 2.600.000 il costo annuale del gruppo in consiglio regionale Polverini. RENATA FA LA CANDIDA MA È BUIO SULLE SPESE DEI SUOI Il gruppo della Polverini ha 13 eletti e riceve 2,6 milioni ogni anno B ro z z i , capogruppo e tesoriere non trova il tempo di rispondere alla domanda Il consigliere Miele: “Io ho speso 30-40 mila euro” Vuol dire che c’è chi ha avuto molto di più diMarco Lillo Ci mancava solo il Vaffa finale ma Renata Polverini lunedì sera sembrava davvero un Beppe Grillo con il vestitino bianco. “Bisogna dimezzare le commissioni e le somme sostenute a rapporto eletto-elettore, azzerare i contributi per i gruppi consiliari”. Il presidente della Regione è arrivata a sostenere: “ dobbiamo sospendere i contributi per il funzionamento dei gruppi fino a che non arriviamo ad un sistema trasparente di certificazione”. TUTTO GIUSTO, tutto perfetto. Peccato che ancora oggi il gruppo consiliare della Lista Polverini non applichi in casa propria la trasparenza sbandierata in pubblico. La Lista Polverini è il terzo gruppo della Regione, con 13 consiglieri contro i 17 membri del Pdl e i 14 eletti del Pd. Nella ripartizione dei rimborsi elettorali pubblici, secondo i dati della Procura della Corte dei Conti, fa la parte del leone, con 2,3 milioni di euro, quasi a pari merito con il Pd, ai quali bisogna aggiungere i 5,5 milioni raccolti dai privati. A prescindere dai finanziamenti privati e dai contributi pubblici per le elezioni, a tutti i gruppi, compreso quello della Lista Polverini, sono attribuiti una serie di fondi proporzionali al numero dei consiglieri. Sommando le varie voci, il gruppo Polverini dovrebbe avere a disposizione una somma 2,6 milioni di euro ogni anno. Dopo lo spettacolo messo inscena dall’altro partito che la sostiene, dopo la lotta all’ultima fattura tra il capogruppo uscente del Pdl Franco Fiorito e il suo sostituto Francesco Battistoni, probabilmente non c’era altra via di uscita mediatica possibile per la presidente. Grazie a quel discorso da donna della strada lady Polverini è riuscita ancora una volta nel miracolo di vestirsi da alfiere della trasparenza e della correttezza senza pagare il dazio dovuto: la pubblicazione su internet delle spese del gruppo consiliare che porta il suo nome. Gli elettori laziali, che hanno scoperto con sgomento, solo grazie alla faida interna al Pdl, come venivano spesi i soldi pubblici dai consiglieri pdiellini, continuano a non sapere nulla sulle spese della Lista Polverini. Il Partito Democratico nei giorni scorsi ha pubblicato su internet il suo bilancio e ora il suo capogruppo Esterino Montino ha buon gioco ad attaccare la Presidente double face: “Il presidente non è credibile perché la Lista Polverini non pubblica i suoi bilanci”. Ieri Il Fatto ha provato a chiedere a Renata Polverini, tramite la sua segreteria e il suo portavoce, i dati sulle spese della Lista che porta il suo nome ma il suo staff ci ha girato al capogruppo Mario Brozzi, che a sua volta ci ha risposto con un sms cortese: “sono impegnato in una riunione per gli ambulatori di quartiere con i medici e i farmacisti”. Sulla destinazione dei 2,6 milioni del gruppo del Presidente resta quindi il mistero. Un consigliere della Lista Polverini, l’ex sindaco di Valmontone Angelo Miele, spiega così il funzionamento delle procedure interne: “I consiglieri autocertificano le spese sostenute per l’at - tività politica e si prendono la piena responsabilità di quello che firmano. Solo a quel punto il capogruppo Mario Brozzi, paga le spese”. Il sistema sembra lo stesso che ha provocato sconquassi in casa Pdl ma quando lo si fa notare a Miele, lui non si scompone: “Il sistema secondo me è il migliore possibile perché pone sul consigliere l’onere della dichiara- zione. Non c’è nessun metodo per eliminare il problema del consigliere disonesto. Per quanto mi riguarda io ho speso solo 30-40 mila euro”. Se tutti i consiglieri fossero stati così parchi, poco meno di due milioni di euro sarebbero rimasti nella disponibilità del capogruppo e tesoriere della Lista Polverini, Mario Brozzi, ex medico sociale della Roma. “Probabilmente a differenza del Pdl”, azzarda una spiegazione