Prodotto apparentemente italiano Altra provenienza
Pomodoro Cina
Tartufi Africa Albania Cina
Arance e limoni Sud America, Sud Africa
Aglio Cina
Funghi porcini Europa dell’Est
Miele Argentina, Ungheria, Cina
Olio Nord Africa, Turchia, Grecia, Spagna
Agromafie da 12,5 miliardi Un business sempre più ricco
Alessandro De Pascale
Studio Presentato ieri a Roma il primo rapporto Eurispes-Coldiretti sulla crimininalità alimentare.
Da un sondaggio Swg per il 60 per cento degli italiani le frodi a tavola sono più gravi di quelle fiscali
L’interesse della criminalità organizzata di tipo mafioso verso il settore economico- agricolo è in costante crescita. A scattare una dettagliata fotografia di questo fenomeno è il primo Rapporto sulle Agromafie, realizzato da Eurispes e Coldiretti, presentato ieri a Roma. I numeri sono impressionanti: il volume d’affari complessivo dei crimini agroalimentari in Italia è stimato in 12,5 miliardi di euro (5,6% del totale), di cui 3,7 miliardi da reinvestimenti in attività lecite (30%) e 8,8 miliardi di euro da attività illegali (70%). «I danni al sistema sociale ed economico sono molteplici - spiega lo studio - dal pericolo per la salute dei consumatori finali, all’alterazione del regolare andamento del mercato ». Prendiamo la camorra che ha esteso i propri tentacoli sulla mitica “Bufala Mediterranea Italiana”, patrimonio nazionale, il cui latte è una preziosa risorsa economica per l’intero tessuto socio-economico della Campania. Gli allevamenti bufalini sono usati dal clan dei Casalesi per un ampio e diversificato riciclaggio dei proventi illeciti delle estorsioni e del traffico di droga e armi. Con allevamenti e caseifici, spesso utilizzati come nascondigli per latitanti o basi logistiche della cosca. L’antimafia di Napoli ha scoperto che per aumentare fino al 20 per cento la produzione di latte, e quindi di mozzarelle da esportare in tutto il mondo, le bufale venivano sottoposte a «torture farmacologiche », principalmente a base di Somatotropina (20mila le confenzioni sequestrate). Che veniva importato illegalmente da Paesi come l’Albania e la Corea. In generale per quanto riguarda la mozzarella, secondo Coldiretti, ben una mozzarella su quattro non deriva direttamente dal latte ma da cagliate, un semilavorato industriale spesso importato dall’estero.
Stessa cosa i formaggini, ottenuti da polvere di caseina e formaggi fusi. Per non parlare dei prosciutti: tre su quattro sono ottenuti da maiali stranieri ma non si vede.
Da un’indagine Coldiretti-Swg viene fuori che sei cittadini su dieci (il 60%), considerano le frodi a tavola più gravi di quelle fiscali e finanziarie. In quanto possono avere effetti negativi sulla salute.
Oltre che sul Made in Italy. Sugli scaffali esteri 2 prodotti spacciati per italiani su 3 sono imitazioni.
C’è il divieto di commercializzazione del Danish Grana di produzione danese, scadente imitazione del Grana Padano, da parte dell’Ue. Oppure l’imposizione a una ditta austriaca di cambiare nome al Cambozola, perché poteva trarre in inganno i consumatori circa l’utilizzo del più noto gorgonzola. Per non parlare della Lactitalia srl, di propietà della famiglia Pinna e partecipata al 12 per cento dalla Simest spa (controllata dallo Stato italiano), che produce in Romania formaggi ottenuti con latte ungherese e romeno con marchi come Dolce Vita, Toscanella e Pecorino, che richiamano al Made in Italy. Il loro slogan? «Per voi abbiamo intrecciato il latte rumeno alla tradizione e alla tecnologia italiana».
Terra 22 giugno 2011
Grasso sofisticazioni dentro i reati di mafia
Alessandro De Pascale
LE PROPOSTE. Per il Procuratore nazionale antimafia questo reato «ha tempi di prescrizione brevissimi. Intervenire a tutela consumatori».
«Per i reati da subito identificati come crimini di mafia non abbiamo particolari problemi, ma per quelli di sofistificazione sì, perché hanno tempi di prescrizione brevissimi poiché non collegati alla mafia dal codice penale». Lo denuncia il Procuratore nazionale antimafia Piero Grasso, durante il suo intervento alla presentazione del primo rapporto sulle Agromafie, realizzato da Eurispes e Coldiretti. «Dobbiamo allargare la forchetta di reati ricondotti alla mafia, quelli che in Usa chiamano Serious crime. In questo modo possiamo utilizzare i metodi di indagine tipici dei reati di mafia anche per questi crimini: agenti sotto copertura e intercettazioni, per esempio.
Al giorno d’oggi, se troviamo una bolla falsificata o che non corrisponde al prodotto trasportato, catturiamo gli autisti dei camion, ma non riusciamo ad arrivare alle teste dell’organizzazione», ha poi aggiunto il magistrato siciliano, negli anni Ottanta giudice nel primo maxiprocesso a Cosa nostra. Secondo il presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, serve «una seria politica di depenalizzazione, non tutto deve diventare penalmente rilevante ma bisogna concentrarsi sui reati più gravi, tra cui oggi compare anche quello della mafia nel settore alimentare». Del resto, aggiunge Palamara, ci sono «1,5 milioni di processi penali pendenti, perché purtroppo gli accertamenti richiedono tempi lunghi».
Per Raffaele Guariniello, procuratore capo vicario della Procura di Torino, «serve una nuova organizzazione giudiziaria - spiega - una procura nazionale specializzata nel campo della frode e della sicurezza alimentare». Poi si chiede: «Come mai le perquisizioni si fanno solo per i reati di criminalità organizzata? Bisogna entrare nelle stanze dei consigli di amministrazione, certi problemi non nascono per un singolo dirigente, ma sono il frutto di scelte aziendali». Tra i problemi maggiori che incontra la magistratura italiana nel perseguire questi crimini c’è anche la dimensione internazionale del fenomeno.
«Per effettuare controlli all’origine siamo costretti a chiedere le rogatorie, che però richiedono tempi lunghissimi e quasi mai vengono concesse», aggiunge ancora Guariniello, il magistrato che a Torino ha seguito le inchieste ThyssenKrupp ed Eternit. «La globalizzazione ci dovrebbe essere anche per le indagini. Se ad esempio c’è di mezzo la Cina è tutto più complicato, poiché è impossibile interrogare o semplicemente incontrare i responsabili», conclude il magistrato. Spesso le «regole non ci sono ancora e dovrebbero essere previste per far fronte al piano criminale», ha detto aprendo i lavori Donato Ceglie, della Procura di S. Maria Capua Vetere.
giovedì 23 giugno 2011
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