di
Enrico
Fierro
inviato
a Gioia Tauro (Reggio C.)
La
seconda nave è arrivata
all’alba,
alle
quattro
del mattino,
con
un’ora di anticipo
rispetto
ai tempi previsti. È
la
Ark futura, partita dalla Siria
con
un carico che parla di morte
e
distruzione: 600 tonnellate
di
armi chimiche. Micidiale Sarin,
iprite
e gas mostarda che
verranno
caricati sulla Cape
Ray.
Le due navi sono una al
fianco
dell’altra nel porto, tutto
è
pronto per il trasbordo, tutto
è
prontissimo, assicurano dalla
sala
operativa della prefettura,
in
caso di emergenze.
SULLE
BANCHINE di
Gioia
Tauro
sono state organizzate
due
stazioni di decontaminazione,
un
posto medico avanzato,
una
piazzola per l’atter -
raggio
di elicotteri di soccorso,
più
due percorsi. Uno lo chiamano
“pulito”
e serve all’in -
gresso
dei vigili del fuoco in
“zona
di eventuale contaminazione”
l’altro,
invece, lo definiscono
“sporco”
e serve all’usci -
ta
di persone “eventualmente
contaminate”.
Basterebbero
solo
i nomi a far tremare le vene
ai
polsi agli abitanti della Piana.
Invece
non si muove una foglia,
nei
Comuni che circondano il
porto,
Rosarno, San Ferdinando,
Gioia,
la gente è totalmente
disinteressata.
“Il porto? Sappiamo
solo
che siamo ancora in
cassa
integrazione. Il resto sono
solo
minchiate della politica” ci
dice
un ex portuale.
SAN
FERDINANDO, sede
del
Comune.
Il sindaco Mimmo
Madafferi,
74 anni e tessera del
Pd
in tasca, è furibondo. “In
Prefettura
non vado, basta, mi
sono
rotto. Il governo ci sta
prendendo
in giro, siamo
all’oscuro
di tutto, non sappiamo
neppure
che tipo di sostanze
saranno
trasbordate. Dicono
che
arriva il ministro Galletti (a
mezzogiorno
terrà una conferenza
stampa,
ndr),
se lo tengano
a
Reggio, per quanto mi riguarda
non
ho intenzione di ricevere
nessun
esponente del
governo.
Parlano del porto,
della
sua eccellenza, ci prendono
in
giro da anni con questa
storia,
la verità è che con questa
operazione
si spalancano le
porte
ad un uso militare delle
nostre
banchine. Possono fare
tutto
perché qui la gente è rassegnata”.
Bar
di fronte al Municipio, gelati
nella
brioche e una foto in
bianco
e nero. 25 aprile 1975,
9,30
del mattino, il ministro
della
Cassa per il Mezzogiorno
Giulio
Andreotti assiste alla
posa
della prima pietra per la
costruzione
del porto di Gioia
Tauro,
“base d’asta 100 miliardi
– informano
le cronache
dell’epoca
– il più importante
appalto
indetto in ogni tempo
nel
nostro Paese”. Al rinfresco
che
seguì, dicono fossero presenti
importanti
esponenti del
clan
Piromalli.
Rosarno,
qui è sindaco Elisabetta
Tripodi,
Pd anche lei.
“Neppure
io sono molto d’ac -
cordo
con questa operazione,
innanzitutto
per una questione
di
metodo, noi sindaci e la gente
del
posto, lo abbiamo saputo
dai
telegiornali. Poi per la scelta
di
Gioia Tauro, infelice. La realtà
è
che qui abbiamo un porto
in
crisi e una cassa integrazione
che
dura da tre anni. Ma la gente
è
rassegnata, c’era più movimento
e
protesta a gennaio.
La
Calabria è senza voce, si sente
suddita”.
Mauro Francesco
Minervino
è un antropologo
che
da anni denuncia lo scempio
ambientale
della sua regione.
Il
suo libro più ferocemente
contestato
dal sistema di potere
è
La
Calabria brucia.
“QUESTA
è una regione
saccheggiata,
massacrata
da abusi
di
ogni tipo. Le navi con le armi
chimiche
sono la dimostrazione
che
esiste una sorta di diritto
di
prelazione sulla Calabria da
parte
delle grandi potenze e dei
gruppi
di potere. Qui c’è una
sorta
di extraterritorialità del
diritto
internazionale e dei diritti
civili.
Lo dico perché c’era -
no
mille altri porti, penso al
Nord
Africa e a Malta, da utilizzare.
Ma
hanno scelto questa
terra,
perché a Gioia Tauro le
cose
sporche le hanno già fatte.
La
Calabria è una regione acefala,
la
politica è debolissima, a
Roma
non contiamo un tubo, e
qui
stanno morendo anche i
giornali”.
Esagera lo studioso
Minervino?
Non proprio. Da
mesi
la Regione non ha più il
presidente,
Giuseppe Scopelliti,
costretto
a dimettersi dopo
una
condanna a sei mesi per
falso
in bilancio. Nel senso che
formalmente
Scopelliti non c’è,
ma
continua a firmare atti e il
Consiglio
è ancora in piedi.
Con
la totale complicità delle
rachitica
opposizione del Pd. I
giornali.
L’Ora
della Calabria,
quella
dello scandalo Gentile,
ha
chiuso i battenti e il Quoti
-
diano,
presente in tutte le province
e
anche in Basilicata, è
stato
di fatto assorbito da un
piccolo
giornale di Avellino.
Da
poco è nato Il
Garantista,
finanziato
da
una cordata di imprenditori
locali,
molto schierato
su
battaglie contro il carcere
duro
per i mafiosi e lo scioglimento
dei
comuni condizionati
dalla
’ndrangheta. “E noi
siamo
soli – ci dice Mimmo
Macrì,
portuale del sindacato
Sul
– non sappiamo cosa c’è in
quelle
navi, la realtà è che per
due
giorni ci metteranno tutti
in
cig. C’è tanta rabbia, ma nei
singoli.
La gente è sfiancata dalle
promesse”.
Il Porto doveva
essere
l’Eldorado, il Quinto
centro
siderurgico la fine della
disoccupazione.
Mille e 300
miliardi
di investimento, ottomila
posti
di lavoro. Pane e prosperità.
Alla
fine, solo promesse
e
appalti inutili che hanno trasformato
quattro
pecorai delinquenti
nella
più potente holding
criminale
d’Europa.
il fatto quotidiano 2 luglio 2014
Nessun commento:
Posta un commento