Miele, “abbiamo preferito organizzare manifestazioni a livello centrale e la spesa non è stata divisa sul territorio per ogni consigliere come hanno fatto altri”. LA LISTA Polverini non è l’uni - co partito che deve ancora pubblicare il suo bilancio, anche l’I DV non lo ha fatto. Il capogruppo Mario Brozzi è considerato una persona seria ma finché le spese non saranno pubblicate bisognerà fidarsi solo della sua parola e di quella di Renata Polverini. E c’è chi ricorda i precedenti non proprio esaltanti dell’ex leader dell’UGL, un sindacato famoso per i dati gonfiati dei suoi iscritti. Come abbiamo raccontato tre anni fa sul Fatto, Renata Polverini, prima di diventare un pasdaran della correttezza pubblica, ha mentito al fisco per risparmiare 19 mila euro di imposte. Nel 2002, l’allora giovane dirigente sindacale, ha comprato un appartamento con le agevolazioni prima casa dimenticando di dire al notaio al momento del rogito che possedeva già un’abitazione. Anche sulla capacità di Renata Polverini di distinguere tra interessi pubblici e privati, in passato qualcuno all’inter no dell’Ugl aveva da ridire: alla fine degli anni novanta era circolato un documento nel quale si raccontava la strana storia di una società, la Alisan, che faceva affari con l’Ugl e che era amministrata dalla mamma. C’è un solo modo per rimuovere questi brutti ricordi e per credere davvero alla nuova Renata Polverini che è apparsa alla Pisana lunedì. Il presidente deve imporre a Brozzi di tirare fuori i conti della sua Lista. Se Renata Polverini non è in grado di imporre al capogruppo della Lista Polverini di pubblicare su internet il rendiconto delle spese, non le restano molte alternative: o toglie il suo nome dalla Lista o si dimette davve ro . inchiesta sulle spese pazze del Pdl Lazio Sono evaporati sei milioni di euro di Rita Di Giovacchino Pm e Finanza esaminano ogni conto legato all’ex tesoriere In cassa sono rimasti solo 400mila euro E ccola la villa der Batman al Circeo, otto vani, terrazza che affaccia sul verde del parco e sull'azzurro del mare all'altezza del Faro. Le immagini mozzafiato sono sfilate ieri sera sul Tg de La7, ma spuntano anche i primi rendiconti dei 12 conti bancari che Fiorito ha sparsi tra Italia e Spagna. Scopriamo così misteriosamente Fiorito, mentre acquistava ville da 800 mila euro, riusciva a triplicare il suo bilancio. Nel 2012, sul conto (83694399) che l'ex capogruppo ha presso l'agenzia Unicredit dell'Eur, tra marzo e settembre 2012, in appena sei mesi, il saldo è levitato da 60 mila euro a 111 mila. Il miracolo è da attribuire ai due bonifici da 8380 euro al mese (il suo stipendio da consigliere) e da 4198 la gratifica da capogruppo, che in realtà serviva per pagare segretarie e portaborse nel collegio di appartenenza. Invece non ha prelevato un soldo, forse per fronteggiare queste spese appozzava ai prelievi in contanti? Il dubbio è forte. Sul conto in uscita c'è un piccolo mutuo da 800 euro al mese, aperto il 28 novembre scorso, quando il notaio Di Rosa ha stipulato la compravendita ad Anagni. Quanto è costata la villa? Sembra 800 mila euro, sottratto il mutuo, il resto sarebbe stato pagato in contanti. Ma dai conti bancari non risultano prelievi di tale entità. Come Lusi anche Fiorito ha la passione per gli immobili. La mamma, la fidanzata, il segretario, il commercialista. Quel Francesco Angelucci interrogato ieri dal nucleo valutario della Finanza, personaggio di scarso rilievo a giudicare da come gestiva fatture e rendiconti. La contabilità continua a trovarsi, ma l'avvocato Taormina giura di averne un copia che esibirà oggi stesso a Caperna. Intanto in procura sono arrivati i primi estratti conto su cui lavorano i pm e la Gdf. Dalle carte trovate nei cassetti in consiglio regionale si è scoperto che l'ex capogruppo ha triplicato negli ultimi due anni non solo il saldo bancario ma anche il numero di case. A Roma ne ha 5, ad Anagni 4, più la villa al Circeo. Anche se ancora non si conosce il valore di un altra villa, ereditata dal padre, nell'isola di Tenerife alle Canarie. Che da sola giustificherebbe il trasferimento di oltre 300 mila euro nelle 5 banche spagnole, sempre