Un conflitto atomico, anche su piccola scala, avrebbe un impatto notevole sul nostro pianeta, anche a decenni di distanza. Lo sostiene un nuovo studio basato sui più recenti modelli climatici
Ma cosa succederebbe davvero dopo una guerra atomica? La risposta più aggiornata ci arriva da quattro ricercatori americani ed è basata sui modelli più aggiornati che descrivono l'evoluzione del clima e dell'atmosfera. Lo studio, pubblicato sulla rivista Earth's Future dell'American Geological Society (AGU), si propone di determinare gli effetti su scala planetaria di un conflitto nucleare. Ne emerge uno scenario inquietante: un abbassamento della temperatura globale di alcuni gradi, con un conseguente sconvolgimento dei delicati equilibri climatici e atmosferici che potrebbe durare per decenni. Eppure, come ricordano gli autori, si tratta di simulazioni basate su un conflitto relativamente piccolo, per far intuire le conseguenze drammatiche di una guerra nucleare su scala mondiale.
Prima, le bombe. I ricercatori hanno immaginato una guerra atomica su scala regionale fra India e Pakistan, paesi scelti probabilmente per i loro arsenali relativamente piccoli rispetto a quelli delle grandi potenze come gli Stati Uniti o la Russia. In questo conflitto da fantascienza (speriamo), gli autori hanno ipotizzato da parte di ciascuna fazione l'uso di 50 testate nucleari da 15 kilotoni, paragonabili cioè alla bomba sganciata su Hiroshima. Un kilotone equivale all'energia rilasciata dall'esplosione di mille tonnellate di tritolo, ovvero circa 4000 miliardi di Joule. Un'energia spaventosa, ma relativamente piccola se paragonata alle armi nucleari oggi disponibili, che possono raggiungere energie di diversi megatoni, cioè almeno mille volte superiori. L'effetto diretto di questi ordigni sarebbe devastante, come sappiamo dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki o dai numerosi test condotti durante la Guerra Fredda al suolo, in mare o in atmosfera. In queste esplosioni, circa metà dell'energia è convertita in un'onda d'urto, la cui potenza distruttiva è enorme. Nel bombardamento di Hiroshima, ad esempio, l'esplosione rase al suolo praticamente ogni cosa nel raggio di un chilometro e mezzo dall'esplosione. Un'altra frazione dell'energia della bomba è rilasciata sotto forma di radiazione termica, cioè un potente flash di luce infrarossa, visibile e ultravioletta, capace di provocare gravi ustioni e cecità temporanea o permanente. Restano poi, non meno dannosi, gli effetti prodotti dalle radiazioni, il cui effetto può durare più a lungo. Ma questi effetti devastanti sono solo i primi. Come mostrato nello studio, anche un conflitto con 100 testate nucleari relativamente piccole porterebbe gravissime conseguenze a livello planetario, a partire da importanti cambiamenti climatici.
Dal freddo alle carestie. Per capire gli effetti globali di un simile conflitto, gli scienziati si sono serviti dei più avanzati modelli climatici oggi disponibili, gli stessi che solitamente sono utilizzati per prevedere l'andamento del riscaldamento globale causato dall'uomo. In particolare, nello studio è stato utilizzato il Community Earth System Model (CESM1), un sofisticato modello che permette di studiare diversi componenti, fra cui gli oceani, le terre emerse e l'atmosfera. Il primo effetto mostrato dalle simulazioni al computer è legato ai bombardamenti stessi. Il materiale bruciato durante i bombardamenti e gli incendi successivi contribuirebbe a immettere nell'atmosfera grandi quantità di prodotti di combustione. Fra questi, circa cinque milioni di tonnellate di fuliggine, o black carbon in inglese, i cui effetto è di bloccare la luce del Sole e ridurre la temperatura globale. Dopo circa un anno di questo "schermo", secondo gli scienziati la temperatura planetaria potrebbe scendere di un grado, e dopo cinque anni di altri due gradi. Ci vorrebbero almeno vent'anni per far diminuire l'effetto di questo schermo, ma anche allora la temperatura sarebbe in media un grado più bassa di quella prima dell'inizio delle ostilità. Tre gradi possono sembrare pochi, ma condurrebbero alla temperatura più bassa raggiunta negli ultimi mille anni, e porterebbe con sé altri importanti cambiamenti. Ad esempio, il raffreddamento globale farebbe diminuire le precipitazioni del 9%. Anche dopo 26 anni dalla guerra, le simulazioni mostrano che sul nostro pianeta continuerebbe a piovere meno, e il suolo riceverebbe circa il 5% in meno di piogge. Tutto ciò porterebbe l'alterazione della quantità e qualità dei raccolti, con potenziali carestie. Questi risultati sono confermati da uno studio pubblicato nel 2012 dall'associazione International Physicians for the Prevention of Nuclear War. Secondo quel lavoro, un conflitto nucleare su piccola scala potrebbe portare ad una diminuzione nella produzione di grano di almeno il 10% per dieci anni, con picchi che raggiungerebbero il 20% nei momenti peggiori. Questa riduzione, che colpirebbe in modo simile anche la produzione del riso, è confermata anche da uno studio pubblicato dalla stessa associazione l'anno scorso. Ma in quell'ultimo studio, lo scenario è ancora più inquietante, con una lunga carestia che potrebbe costare la vita a due miliardi di persone.
Una barriera più sottile. Gli effetti del conflitto si estenderebbero anche all'atmosfera. La fuliggine infatti non contribuirebbe solo a far ridurre la temperatura del pianeta. Negli strati più alti dell'atmosfera l'effetto sarebbe opposto, e gli scienziati stimano che la temperatura vicino alla stratopausa, a 50-60 km di altezza, potrebbe aumentare di almeno 80 gradi. Questa variazione di temperatura condurrebbe ad alterazioni in varie reazioni chimiche, con il risultato di ridurre la quantità di ozono in atmosfera. Lo strato di ozono diminuirebbe di circa il 20%, con picchi del 50%, riducendo così quel guscio che ci protegge contro le radiazioni dannose provenienti dal Sole. Le conseguenze sono difficili da immaginare con precisione, ma potrebbero comprendere l'alterazione dei ritmi di crescita della vegetazione e dei raccolti. Senza contare poi il possibile aumento dei rischi per la salute, a partire da una maggiore incidenza di tumori alla pelle. Ci vorrebbero almeno dieci anni per recuperare, e anche allora il nostro guscio protettivo sarebbe in media del 8% più sottile.
L'inverno nucleare. Lo scenario dipinto da questo nuovo studio non fa che confermare, in modo più accurato, i timori che gli scienziati hanno da decenni. L'abbassamento delle temperature porterebbe davvero all'inverno nucleare, per usare l'espressione coniata da Sagan e colleghi in uno studio apparso suScience nel dicembre 1983, proprio nei mesi successivi alla prima messa in onda di "The Day After". A trent'anni di distanza, anche le simulazioni più sofisticate confermano che le nostre paure sono fondate. Le conseguenze di un conflitto nucleare probabilmente sarebbero molto peggiori di quanto possiamo immaginarci dalle simulazioni al computer o dalla fantasia di un regista. Insomma, quel maledetto "giorno dopo" ci auguriamo di non vederlo mai. http://www.repubblica.it/ambiente/2014/08/02/news/day_after_terra_nucleare-92082998/?ref=HRLV-17
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