prelevati dai conti Pdl, cioè i nostri soldi. Con la mamma, Anna Tintori, condivide un conto presso la filiale di Anagni-Casilina, a doppia firma, anche se la donna non compare mai. Che Fiorito agisse senza rendere conto a nessuno lo dimostrano i 109 bonifici sospetti per un totale di oltre 800 mila euro. Di molti assegni non si conosce il destinatario, perfino uno da 36.500 euro. Il problema è che al 18 settembre, cioè ieri, sui 4 depositi intestati al Pdl regionale, dopo 2 anni di gestione Fiorito, sono evaporati 6 milioni di euro. In cassa ne sono rimasti soltanto 400 mila euro. Fatture false e dossier anche Viterbo indaga su Fiorito A indagare sul caso Fiorito c’è anche la Procura di Viterbo, che da pochi giorni ha aperto un fascicolo sulle fatture contenute nel dossier dell’ex capogruppo Pdl. Il pm Massimiliano Siddi sta verificando la veridicità delle ricevute. E dai primi riscontri è evidente che qualche documento è stato falsificato. Come la fattura della società di comunicazione “M a j a kov s k i j ” e quella della “Gialtour”, dove Battistoni, secondo il dossier, sarebbe andato con la segretaria. In realtà facendo un riscontro con l’hotel, il pm ha costato che le stanze prenotate erano due, non una come riporta la fattura falsa pubblicata anche sul sito web di un giornalista locale, Paolo Gianlorenzo, già coinvolto nell’inchiesta su una presunta macchina del fango orchestrata contro gli avversari dell’a s s e s s o re regionale Angela Birindelli. Valeria PacellUn batman in paradiso Le foto del Circeo La villa dell’ex capogruppo del Pdl alla Regione Lazio Franco Fiorito è in località Punta Rossa, nel Parco del Circeo (basso Lazio). La Procura di Roma sta indagando sulle diverse proprietà (case, terreni, auto e moto) del consigliere regionale. Per il buen retiro del Circeo, Fiorito avrebbe acceso un mutuo. Francone da Anagni legionario al potere senza né arte né parte Il viaggio in Russia e la foto con due bionde Già allora si scrisse: “I nostri soldi vanno a putt...” di Enrico Fierro inviato ad Anagni (Fr) Ma quale Batman? Bankomat lo dovete chiamare, Francone banko m a t ”. La Provincia è così, ti porta sugli altari del potere politico, poi, quando cadi e non hai più la possibilità di rialzarti, ti sferra il calcio dell’asino. Brutta parabola quella di Franco-Francone Fiorito, che oggi nella sua città nessuno conosce. “Mai votato per lui”. “Che schifo!”. “È un ladrone come gli altri”. “Pe n - sava solo ad abbuffarsi”. Volano schiaffi ad Anagni, e non è una novità. La musica è finita e gli amici vanno via di corsa. Assessori, consiglieri comunali, parvenu che con Francone sindaco erano assurti al ruolo di politici, quelli che alle ultime regionali si facevano chiamare nientedimeno che “i legionari politici” di Fiorito, quelli che giuravano che sì, “Francone lo porteremo in alto, nel Lazio e in tutta Italia”, tutti spariti. Volatilizzati anche “li pecuri Dolly”, attivisti e politicanti di paese che in Ciociaria considerano i cloni di Fiorito. Vestono gessati come lui, chi ha polmoni succhia Toscani, muovono le mani come lui quando parlano e a perfetta immagine di Francone, distribuiscono cameratesche pacche sulle spalle. Tutto finito. Nei bar della città dei quattro papi, la gente divora i quotidiani pieni della grande abbuffata di Batman-Bancomat. Una villa al Circeo regolarmente abusiva pagata 800mila euro, la tegola di un rinvio a giudizio per una storia di mazzette chieste a un imprenditore, l’inchiesta sull’uso allegro dei fondi del Pdl: sta succedendo di tutto e il dramma per Fiorito è che può succedere di più. “La rovina di Francone è lui stesso”, confessa un assessore ancora in carica. “È simpatico, un incantatore di serpenti, ma ancora mi stupisco quando penso ai voti che ha preso. I ciociari sono persone dal cervello fine, lui li ha ammaliati”. GUGLIELMO Rosatella, sportivo generale in pensione dell’Aeronautica militare, Fiorito lo conosce bene. Militante di Alleanza nazionale, il generale è stato consigliere comunale e poi assessore proprio con Francone sindaco. “Ci lasciammo dopo pochi mesi in malissimo modo, gli scrissi lettere di fuoco. Non è un cattivo, ma quando si tratta della sua carriera politica non guarda in faccia nessuno”. Anno domini Duemilauno, il trentenne Francone si candida e fa piazza pulita del candidato di centrosinistra, Alberto Cocchi un repubblicano sessantenne, grazie all’aiuto di Francesco Storace, allora presidente della Regione e suo padre putativo assieme ad Alfonso Urso e Giuseppe Ciarrapico. Fiorito monta una campagna contro il Consorzio di Bonifica del quale il suo avversario è presidente, Storace offre l’assist e commissaria la struttura. Un piccolo trucco, come quello usato qualche anno prima ai tempi delle elezioni per i rappresentanti d’istituto al liceo classico Dante Alighieri. FIORITO è un balilla del Msi, si candida e stravince, ma le schede col suo nome stranamente superano il numero dei votanti. Vincere, è il motto di Francone. Diventa sindaco e nomina assessori, quando non seguono i suoi ordini li manda a casa, cambia destinazione ai suoli e dove c’era il verde spuntano come funghi centri commerciali, guarda all’estero, all’Oriente. Nel 2002, anno dei Mondiali di calcio, vola in Giappone con una corte quasi craxiana. Paga il Comune che sborsa 17mila euro. Ma ad affascinarlo, soprattutto per le donne bionde, la sua passione, è la Russia. Fa un viaggio a San Pietroburgo con un suo amico manager musicale di grandi nomi, qualcuno scatta foto. Francone stravaccato su un divano con due bionde da urlo, Francone sorridente, sigaro in bocca e bicchiere di vodka in mano. I paesani non gradiscono e stampano un volantino. Titolo, “Maialate a San Pietroburgo”, foto dell’allegria russa e altro testo: “Ecco come i nostri soldi finiscono a puttane”. Ma Francone ci ride su, perché sa che la sua è una ascesa irrefrenabile. Eletto alla Regione nel 2005, riconfermato cinque anni dopo ma con una barca di voti, 26.400 preferenze, nel Lazio secondo solo a Claudio Fazzone, collegio di Latina, un altro big-boss del Pdl. Ma non molla il Comune, dove piazza un suo fedelissimo e si fa nominare, pur avendo già la poltrona di consigliere regionale, city manager lautamente retribuito. “Una macchina macina soldi – ricordano Aurelio Tagliaboschi, Pd, e Roberto Cicconi, di Sel –, per le sue campagne elettorali spendeva che manco Obama. Cene a profusione, spettacoli, un call center con 30 operatori. Con i nostri quattro soldi non potevamo competere”. Il generale Rosatella, invece, va più nel profondo. “Ha corrotto la testa dei giovani. Se ce l’ha fatta Francone, che non aveva né arte né parte, possiamo farcela pure noi, pensavano. E così la politica è diventata arricchimento, belle donne, ville, cene costose. Vita bella e facile”. Ecco, nasce così un potente di provincia. Il generale è sempre un uomo di destra, ma per contrastare Francone Bankomat e i suoi “legionar i” ora siede sui banchi dell’opposizione. Franchino da Viterbo portaborse di Tajani tra le vacche e i fagioli Per lui spese da 260mila e 628 euro Per lui cene da 6.000 euro Si è alluso a una sua amante di Fabrizio d’Esposito inviato a Proceno (Vt) La sagra del fagiolo, la sagra della pastorizia, la sagra della bruschetta e la festa dell’aglio rosso. Francesco Battistoni è un infaticabile sostenitore dei prodotti locali del suo territorio, la Tuscia. Proceno è il paesino da dove è cominciata la sua ascesa nel Pdl, fino all’ultimo, sanguinoso duello con Franco Fiorito. La villa dei Battistoni è a due piani, costruita come una casa di montagna. Le ante di colore marrone sono chiuse, il capogruppo regionale del Pdl viene solo in vacanza o nei fine settimana. Proceno guarda la Toscana e confina con l’Umbr ia, un saliscendi di curve strette tra gli alberi a 40 chilometri da Orvieto. È un borgo medievale un tempo sotto la potenza di Siena. Lo testimonia, nell’uni - ca piazza che c’è, il maestoso Palazzo Sforza, proprio di fronte al ben più modesto municipio e fatto restaurare con i fondi regionali del piano di sviluppo rurale 2000-2006 del Lazio. Qui Battistoni è stato sindaco per sei anni, a partire dal 2004, e a Palazzo Sforza organizzava convegni su convegni con il suo nume tutelare nel Pdl, l’at - tuale commissario europeo Antonio Tajani. I due se li ricordano bene in paese. L’onorevole, cioè Tajani, e “Fra n c e s c o ”, il suo sindaco-portaborse. IN PIAZZA ci sono cinque anziani, seduti su sedie rosse da giardino. “Francesco vuole arrivare dove gli altri non arrivano, vuole fare il deputato”. Ambizioso, curiale, democristiano nel metodo. L’esatto contrario, fisiognomicamente, del suo competitor “Er Batman”, grande grosso e nostalgico del Duce. Francone e Franchino, hanno scritto. La loro guerra è la resurrezione politica della poltrona di capogruppo. Riecheggia in termini più cruenti quel memorabile dialogo telefonico di trent’anni fa tra due democristiani napoletani ma di correnti diverse, Paolo Cirino Pomicino e Aldo Boffa: “Ma ‘o capogruppo chi so piglia?”. “Ma il capogruppo chi se lo prende?”. Battistoni ha scippato l’ambita poltrona a Fiorito nel luglio scorso. Con lui nove consiglieri regionali del Pdl, tra cui Carlo De Romanis, nipote dell’onnipresente Tajani. Franchino era stufo di fare il presidente della commissione Agricoltura e ha guidato il blitz contro Francone, uomo di Alemanno. Il viterbese Michele Bonatesta, ex senatore di An, ha scritto una lettera aperta a Battistoni: “Ec - co cosa succede caro Francesco quando ti metti contro gli uomini di Alemanno”. Uno, appunto, è Fiorito. L’altro è Giancarlo Gabbianelli, cui l’ex portaborse di Tajani soffiò nella Tuscia il posto di consigliere regionale alle elezioni del 2010. Quasi diecimila preferenze, sparse tra Bolsena, Acquapendente, San Martino del Cimino, Soriano. E con il pateracchio combinato da Alfredo Milioni, che portò all’esclusione della lista Pdl della circoscrizione di Roma, per i berlusconiani di provincia si aprirono praterie sconfinate di potere quando Renata Polverini vinse. Finalmente protagonisti. IN REALTÀ, nello scandalo dei soldi a consiglieri e gruppi politici del Lazio, una torta da venti milioni di euro, il primo a muoversi è stato Battistoni. Un parlamentare del Pdl, a microfoni spenti, dice: “Il mandante è Tajani”. Poi è arrivato, per vendetta, il faldone di Fiorito con le spese di Franchino. Ben 260mila e 628 euro, che un giornale online del viterbese ha così ripartito: il 52 per cento in pubblicità (anche a cronisti amici), il 22 in ristorazione, il 16 in carburanti, il 9 in computer, appena l’uno in rimborsi. Il ristorante più gettonato è il Pepenero con vista sul lago di Bolsena: cene da 800, 4.200, 6.000, 5.000, 4.000, 3.600 euro. Fiorito allude anche a viaggi di Battistoni con un’amante. Lui, sposato e con tre figli, ha smentito. La faida del partito laziale dell’amore ha profonde radici viterbesi. Stavolta è stato Battistoni ad alzare il coperchio, ma mesi fa è stato lui a finire vittima di un altro dossieraggio. Al centro c’è un triangolo: Angela Birindelli da Bolsena, assessore regionale all’Agricoltura; Giulio Marini, sindaco dimissionario di Viterbo; lo stesso Battistoni, ovviamente. Il triangolo si rompe un mese dopo l’insediamento della giunta Polverini. Battistoni, gaudente assessore all’Agricoltura, deve subito cedere la poltrona. Largo alle quote rosa. Subentra la Birindelli, descritta allora come vicina, molto vicina all’assessore da sostituire. Ma Franchino è incazzato nero. La sua ambizione non riesce a digerire il colpo. Inizia un’altra guerra. Il triangolo si rompe. Battistoni contro Marini e Birindelli. L’acme alcuni mesi fa. La Birindelli viene accusata di estorsione dalla Procura di Viterbo: 18mila euro di provenienza pubblica per finanziare un giornale anti-Battistoni, l’Opinione di Viterbo. Gli amici di Franchino, De Romanis in testa, gli esprimono solidarietà per il “dossiera gg io” della Birindelli. Non solo. Un giornalista dell’Opinione avrebbe “of ferto” alla Polverini alcune intercettazioni telefoniche su Battistoni. Voci su tangenti nella sanità di Viterbo. A Proceno, 500 abitanti perlopiù anziani, quasi nessuno ha voglia di parlare dell’affaire Battistoni. Solo il signor Giocondo, 86 anni, si sbilancia: “Quando la madre di Francesco mungeva le mucche, mia figlia le teneva il figlio. Nella famiglia comandava don Alfio, segretario del vescovo”. Il fatto quotidiano 19 settembre 2012
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